Maggio 2006


mara.jpgddo.jpgap_6769363_44220.jpgfrancocarraro.jpgSN6500V.jpgMARADONA-J.jpgugiuoyouy.jpgalmodovar lingua.jpgMaradonanudo.jpgmoggi.jpginbedwith mara feit.jpg

 Non si lamentino se alla ripresa gli stadi saranno vuoti. C’è da augurarsi che i tifosi decidano di regalarsi un anno sabbatico a chè i loro dirigenti corrotti  riflettano, chiedano scusa ma sostanzialmente cambino mestiere. Maurizio Costanzo- Di fronte alle critiche a Moggi, l’avvocato Agnelli usava dire che “lo stalliere del re deve conoscere i ladri di cavalli”. Certamente. Ma per guardarsene, non per diventare il capo-ladro. E comunque, date le frequentazioni, sullo stalliere il re del buon governo sa di dovere tenere, lui prima di tutti,  gli occhi aperti. Gli occhi di tanti re sono rimasti lungamente, colpevolmente chiusi. Bartleby   Non condivido il pessimismo che circola adesso intorno al calcio. I romani antichi dicevano che è opportuno che le cose accadano. Qualunque siano i risultati delle evenienze. Credo sia un momento invece molto felice perché per la prima volta dopo tanti anni le cose vengono fuori e non si insabbiano. Il calcio che ricomincerà sarà un calcio certamente migliore e più pulito. Qual è allora il problema? Non dobbiamo aver paura di andare avanti. Dobbiamo solo cercare di essere molto seri e condividere un bisogno di giustizia non sommaria. Attenerci ai fatti, trarne insegnamenti, riuscire a capirli e punirli. Niente di più e niente di meno. Il quadro che sta uscendo da questi scandali è quello di un calcio in cui c’era una promiscuità evidente fra le varie componenti, giocatori-dirigenti-manager. Si avverte soprattutto una fortissima presunzione d’impunità. I forti sono sempre i più furbi proprio perché forti. Basta stare dalla parte loro e si può fare quasi tutto. Mettere insieme le partite, avere rapporti con alcuni arbitri importanti, perfino scommettere in proprio su partite di cui magari si sa in anticipo il risultato. E’ questa mancanza di vergogna che fa più male. Perché implica una totale, assoluta mancanza di rispetto nei confronti degli altri, cioè del pubblico, della gente. Che invece crede in modo cieco alla buona fede dei propri giocatori-dirigenti-manager. – Mario Sconcerti –                                                                                               wallpaper5.jpg

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 Innanzi tutto, come è nata l’idea di una grande mostra sull’Africa con un taglio così particolare, che comprende ben tre millenni di storia?
L’idea è nata due anni fa su proposta di ArtificioSkira. Proposta che ho accolto inizialmente con perplessità, dato l’arduo compito che una mostra del genere comportava. Volevo comunque che l’esposizione avesse due punti fermi: presentare le arti dell’Africa nera, la parte del continente a sud del Sahara, e che fosse una mostra d’arte, non di etnografia. Solitamente infatti le esposizioni di arte africana trascurano le qualità formali delle opere a vantaggio della ricerca del significato delle stesse o del loro uso. Mi sono inoltre interrogato sui problemi che si pongono a chi si occupa oggi di arte africana, e che a mio avviso sono la datazione delle opere, l’attribuzione all’autore, il collezionismo antico, l’influenza dell’arte africana sull’arte moderna occidentale, e poi, soprattutto, la qualità delle opere stesse. Su queste premesse è nato il progetto della mostra, messo a punto con Filippo e Claudia Zevi, che finalmente, dopo lunghi sforzi, è giunto a compimento.
La mostra ha un percorso molto articolato, che fondamentalmente ripercorre i punti nodali della storia dell’arte africana. Può illustrarci il contenuto delle varie sezioni?
Vi è una sezione iniziale di opere antiche. Una quindicina di sculture provenienti dai musei nigeriani (prestiti assolutamente eccezionali) sono testimonianza preziosa dell’arte di quel Paese. Ci sono terrecotte della civiltà di Nok antiche di 20-25 secoli; i bronzi di Ikbo-Ukwu, del IX-X secolo, di una perfezione sbalorditiva; le opere di Ife del XII-XVI secolo, già definite dalla critica “i Fidia e Donatello dell’equatore”; una trentina di bronzi del Benin, con pezzi famosi come le teste di re e regine madri del XVI secolo, la celebre coppia di nani di Vienna, due leopardi e le placche che ornavano i portici della reggia. E ancora, una trentina di opere dell’antico Mali: sculture lignee dei Dogon e degli altri popoli che hanno abitato la falesia di Bandiagara, datati a partire dall’anno 1000 d. C. La seconda sezione è dedicata al collezionismo in Europa, ovvero ai manufatti e alle opere d’arte africana presenti nelle “raccolte di meraviglie” dei principi rinascimentali e nei “gabinetti di curiosità” di studiosi e borghesi dal Cinquecento al Settecento. Sono esposte sculture in avorio, che attiravano per la preziosità del materiale, tra cui per esempio un olifante, già nelle raccolte medicee, databile alla metà del Cinquecento, e poi tessuti e copricapi in rafia, di esecuzione raffinatissima. Un gruppo di rari volumi con illustrazioni di soggetto africano e carte geografiche antiche forniscono invece un’idea della conoscenza dell’Africa nei secoli passati. Una terza sezione, corredata da documenti fotografici inediti, è dedicata agli atelier degli artisti parigini che all’inizio del Novecento hanno “scoperto” le arti africane, come si evince dai loro lavori esposti. Infine l’ultima sezione, la più corposa, raduna oltre un centinaio di opere, di autori per ora anonimi e non ancora datate, che testimoniano la sbalorditiva varietà della creazione artistica africana e l’inesauribile capacità inventiva e tecnica degli scultori. Opere di qualità altissima, che arricchiscono il patrimonio dell’umanità.
L’espressione artistica africana sottende una concezione temporale ed etica assai diversa da quella del mondo occidentale: ed è forse per questo motivo che ci appare così misteriosa e affascinante, quasi magica direi. Cosa ne pensa?
Non posso dire se l’espressione artistica africana sottenda una concezione temporale ed etica molto diversa da quella occidentale. La mancanza di documenti scritti e le trasformazioni radicali avvenute nel “Continente nero” negli ultimi cento anni consentono di formulare soltanto delle ipotesi sulle motivazioni che stanno alle radici della creazione artistica africana, per altro estremamente diversificata. Penso che tali motivazioni non siano in ogni caso molto diverse da quelle che hanno mosso i pittori e gli scultori dell’Occidente dei secoli passati a creare immagini di divinità, di santi e di potenti. Credo quindi che il fascino dell’arte africana, una volta spogliata dell’alone di esotismo, stia nella perfezione della forma, anzi nelle forme diversissime, in cui sono calati i valori spirituali, spesso inattingibili per noi, degli africani.

La sezione dedicata a pittori e scultori europei che all’inizio del Novecento riscoprirono l’Africa attraverso i suoi artisti e con essi cercarono nuove strade per l’arte è alquanto significativa. Quali capolavori possiamo ammirare e cosa interessava agli europei nel confrontarsi con quell’arte che a lungo è stata definita Art Nègre, Arte tribale, Arte primitiva, e che oggi altro non è che l’arte africana del XIX e XX secolo?
Circa il debito degli artisti occidentali nei riguardi dell’arte africana, è mia opinione che non ci sia stata, se non in pochi casi eccezionali, una derivazione diretta dai modelli africani. Credo piuttosto che i pittori e gli scultori delle Avanguardie europee abbiano trovato nelle sculture africane un incentivo ad abbandonare le forme espressive tradizionali, ormai inadeguate, e delle corrispondenze formali che confortavano le loro ricerche. Ne sono valida testimonianza le “Demoiselles d’Avignon” di Picasso, che attestano il primo interesse dell’autore per le maschere africane, mentre successivamente sarà l’analisi dei volumi “innaturali” delle opere africane a interessarlo e a suggerirgli lavori come la grande testa di cemento, sempre presente in mostra. E poi, “L’Oggetto Invisibile” di Giacometti, una scultura in bronzo di quasi un metro d’altezza. Infine una delle rarissime sculture in pietra realizzate nel 1907 da Derain, tra i più appassionati collezionisti di arte del Continente nero. E ancora opere di Matisse, Léger, Man Ray, Laurens, fino alle prime sculture di Henry Moore, che ripercorrono il cammino dell’arte africana a ritroso.

Esistono anche pezzi di notevole curiosità…
Tra gli avori presenti in mostra, ve ne sono molti noti come “Afro-portoghesi”, perché scolpiti nel XVI secolo su committenza europea e su modelli forniti dagli stessi europei. Ad esempio, su un olifante appartenuto ai Savoia lo stemma della casa reale portoghese è copiato dal frontespizio di un libro di preghiere europeo del 1498, come ben si vede dall’accostamento dei due oggetti esposti.

Il problema di attribuzione non deve essere di facile soluzione.
Per risolvere il problema dell’attribuzione delle opere d’arte africana si è adottato il criterio dei piccoli gruppi di sculture con caratteristiche formali simili, tali da poter essere assegnate ad un determinato scultore o ad una “bottega”. Vi è per esempio un gruppo assegnato al “Maestro di Buli”, dal nome del villaggio in cui fu raccolto il primo esemplare delle opere a lui attribuite. Esattamente come i lavori giovanili di Roger van der Weyden, attivo nelle Fiandre nel XV secolo, erano stati attribuiti dagli studiosi dell’Ottocento ad un “Maestro di Flemalle”.[ Alessandra Zanchi] 

 [Vedi:Le immagini segrete del pianeta, La magica arte africana, Comparatismo come verità del mondo, Solo Shows -Thierry Fontaine -artista dell’Oceano Indiano, Malangatana come Giovanni da Modena, Jack Beng-Thi, plasticien : arte a forte sensibilia, Omar Calabrese, Due parole sugli archetipi… La Critica D’arte Africana]   

 

Pilo(091).jpgPilo(090).jpgtonina16.jpgtonina2.jpgtonina14.jpgtonina15.jpgtonina7.jpgtonina3.jpg La storia di un artista è un pezzo unico, un racconto solitario diverso da ogni altro. La storia di Tonina Cianca possiede qualcosa in più. Perché Tonina è nata, cresciuta, vissuta in uno stesso paese, Cesenatico; dentro ad una sola, grande casa dai due volti: focolare di famiglia in inverno, residenza per turisti d’estate. Con impressa davanti una stessa immagine: il mare. Un mare inevitabile, con il quale Tonina ha dovuto misurarsi. Lo ha fatto con felicità, ma non poteva eluderlo. Lo ha sempre guardato dall’alto in basso, il mare, dall’ultimo piano di quella grande casa, così immersa nella luce penetrante da grandi finestre di grandi stanze. Un mare di acqua e di luce che doveva trascinarla per forza verso altri orizzonti dello sguardo: la pittura, il pennello, i colori, i disegni, le incisioni. Se ne rese conto Tono Zancanaro, suo “talent scout”, suo maestro, suo cliente. Davanti a quel panorama esclamò: “Adesso capisco perché lei fa la linea del mare così alta. Perché solo stando in alto, si può fare un orizzonte alto. E, onestamente, devo riconoscere che dei due ha più diritto lei di me di fare la linea del mare”. Già, Tono. Fu lui ad imporle la sua prima mostra. Lei fino a quel momento aveva dipinto solo da sé. “Avevo sempre fatto delle cose. Non avendo la costanza di cercare galleristi o critici, una professionista non lo sono diventata mai. Ma nell’ inverno del ‘ 70- ‘ 71, ali ‘ Accademia di Ravenna si teneva un corso d’incisione; il maestro era Zancanaro. Lo frequentai. Alla fine, Tono m’impose la mia prima Personale, alla Loggetta Lombardesca di Ravenna. “Cara signora, mi disse, mi dispiace: lei è un’artista. Adesso sono fatti suoi”. E la passione diventò necessità. “Non bisogna credere agli artisti che dicono che si di- vertono; non c’è un segno, non c’è una macchia di colore, che uno non dia con l’intento di fare meglio che può. Dipingere è un tramite, ecco perché si può parlare di passione. Ecco perché si può dire, forse: ho fatto così perché non potevo non farlo”. Una Personale non qualunque, quella prima volta. “Alla fine, soddisfatto. Tono aggiunse: “Se anche lei non dovesse fare nient’altro nella vita, questo lavoro giustifica una vita artistica”. Una nuova frontiera per Tonina, le incisioni, ma sempre con la pittura nell’animo.- T.C.- [Tonina Cianca va delineando i contorni del proprio spazio d’impresa. Non dismette certo l’iniziale linguaggio figurativo, con la sua personalissima impronta lirica ed intimista, caratterizzato da un uso discreto del colore essenzialmente in chiarogrigio e, nondimeno, da una pregnante umorosità della materia, densa, piena, compatta (con qualche analogia, detto per inciso, con certe opere di esponenti del vicino cenacolo cesenate, dai sintomi prevalenti di delicato, indefinito esistenzialismo). Semmai Tonina Cianca ora prova ad affidare alla pittura (ma ancor più esprime per tramite del disegno) un’insorgente vena narrativa, un’inferiore richiamo alla trama scenica. Accade che sulla vaga e trepida fantasia dell’artista finiscano per depositarsi contorni sempre definiti d’una memoria viva e ricca di intrecci in chiave autobiografica. E che da una tale contingenza prendano a generarsi mirabili racconti figurati, suggestive icone d’una realtà evocata; e che il colore (colore che fluttua, si sfrangia, si condensa), ora acceso per sua intima virtù, renda come “metafìsica” l’immagine. E’ pur vero che, in questi stessi anni, l’artista di Cesenatico sembra prediligere, anche nell’atto di esporsi al pubblico, la parte di lavoro che attiene al segno (da questo momento la pittura è destinata a rimanere confinata in uno spazio proprio dell’intimità, che può dirsi allestito come vera e propria quadreria domestica).[Orlando Piraccini]

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 Roberto “Freak” Antoni è nato il 16/04/1954 (Ariete con ascendente Scorpione) a Bologna, dove si è laureato discutendo una tesi sui Beatles con lo scrittore e docente Gianni Celati, al D.A.M.S. e/o Lettere e Filosofia. Nel 1977 ha fondato il gruppo rock degli “Skiantos” inventando il Genere Demenziale (sintesi di poesia surreale, cretinerie, improvvisazioni, paradossi,[]<>°°+§&*=^ww, assurdità e colpi di genio) e realizzando finora (nell’attuale anno 2000) undici (11) Long – Playing [ovvero CD] insieme ad un numero imprecisato di concerti per tutta Italia, isole comprese. Freak Antoni ha dato vita a numerosi esperimenti musicali, vedi “Beppe Starnazza e i Vortici” per la CBS, I “Ruvidi del Liscio”, gli “Avanzi di Balera”, i “Pollok” (gruppo sperimentale di performance musico – pittorica) e molti altri, anche collaborando con diverse etichette discografiche. In quest’ambito egli ha utilizzato vari pseudonimi, sviluppando percorsi, tendenze artistiche e culturali differenti, ma omogenee per stile e poetica. E’ stato definito “II Robespierre del Rock italiano”, quindi: “(…) una delle menti più vivaci, creative e provocatorie dell’underground contemporaneo!”. Nel 1982 ha collaborato con gli attori del “Gran Pavese Varietà” e sperimentato se stesso nei panni del cabarettista – intrattenitore, approfondendo così il discorso sul “comico”, quale forma di spettacolo e modus vivendi. Nel ’91 Antoni raccoglie poesie, aforismi, riflessioni e appunti vari in un’antologia del suo pensiero, intitolata “NON C’È’ GUSTO IN ITALIA AD ESSERE INTELIGGENTI” (sottotitolo “seguirà il dibattito”) pubblicata dall’Editore Feltrinelli di Milano, che già dieci anni prima aveva dato alle stampe il volume “STAGIONI DEL ROCK DEMENZIALE”. Seguono alcuni libri tra i quali si segnalano “VADEMECUM PER GIOVANI ARTISTI” e il più recente “BADILATE DI CULTURA”. Risale a questo periodo il riconoscimento di “più grande poeta del suo condominio” che Freak ha ampiamente meritato… Anche collaboratore di molti giornali, rotocalchi e riviste. Autore di programmi radio – televisivi; sceneggiatore e paroliere… Talvolta. IN SINTESI: Roberto Antoni (Freak Antoni/Astro Vitelli/Starnazza). Nato il 16 aprile 1954 a Bologna dove vive e lavora nel locale porto marittimo. Scrittore, cantante e performer, è considerato uno degli autori più creativi nell’ambito del movimento artistico – culturale post ’77. Ideatore riconosciuto del genere demenziale (rock improvvisato e poesia surreale), ha formato numerose rock band (Skiantos, Vortici, Pollok, Recidivi, Avanzi di Balera, Ruvidi del Liscio, ecc…), ha scritto 6 libri e collaborato con alcune riviste musicali. Attore in diversi film underground con lo pseudonimo di Tony Garbato. Anche paroliere e pubblicista.
Un altro tema è costituito dalle differenze tra droghe leggere e droghe pesanti. L’onorevole Franco Grillini è uno dei principali oppositori della proposta di legge Giovanardi, mentre Roberto “Freak” Antoni, al quale spetta il compito di seminare battute pungenti che inducano alla riflessione, è un esperto dei temi trattati avendo scritto il libro “Per sopravvivere alla tossicodipendenza” (edito da Feltrinelli) ed è pure stato compagno di classe di Grillini – ROBERTO ANTONI fax : 051/385099 (per eventuali comunicazioni scritte)-  

vettesel.jpgvettese.jpgvettese immma.jpgVETTESE im.jpg8843035495.jpg Angela Vettese si è laureata in Filosofia presso l’Università degli Studi di Milano, conseguendopoi il perfezionamento in Storia dell’Arte presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore. Ha insegnato Storia dell’Arte presso le Accademie di Belle Arti a Milano e Venezia (1991-1997) e l’Accademia Carrara di Bergamo (1994-2000). E’ stata docente presso il Politecnico de la Universidad de Valencia, Spagna, nell’ambito del master in Ingegneria Cultural, corso di Valorization de las obras de arte contemporaneo (1996-1999). Insegna storia dell’arte presso il CLEACC (Corso di Laurea in Economia per le Arti e la Comunicazione) dell’Università Bocconi di Milano. Ha progettato insieme a Marino Folin, Marco de Michelis e Germano Celant la Facoltà delle Arti presso lo IUAV di Venezia, dove dal 2001 dirige il CLASAV (Corso di Laurea Specialistica in Arte Visiva) come docente a contratto di Storia dell’arte contemporanea. Ha fatto parte (1995-1997)del Comitato Scientifico della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo per l’Arte Contemporanea. Ha curato numerose mostre di artisti contemporanei e dal 1986 collabora all’inserto domenicale de Il Sole 24 Ore.

Ma questa è arte?”, ci si chiede di fronte a quella contemporanea, nell’epoca in cui registra il suo massimo grado di attenzione: record di prezzi alle aste, mostre sempre più numerose, costruzione di musei-cattedrali. Siamo in un nuovo rinascimento o in presenza di una stanca accademia della provocazione? Se nella nostra cultura il concetto di “arte” è indissolubilmente legato a quello di “valore”, chi lo determina e con quali criteri? L’autrice fornisce spunti di riflessione su questi temi, tracciando una visione dell’arte contemporanea quale manifestazione del pensiero e del fare coerente al tempo di cui è espressione, rivelatrice profonda dei mutamenti sociali, politici, tecnologici, culturali e spirituali.

palandrif.jpg   Nato a Venezia nel 1956,   palandri.jpgpalandri5.jpgè   cresciuto a Roma (fino al 1970) a Trento (fino al 1974) a Venezia (1975) seguendo gli spostamenti del padre, ufficiale di carriera della Guardia di Finanza. Ha poi vissuto nel 1988 a Milano, partecipando alla redazione dei primi numeri di “Panta” e collaborando a Radio Popolare, e nel 2001-2 a Venezia. Vive oggi a Londra dove è Writer in Residence a University College e dirige il Centre for Italian Studies. E’ sposato e ha tre figli. Ha frequentato il Dams di Bologna (1975-1979), dove studia tra gli altri con Celati, Scabia, Eco, Giuliani. Nel Dams creativo (in quegli anni ci sono anche Andrea Pazienza, Pier Vittorio Tondelli, Freak Antoni, Giacomo Campiotti, I Melquiades di Bustric) partecipa al seminario di Celati “Alice disambientata” che diventa un libro pubblicato dall’Erba voglio di Elvio Fachinelli. Nel 1977 partecipa al Movimento e pubblica interventi su “A/traverso” e sul “Male”, cura un irregolare programma di poesia a Radio Alice e cura insieme a Claudio Piersanti, Maurizio Torrealta e Carlo Rovelli Fatti nostri, un volume che raccoglie le telefonate a Radio Alice nei giorni più caldi degli scontri tra studenti e polizia. Dopo la laurea in Drammaturgia si sposta a Roma, per un anno, dove condivide un appartamento insieme a Riccardo Tognazzi; in quell’anno frequenta soprattutto Elsa Morante, con Gianni Celati l’influenza più importante nella sua formazione. Dal 1980 si è trasferito a Londra dove ha lavorato nell’università, come consulente editoriale, nell’opera lirica e per diversi giornali (soprattutto per “Il Mattino”, “L’indipendente”, “Esquire”, “Diario della settimana”, “l’Unità“, per i programmi culturali di Rai3 e per la BBC). Dal 1979 ha pubblicato numerosi romanzi e raccolte di racconti, tra cui si ricordano tra gli altri Boccalone, considerato dalla critica uno dei libri che hanno aperto la stagione letteraria dei nuovi autori negli anni ottanta, Le pietre e il sale, Allegro Fantastico, Le colpevoli ambiguità di Herbert Markus, La deriva romantica. Diversi suoi libri sono tradotti in alcune lingue europee. Per il cinema ha scritto con Marco Bellocchio Diavolo in corpo.      interviste enr pal.jpg

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Fabrizio Tropeano
Nato a Pescara nel 1979. Vive e lavora a Milano.
Tra le mostre recenti realizzate a Milano si ricorda:
“ MI/GRE “ al Centro Culturale Francese, il progetto
site specific “ Fox Trot “ per Isola Art Center ed “
Arrivederci e grazie” curata da Alberto Garutti in Via Farini.

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(F.to- Lupo Mannaro, madre a 9 teste, radiografia del tiranno, donna degli abissi, cripto- strumento fot.)

Là dentro Scilla vive, orrendamente latrando:
la voce è come quella di cagna neonata,
ma essa è mostro pauroso,
nessuno potrebbe aver gioia a vederla,
nemmeno un dio, se l’incontra.
I piedi son dodici, tutti invisibili;
e sei colli ha, lunghissimi; e su ciascuno una testa
da far spavento; in bocca su tre file i denti,
fitti e serrati, pieni di nera morte.
Per metà nella grotta profonda è nascosta,
ma spinge la testa fuori dal baratro orribile,
e lì pesca, e lo scoglio intorno frugando
delfini e cani di mare e a volte anche mostri più grandi afferra, di quelli che a mille nutre l’urlante Anfitrìte….
….L’altro scoglio, più basso tu lo vedrai, Odisseo,
vicini uno all’altro,
dall’uno potresti colpir l’altro di freccia.
Su questo c’è un fico grande, ricco di foglie;
e sotto Cariddi gloriosamente l’acqua livida assorbe.
Tre volte al giorno la vomita e tre la riassorbe
paurosamente. Ah, che tu non sia là quando riassorbe. (/)- Ed ecco, quasi al cominciar de l’erta, una lonza leggiera e presta molto, che di pel macolato era coverta; e non mi si partia dinanzi al volto, anzi ‘mpediva tanto il mio cammino,ch’i’ fui per ritornar più volte vòlto. Temp’era dal principio del mattino, e ‘l sol montava ‘n sù con quelle stelle ch’eran con lui quando l’amor divino mosse di prima quelle cose belle; sì ch’a bene sperar m’era cagione di quella fiera a la gaetta pelle l’ora del tempo e la dolce stagione; ma non sì che paura non mi desse la vista che m’apparve d’un leone Questi parea che contra me venisse con la test’alta e con rabbiosa fame, sì che parea che l’aere ne tremesse. Ed una lupa, che di tutte brame sembiava carca ne la sua magrezza,e molte genti fé già viver grame, questa mi porse tanto di gravezza con la paura ch’uscia di sua vista, ch’io perdei la speranza de l’altezza. E qual è quei che volontieri acquista, e giugne ‘l tempo che perder lo face, che ‘n tutti suoi pensier piange e s’attrista; tal mi fece la bestia sanza pace, che, venendomi ‘ncontro, a poco a poco mi ripigneva là dove ‘l sol tace.

[Vedi:Ezio Bassani; un grande conoscitore italiano dell’arte africana, Le immagini segrete del pianeta, La magica arte africana, Comparatismo come verità del mondo, Solo Shows -Thierry Fontaine -artista dell’Oceano Indiano, Malangatana come Giovanni da Modena, Jack Beng-Thi, plasticien : arte a forte sensibilia, Omar Calabrese, Due parole sugli archetipi… La Critica D’arte Africana]

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 Il titolo, ripreso da un libro di John Steinbeck, sarà “Uomini e topi” e si riferisce alle ansie ed alle insicurezze che caratterizzano molta della ricerca artistica attuale. All’evento parteciperanno settantacinque artisti provenienti da tutto il mondo e selezionati dai tre curatori: Massimiliano Gioni, Ali Subotnick e Maurizio Cattelan, la cui presenza è garanzia di scelte non convenzionali. La Berlinale si articola in una serie di eventi ed esposizioni che si svolgeranno lungo la Auguststrasse, la via delle gallerie d’arte nel cuore di Berlino; le opere dei vari artisti saranno collocate in contesti piuttosto insoliti: appartamenti, scuole, uffici, edifici in disuso.Un elemento distintivo di questa edizione, rispetto ad altre manifestazioni simili, è legato alla scelta dei curatori di non concentrarsi solo su nuovi talenti o su artisti emergenti, ma di dare spazio anche ad artisti già affermati e già attivi da tempo per instaurare un dialogo fra generazioni diverse attraverso le tecniche artistiche più svariate, dalla fotografia, al gioco di ruolo, dalla xilografia alla videoarte. 

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tra le F.to Le misure del piede della Madonna.Mamma Schiavona Montevergine

Mamma Schiavona, la prima icona di Maria. (La Madonna di Montevergine)Dieci anni fa la studiosa che ha scoperto le ossa di San Pietro a Roma, sostenne il primato della Madonna di Montevergine. Ora i computer le danno ragione. Secondo un antico canto popolare virginiano, la più brutta delle sei Madonne campane, perché era nera, avrebbe scelto di andarsene lontano “…se ne jette a Muntevergene..er’ a Maronn’ ‘e Muntevergene”. Il canto si conclude ribaltando le posizioni e Mamma Schiavona, la più miracolosa delle sei sorelle – di Pompei, Mugnano, di Santa Filomena, del Carmine e dei Bagni – diventa anche la più bella. La dolcezza enigmatica e severa del volto della Madonna Bizantina, accogliente quant’altri mai, ha generato nei secoli un culto popolare saldissimo, ma ha anche affascinato grandi uomini di anime differenti, come Pier Paolo Pasolini – che in un suo soggiorno irpino volle visitare il Santuario – e, nel 1974, un semplice prete venuto dalla Polonia, Karol Wojtyla, che scrisse alla Madonna una dedica in latino (Sub protectione materna B.M. Virginia manete in pace et in servitio cum angelis ad salutem Populi Dei). A tanto fulgore devozionale – o proprio in ragione di ciò – corrispondono oscure conoscenze dal punto di vista storico-artistico, probabilmente anche perché – che se ne abbia notizia – mai a nessuno studioso è stato consentito di analizzare da vicino il quadro risalente, nella sua interezza, al 1200. Neanche a quella Margherita Guarducci, epigrafista archeologa e illustre storica dell’arte – sua la scoperta delle ossa di San Pietro in Vaticano – che nell’88, inseguendo un’intuizione, salì sul monte dei benedettini, nel tentativo di avvicinarsi al dipinto. In realtà la Guarducci era a un passo dalla scoperta che aveva inseguito per una vita: rintracciare la prima immagine del volto della Madonna, o, almeno, la copia occidentale più antica della prima icona bizantina, la famosa Odigitria (cioè “delle guide” dalla Chiesa degli Odeghi a Costantinopoli dove venne venerata). Questo primo volto mariano – da cui derivarono tutti gli altri portati come vessillo in testa agli eserciti-sarebbe stato trasferito in Italia dall’ultimo imperatore latino d’Oriente, Baldovino II, che in fuga verso l’occidente l’avrebbe poi donato agli Angioini: E sarebbero stati proprio gli Angioini di Napoli, secondo la leggenda, a nascondere l’icona dell’Odigitria a Montevergine……

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