Maggio 2006


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l gioco del cervello-Lo stato dell’arte della neuroscienza-Partiamo da un’ipotesi: Pasquale Laricchia, protagonista della terza edizione del Grande Fratello, non era completamente fuori dalla realtà quando parlava del suo “omino nel cervello”. La mappa somatosensoriale di Penfield risponde in parte a tale ipotesi; infatti esiste una rappresentazione tridimensionale della ricezione degli stimoli del nostro corpo da parte del cervello, localizzata nella corteccia celebrale che viene chiamata appunto “omino di Penfield”. Non stupisca l’accostamento di un reality show a modelli della neuroscienza, perché “Che cosa sappiamo della mente” di Vilayanur S. Ramachandran (tit. or. The emerging mind) è un saggio che offre molti spunti a riflessioni così apparentemente dissonanti. Nel 2003 l’autore è stato invitato a tenere le Reith Lectures in Gran Bretagna. Nel 1948 Lord Reith volle inaugurare per la BBC un ciclo di conferenze a carattere divulgativo, tenuto annualmente da una personalità di spicco del mondo accademico, e il primo fu Bertrand Russell. Ramachandran è il primo psicologo sperimentale che abbia mai partecipato e dalle sue conferenze nasce questo libro. Come sottolineato da lui stesso nell’introduzione, la scienza è divertente quando ancora non è “professionalizzata”, se ha libertà di domandare e sperimentare perché ancora troppo poco si conosce dell’ambito di studio. La neuroscienza cognitiva e l’obiettivo di correlare fisiologia dell’uomo alla sua sfera psicologica ancora permettono questo gioco della ricerca. E sembra di osservare davvero un bimbo alla scoperta di un mondo magico, mentre si leggono le correlazioni, le teorie e i modelli esposti in modo partecipato dall’autore, considerato uno dei massimi esperti mondiali. L’approccio che adotta Ramachandran è molto semplice: se partiamo dallo studio delle sindromi e delle disfunzioni più particolari, a volte le più bizzarre e le più trascurate dalla scienza medica perché rare o poco verificabili, se sperimentiamo alcune ipotesi su persone affette da tali problemi forse potremmo ottenere un avanzamento nella comprensione del funzionamento e della struttura del cervello. Ad esempio nel caso degli “arti fantasmi” (la sensazione da parte di persone con arti amputati di “sentire” ancora la parte mancante) con un semplice specchio è stato verificato che si riesce far muovere arti fantasmi con “paralisi apprese” (il paziente sente la parte mancante e la sente impossibilitata a muoversi). Questo induce a pensare che il cervello adulto sia in grado di modellare le proprie reti neurali, se stimolato in modo efficace, ed è un’idea che va contro ogni teoria passata. Quando viene studiata la “visione cieca” (la percezione di oggetti in movimento nel lato della visione colpito da una lesione che ha reso cieca in senso comune una persona), si comprende che esistono due vie della visione, una arcaica e una più recente, che non necessariamente possono essere lesionate contemporaneamente. Ciò implica che l’oggetto viene percepito ma non visto in modo cosciente. Se si aggiunge che esiste un “potenziale d’azione” che viene attivato alcune frazioni di secondi prima dell’atto di volontà cosciente, allora si arriva ad una delle domande più difficili: cos’è la coscienza? davvero possiamo distinguere tra mente e corpo? oppure sono la medesima cosa “come le due facce di un nastro di Moebius”?
E’ piacevole e affascinante veder scorrere accanto in poche pagine l’isteria e la possibile spiegazione evoluzionistica del libero arbitrio, gli universali estetici dell’arte e il kitsch come “cibo spazzatura visivo” e sullo sfondo si disegna il cervello come macchina per produrre modelli, utili simulazioni virtuali. E’ reso evidente inoltre che l’evoluzione della tecnologia, quindi l’applicazione del pensiero umano stesso, permette di usufruire di strumenti di rilevazione e di test che modificano la valutazione ad esempio della malattia mentale; non a caso Ramachandran parla di una terza via dello studio della malattia mentale, cioè la neuropsichiatria evoluzionista. Antropologia, sociologia, psicologia, neurologia, filosofia e arte si incrociano e si integrano nelle parole, nelle ipotesi e negli esempi dell’autore, come fili di Arianna che possano condurci nel circonvoluzioni del “grumo di cellule gelatinose all’interno del cranio” di 1500 centimetri cubici che chiamiamo cervello. Non è possibile secondo Ramachandran scindere e analizzare secondo schemi preordinati; ecco allora che nelle note in appendice “Dio non è un ingegnere, ma un hacker” (F. Crick). Matteo Polizzi

 

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Il labirinto è l’architettura del corpo e del cervello a pianta molto complessa, con un intrigo di passaggi e di ambienti: il sistema nervoso, gli organi, il sistema osseo, il campo istintivo-emozionale, gli stati coscienziali, le memorie e i cogniti, registrati e acquisiti attraverso l’esperienza, o ereditate dalla catena di Y, di padre-madre in figlio, da cui nasciamo e siamo espressione.

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  Gli Indaco(n.d.r. Bambini) elaborano le emozioni in modo diverso rispetto ai non-Indaco, grazie a un buon livello di autostima e alla loro integrità. Possono leggervi come un libro aperto e notano o neutralizzano subito ogni vostra intenzione occulta o perfino il più piccolo tentativo di manipolazione che abbiate in mente. Anzi, sono addirittura in grado di percepire le vostre idee riposte anche se voi stessi non ne siete consapevoli! Possiedono una forte disposizione innata a fare le cose da soli e vogliono una guida esterna solo se viene proposta loro con rispetto e sotto forma di una vera scelta. Preferiscono risolvere le situazioni per conto loro.Nascono con intenzioni e doni di natura già ben evi denti. Assorbono la conoscenza come delle spugne, specialmente su argomenti che gradiscono e da cui si sentono attratti, divenendo in tal modo molto esperti nelle loro aree di interesse. Poiché l’esperienza rappresenta per loro il modo più congeniale per apprendere, sono capaci di crearsi le esperienze di cui hanno bisogno per riuscire a risolvere i problemi che incontrano o per crescere in determinate aree. Quando vengono trattati con il rispetto dovuto all’adulto, reagiscono nel modo migliore.

 “…Un Bambino Indaco è una  creatura che possiede attributi psicologici insoliti e particolari e che ha un modello comportamentale diverso da quelli a cui siamo abituati.  Di conseguenza, molto spesso i genitori di questi bambini si trovano spiazzati ed impreparati nel difficile compito di educare i loro figli. Ignorare questi nuovi modelli significa creare squilibrio e frustrazione nella mente di questi preziosi bambini. Ci sono diversi tipi di bambini Indaco, ma per ora ci limiteremo a darvi un elenco delle loro principali caratteristiche con i più comuni modelli comportamentali. – Vengono al mondo con un senso di regalità (e spesso agiscono con regalità) – Pensano di “meritarsi di essere qui” e sono sorpresi quando gli altri non condividono questo loro punto di vista. Non hanno problemi di autostima. Spesso essi dicono ai loro genitori “chi sono”. Hanno difficoltà ad accettare  l’autorità (soprattutto quando è imposta ed immotivata -  Si rifiutano di fare alcune cose. Per esempio non amano aspettare in coda Si sentono frustrati dai metodi  tradizionali che non richiedano l’impiego della loro creatività. – Spesso, sia a casa sia a scuola, trovano la soluzione più logica per fare le cose, il chè può farli apparire anticonformisti e ribelli – Sembrano asociali a meno che non si trovino con i loro. simili.  Se non ci sono bambini con la loro stessa consapevolezza, si sentono incompresi e  tendono a chiudersi in se stessi. L’ambiente scolastico  è spesso estremamente difficile per loro. -  Non rispondono a discipline basate sul senso di colpa. Non si sentono in imbarazzo a parlare delle loro necessità  

 

 

 

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 L’insegnante manipolatoreIl giornalista banale e sciovinista ha buone probabilità di avere successo perché la manipolazione del lettore inizia sin dalla sua infanzia, attraverso la scuola di stato. L’insegnante è il primo anello di una catena di superstizioni che, a tempo debito, soffocherà il cervello dell’essere umano in una specie di camicia di forza mentale. L’insegnante ingenuo è convinto di compiere la nobile missione di trasmettere sapere; in realtà egli sta solo instillando conformismo a idee e pratiche obsolete che sono funzionali allo stesso potere (lo stato) che controlla e amministra il processo educativo attraverso l’insegnante manipolatore. Accettando questo imbroglio l’insegnante si pone in una posizione di grave abuso di fiducia in quanto egli dà ai giovani studenti l’impressione di presentare una conoscenza valida universalmente mentre sta trasmettendo unicamente o principalmente nozioni scelte e accettate dallo stato nazionale. In tal modo egli mina e compromette lo sviluppo delle facoltà critiche e creative di individui che, per la loro età e per il ridotto bagaglio di conoscenze di cui dispongono, sono ancora incapaci di giudicare da sé la validità di quanto stanno imparando o non ancora abbastanza esperti nell’avviare esperienze di apprendimento alternative.burocrate ottusoLa società di massa del nostro tempo può essere caratterizzata come una società statalizzata al cui centro sta la figura del burocrate il cui compito è di osservare e applicare le regole, non importa quanto idiote e irrazionali esse siano. I burocrati e la mentalità burocratica possono essere trovati. in misura crescente, in qualsiasi aspetto della vita sociale degli ultimi cento e più anni, e in molte figure sociali, quali ad esempio il burocrate di partito, il burocrate sindacale, l’assistente sociale burocratizzato, il manager burocrate ed altre ancora. L’ascesa al potere dello stato è, nei fatti, l’ascesa al potere in maniera generalizzata di piccoli e grandi burocrati. Essi sono l’espressione e il veicolo di un modo di pensare e di agire che ha infettato tutta la vita sociale e che ha ridotto l’essere umano al livello di un idiota di massa, reso dipendente e preso in giro dal potere 

 Lo psichiatra Vittorino Andreoli avvertiva da tempo un forte desiderio di parlare della scuola e in questo nuovo libro scrive direttamente agli insegnanti, scegliendo lo stile epistolare e il “tu” per creare una relazione affettiva col suo interlocutore. Andreoli ama i maestri come gli allievi, persone e attori principali della formazione, ricorda con piacere il carisma educativo del suo professore di filosofia, o del suocero insegnante di matematica, o la sua maestra delle elementari, severa ma rispettosa dell’equità. Andreoli ha un’altissima considerazione di tutti gli insegnanti tanto che anche lui avrebbe voluto esserlo. Perché sono dei punti di riferimento per la vita dei giovani allievi, “allevatori” più che docenti, ai quali consiglia di non mollare, di essere fieri di questo ruolo cruciale di modello educativo da “direttori d’orchestra” nella propria classe. Andreoli spiega i meccanismi dell’antipatia e della simpatia verso certi alunni, le forme di difesa, le punizioni (alle quali lo psichiatra è quasi sempre contrario), invitando a considerare sempre le condizioni familiari e ambientali dalle quali proviene l’allievo. Sottolinea il valore del gruppo nell’esperienza scolastica, della classe, con le sue dinamiche interne fatte di invidie, desideri, assenze da colmare. In un certo senso lo psichiatra veronese si cala nei panni del maestro e vuole segnalare gli aspetti psicologici nella relazione educativa: individualismo eccessivo spinto fino all’eroismo, depressione, gerarchie e vittimismo, il bullismo dentro e fuori la scuola, quell’opporsi a tutto e tutti dei giovani che spesso è “servilismo al contrario”. Sono pagine dense di tensione, Andreoli ha davvero a cuore le sorti dei giovani e degli insegnanti nella scuola italiana di oggi, scrive con mentalità esperta e aperta, col cuore e con la ragionevolezza, ricorda anche quella dimensione estetica dell’educare, quello stile dell’ex-ducere, il difficile e sempiterno compito del “condurre fuori”, “portare via” dall’infanzia e dalle certezze della gioventù per andare incontro alla vita adulta. Il compito più arduo, che spetta a tutti i veri maestri. [lettera a un insegnate] 

Andreoli: Sono il professor Vittorino Andreoli e sono uno psichiatra. Mi occupo cioè di folli, di persone che vengono considerate quanto meno strane, perché hanno dei comportamenti che si diversificano completamente da quella che si chiama la normalità, e quindi il mio lavoro è di interrogarmi perché certe persone hanno comportamenti così distanti dalla maggior parte delle altre persone. E poi, una volta capito il perché, cercare di aiutarli, quindi in qualche modo di curarli. In particolar modo mi occupo di comportamenti anomali, se volete di follia del mondo giovanile. E quindi mi pongo tante domande: perché i giovani hanno alcuni comportamenti che non sono accettati, perché spesso sono contro, per esempio, contro le regole, contro la società, contro la famiglia, contro il Codice Penale. Ecco perché mi sono occupato di casi estremi, perché nella follia c’è la piccola follia, ma c’è anche la follia estrema. Mi sono occupato di un giovane, di Pietro Maso e mi sono chiesto perché ha ucciso i genitori per avere un’eredità. Mi sono occupato del caso di Chiatti, quel giovane che è arrivato ad uccidere due bambini, abusandone, anche dal punto di vista, oltre che affettivo, anche sessuale. Ecco, perché, di questi comportamenti? Naturalmente uno psichiatra non si occupa solo di casi estremi, ma in fondo si occupa del comportamento. Cioè, perché ci comportiamo in certo modo, perché i giovani si comportano in questo modo? E allora, tra tutte le domande che uno psichiatra si pone, c’è anche questa: perché la paura, perché alcune volte noi e voi siamo presi dalla paura, la paura nel mondo giovanile? Ecco, oggi parleremo di paura e cominceremo con una scheda.

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Dopo la tristezza delle notizie di questi giorni, dopo aver indicato il nome del male nello sport italiano, Pantani e Maradona  dovranno ritornare ad essere EROI…..

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Francesco Tullio Altan è nato a Treviso nel 1942, ha vissuto a Aquileia, geograficamente appartato dalla attualità politica e sociale, eppure presentissimo con le sue fulminanti vignette che non si limitano a inseguire la contingenza politica e sociale ma danno con una fulminante battuta il senso di un’epoca. Il suo mondo è quello del disincanto e del pessimismo, la sua umanità è una umanità tanto piegata dalla mancanza di speranza da essere cinica, desolante. Dice il bambino rivolto al sacerdote: “Ho scelto l’ora di religione, babbo” – risponde il sacerdote (il “babbo”): “Bravo: peccherai con molto più gusto”. La bambina al vecchio seduto in poltrona: «”Nonno, perché tutti muoiono?” “Perché è gratis, Nina”». Bambino al babbo: «”Babbo, perché mi hai fatto nascere in un mondo così ?” “Un forellino nel profilattico”». La bambina al bambino: «”Sempre più violenza sulle donne!” – il bambino: “Meno male: così ci danno un po’ di respiro a noi bambini”». «”Babbo, che ne sarà di me dopo la tua morte?” “Erediterai un appartamento”». «”Perché piangi piccino?” “Mammà m’aveva fatto per vendermi, ma nessuno mi ha voluto acquistare”». Altan è stato autore oltre che di vignette, di fumetti, cartoni animati, sceneggiature. Altan è stato scenografo, illustratore e sceneggiatore per il cinema (con Sergio Staino). Ha creato le celeberrime vignette dell’operaio Cipputi, e popolari personaggi per bambini, come la Pimpa e Kamillo Kromo, le cui storie sono state adattate per il teatro. Il suo primo fumetto, Trino, del 1974, è un’esilarante striscia sulla creazione del mondo.

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Le migliori menti della mia generazione – dicono – sono state distrutte dalla droga. Ma non è vero. Le migliori menti della mia generazione sono state distrutte dal professionismo. Possibili poeti, scrittori, pittori, musicisti sono diventati copy, designer, giornalisti, ospiti televisivi. Roberto Antoni è un micidiale dilettante (uno che si diletta) e per questo mi piace e gli voglio bene. Ha fatto di tutto (il rock, la televisione, il teatro, i dischi) senza diventare un rocker, né un personaggio televisivo, né un attore. Se avesse guadagnato miliardi non sarebbe un ricco e se tutti lo riconoscessero per strada non sarebbe uno famoso. Perché sarebbe un dilettante anche come ricco e anche come persona famosa. Le sue poesie riflettono, mi sembra, la sua lontananza dal mostruoso sussiego del modo di vivere contemporaneo: che è, a ben vedere, il vero “demenziale”. Alcune poesie sono tristissime, altre molto allegre. Alcune bellissime. Sono, comunque, le poesie del vecchio Freak Antoni. Che il Grande Mario (dio dei distanti) ce lo conservi.
Michele Serra

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La conférence de Bandung, en Indonésie, en avril 1955,
marque la naissance de ce que l’on a appelé le tiers-monde.
Pour la première fois, des dirigeants de l’ancien monde
colonisé se réunissent pour affirmer leur volonté d’en finir
avec la domination impériale, pour proclamer leur refus de
s’inscrire dans l’ordre bipolaire de la guerre froide, de
choisir entre les Etats-Unis et l’Union soviétique. La
nationalisation de la Compagnie du canal de Suez par le
colonel Gamal Abdel Nasser en 1956, l’indépendance de
nombreux pays africains en 1960, la victoire de la
révolution algérienne marquent les premières étapes de ce
qui deviendra le mouvement des non-alignés, une organisation
qui entend jouer un rôle actif sur la scène internationale
et qui naîtra officiellement en 1961, à Belgrade. Les tâches
que se fixent le mouvement et ses membres sont immenses, de
la révolution des structures sociales à la récupération des
richesses naturelles, en passant par le changement de
l’ordre économique international. Si les espoirs sont
grands, si l’ardeur révolutionnaire est partout présente,
des guérillas latino-américaines au Vietnam en lutte contre
les Etats-Unis, les premières divisions sont déjà
perceptibles au sein des mouvements d’émancipation. A la
radicalisation de l’aile révolutionnaire se heurtent déjà
les élites néocoloniales qui ne voient de salut que dans
l’alliance avec les anciennes ou les nouvelles métropoles du
Nord.

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 “Si. Volevo creare un suono moderno con i cori antichi. Facendo ricerca per il lavoro con l’ensemble vocale mi sono reso conto che la musica che gli autori del Cinquecento e del Seciento erano, mi si passi l’esagerazione, dei “cantautori”. Cosa ho fatto allora? ho ripreso il modo di scrivere canzoni di album come “Terra mia”, ho preso le strutture della musica modale e ho messo tutto nelle mani di un grande trio di jazz, quello di Peter Erskine. Ho lavorato sull’esecuzione e l’emozione, ho lavorato con strumenti veri: tutti prendono e programmano grandi suoni con i computer, ma suonare i pezzi davvero è difficile, quindi quelli che suonano fanno la differenza”.-“Dopo trent’anni di messaggi, dal ’77 a oggi, dopo tutte le Feste dell’Unità, i dischi incazzati, la rabbia contro quello che non andava e che ancora non va, tutto quelli che ora devi fare è lanciare un messaggio di pace. Non serve prendere le armi, anche se si vedono cose che fanno schifo. Con la musica ho trovato il modo di comunicare con tante culture e popoli diversi e ho capito soprattutto una cosa: che alle persone devi dare amore e cultura. Con le parole che dico nelle canzoni cerco di trovare una speranza per andare avanti”. Ha anche dedicato una canzone a Maradona… “E’ una storia dolorosa e tutti speriamo che finisca bene. E’ stato un re, rovinato dal troppo amore che Napoli gli ha dato, travolto dalla vita stessa “. Pino Daniele Una obra de arte firmada Diego Maradona –No siempre las obras de arte tuvieron al pie del bloque o del bronce o en el angulito derecho e inferior de la tela, la firma del autor. Firmar la obra con el nombre de su autor es algo más o menos reciente…
¿Pero porqué mencionamos La noche del 10 y Diego Armando Maradona en una columna de arte para un sitio destinado al arte? Porque seguramente muy bien asesorado y para sumar el arte a la excelencia de todas las disciplinas que conforman sus emisiones, incluye en cada programa a un artista plástico que, o bien da las últimas pinceladas a su obra ante la cámara, o bien lleva la obra terminada, pero sin firmar. Ante la vista de todos el artista firma su trabajo – cámaras canonizando la escena en primer plano y recogido el artista una tradición de ya quinientos años pone su nombre sobre la obra… e invita al Diego a hacerlo también. Digamos pues que esas obras, que serán subastadas con fines solidarios, llevan dos nombres: el de su autor y el de Diego Maradona que no hace más que dejar con su firma, el sello de su trayectoria futbolística -extra artística- estampado sobre la obra.
La firma del autor -en este caso todos los artistas que integraron los programas han sido ya legitimados por la prensa, los museos, las galerías- da un valor a la obra. Es el sello, la constancia, incluso legal de aquella legitimación. La pregunta que esta columna se hace es la siguiente: si la firma de Diego Maradona es como la de un Picasso, Midas, que hace oro lo que toca… esas obras doblemente legitimadas ¿Serán así doblemente valoradas? ¿Cómo cotizará el mercado esos productos que exceden a la lógica del mercado de arte? ¿Cual es el valor que los coleccionistas darán a estas obras -por supuesto más allá de todo valor estético- por tener una firma consagrada al lado de la otra consagrada? Habrá que esperar a las subastas, será seguramente una fiesta de la frivolidad, y una curiosidad para el mercado de arte, el ver esas manos levantadas para adquirir esas obras en las que, seguramente lo que menos importará será la calidad de lo pintado, tallado o esculpido.  Susana Pérez Tort | Crítica de Arte

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