Giugno 2006


barbara tucci.jpgbarbara tucci.jpgbarbara tucci.jpgpettena mail.jpg

ROBERT PETTENA – UNDER OBSERVATION
a cura di / curated by Angelo Bianco

(sopra, Barbara Tucci )

pettinicchi.jpgketoniche1.jpg

.. dalle poesie giovanili del Papa, alla ricerca della verità del Leopardi, il Foscolo, Hesse, Tangore, Pavese, Pasolini recitate dalla voce dell’attore Aldo Gioia, all’ascolto silenzioso e interpretativo del pittore emblematico Antonio Pettinicchi, alla traduzione musicale dei colori e delle forme dell’opera visiva da parte di Franco Nesi e Giulio Costanzo partecipi con i Ketoniche e Ivana De Luca alla composizione dei suoni e del linguaggio econico che parte da una sensazione primordiale, un Big-Beng e si espande nel cosmo per rinascere in un ciclo esistenziale senza tempo dove la vita è suono, presenza sonora che stabilisce inconsapevolmente la forma, la funzione e il gesto ripreso dagli artisti visivi e ritradotto in immagini oculari. Giordano, Mastrangelo, Gentile Lorusso, Mascia, Manes, Carafa, Pellegrini, Pietroniro, Macolino, Mignogna, Verrilli, Borrelli, Marini, Faralli, Barone, Peri, Frani, Janigro, Laurelli, Napoli, De Soccio, e Lino Mastropaolo cui questa rappresentazione continua si dedica. La sua tela bianca suggerisce la scomparsa ma grida la sua presenza ammonitrice sul riscatto ereditario per la promessa che tutti gli operatori delle arti in Molise, avrebbero fatto sempre la cosa giusta per questa terra. La cosa giusta è dare verità con le arti. E la danza di T. Carano Lo Giudice e Peto dello studio di Renato Greco, chiude di la complessa macchina sinestetica molisana, interpretando la leggerezza antigravitazionale dei suoni aerei dei fiati e l’euritmia terrestre delle percussioni, una sorta di sospensione tra volo aereo e sinuosità geo-serpentine. Allora lo spettacolo ci dice che non ci sono più tempi per compromessi e gli smarrimenti della nostra vera identità, prima sannita poi molisana. Antonio Picariello

vico colore.jpg

Idea di progetto  “VICO COLORE”

 

A Spoltore, un paese molto caratteristico in provincia di Pescara, tra i tanti vicoli che lo valorizzano, c’è n’è uno (non denominato) che mi ha colpito in modo particolare.

Mi ha colpito perché, pur trovandosi in pieno centro storico, non si nota subito e , a detta degli abitanti della zona è poco frequentato. Oltre ad essere molto stretto (meno di un metro), ha anche molti gradini in salita, gli si preferisce quindi un altro vicolo più agevole, a pochi metri di distanza. Nella ricerca del luogo adatto al mio intervento, nell’ambito della manifestazione artistica “Bella Vista”, mi è sembrato l’ideale. Ho pensato di “segnarlo “ e segnalarlo all’attenzione del paese e dei turisti attraverso un intervento di rottura : ostruirlo completamente con 66 aste coloratissime delle dimensioni di cm 6,5 X 2,5 x 252.

Ogni asta è rivestita con un impasto di polvere di marmo, colla e terre colorate.

“Ostruire” un percorso e dargli una “identità”, questo è il fulcro della mia idea …

Un’ostruzione non come “ negazione “,  ma come valorizzazione giocosa … insomma una “Bella Vista”. Naturalmente il vicolo dovrà essere illuminato dal basso verso l’alto con alcuni faretti disposti lungo il percorso (i lampioni esistenti saranno spenti ).

Ultimerei il mio intervento con l’apposizione di una targa (simile alle altre esistenti) con la denominazione “Vico Colore”.

Mi piacerebbe che in occasione di questa particolare manifestazione si proponesse al comune di Spoltore di assumere definitivamente tale denominazione: si verrebbe così a restituire al luogo identità e memoria. Il sogno di ogni artista è lasciare un piccolo “segno” … questo sarebbe il mio.

Cecilia Falasca

 

elena rapa, ahi che dolor.jpg

Sabato 10 Giugno 2006
al Teatro del Trionfo, Cartoceto (PU)
in occasione dell’evento ideato da Elena Rapa
“Meringhe rosa – dolci incontri diabetici”

Dalle ore 18:30 proiezione del video “Stranger”
di Christian Rainer & Karin Andersen.

Alle ore 21:30, concerto di Christian Rainer in solo acustico.

All’interno della manifestazione, lo stesso giorno:
Personale di Elena Rapa “Ahi!! Che dolor”
Concerto del trio Jazz Core, NEO
Mercatino Underground (fumetti, fanzines, cd, pins, gadgets,
t-shirts…)

 

judith1.jpg

WESTERN CRITIC – Omaggio a Benito Jacovitti” – di Boris Brollo

In un vecchio film Henry Fonda nella parte di pistolero rivolgendosi ad un altro pistolero dice:  “ Quelli come noi non cambiano, o resti in forma o perdi colpi”.  Ecco ritengo che questa sia la posizione del critico oggi. Ovviamente del critico che intende l’arte come percorso spirituale  personale e della propria epoca.  Non tanto quindi come storico della critica. Quest’ultimo non “perde colpi” essendo esterno al duello egli è solo una comparsa un comprimario come gli spettarori del duello nel film Western.Ma i pistoleri nel mondo sono pochi, così i critici che contano, per cui misurarsi con loro diventa un grossso problema.  Questi hanno mezzi, contatti, soldi, per poter mettere sul mercato quello che gli pare. Anzi sono sempre spalleggiati da qualche padrone che nascosto cresce nell’ombra e governa la città. Ne tira le redini ed il critico pistolero gli serve per  tenere buoni gli altri.  Allora i più bravi cercano vitto e alloggio nelle adiacenze, nelle città vicine, nelle diverse riviste ed ognuno si crea la propria fama. Ogni tanto qualche giovane inesperto si azzarda a fare qualche puntata contro nel suo territorio e viene disarmato. Mai ucciso perché non farebbe onore come invece fa onore e crea fama di magnanimità lasciar vivere. Attenzione non è il lassez faire di vecchia memoria. Qui nel Far West tutto è controllato. Quindi è previsto un potere locale costruito a macchia di leopardo, e  in mezzo i giovani pistoleri possono imitare i grandi facendo le loro prepotenti e piccole scorrribande. Ogni tanto succede che fra grandi critici ci sia un diverbio con lo spostamento dei diversi piccoli pistoleri a favore di uno o dell’altro questo crea un momento di scompiglio di entropia che poi, sempre per la seconda legge dell’entropia, rientra con pacifico equilibrio.Raramente uno uccide l’altro di solito muoiono per vecchiaia e per questo è anche finito il piacere del film il  Western tant’è che si dovuto inventare lo “spaghetti western” , Si è salvato come figura solo quel vecchietto menagramo che se vi ricordate aveva il ruolo di Cassandra dell’arte, e fra questi mi ci metto anch’io, in compagnia di qualche altro che scrive sulle riviste d’arte. Non facciamo nomi per non trovarci poi sfidati e magari impallinati. Ah, questa benedetta Età dell’Oro. Ma la vena si sta esaurendo da un pezzo e molto spesso come succedeva nel Far West c’erano intere migrazioni di cercatori d’oro (leggi d’Arte) che andavano per le fiere dette Saloons a comperare merce a caro prezzo che speravno di ripagare con il ritrovamento della pepita. Ma il Cattivo del Paese  vigilava e imponeva i suoi prodotti. Finchè una mattina all’alba giunse Cocco Bill e ti organizzò una sfida a Kwanju, una sfida a Sharjah, una sfida, a Istanbul, una sfida a Venezia, una sfida a Praga, una sfida a Seul, una a Tirana e via dicendo (però Biennale! Eh sì, guai alla ressa!) acciocchè i critici pistoleri fossero costretti a pistolettare uno contro l’altro così finalmente si sarebbero misurati. Ne perirono molti, ma i cattivi mercanti ebbero un’idea ancora più geniale (come sempre sono i cattivi ad essere geniali mai i buoni basta leggere la Bibbia!). Ed ecco allora che i mercanti d’arte, i cosidetti Cattivi inventarono le fiere d’arte. Una qui, una lì, una più in là, come i funghi,  e cosi avanti e assunsero Cocco Bill detto Buffalo Bill a ripetere le sue gesta, oramai stanche sino all’esaurimento in attesa dell’arrivo della pensione. Così calò un sipario finale con la scritta : “l’arte è un pezzo che è finita,  è ora che spariamo ad altro”, firmato: Cocco Bill 2, la vendetta!

angelisrafel-gold-cover.gifPiselli Francesco.pdf

Sulla strada del Tempo, l'agitazione è indescrivibile; 
transito di feste e disperazioni,
 macchine stupefacenti, scintillanti, tenebrose, 
bandiere insanguinate, striscioni pubblicitari, 
clamori di ilarità, di orrore, pettegolezzo, spaventevoli esplosioni,
 silenzi mortali, colonne di gas brucianti, 
migrazioni di popoli derelitti o anche in weekend. Si impongono santità e 
criminalità smisurate; molecole prodotte dalle piú fini intelligenze a 
volte
 sgominano - a volte non riescono - malattie 
fisiche inaudite; ma le malattie istituzionali e sociali sembrano 
ancora piú ostinate.
 Un che spiccatamente convulsivo dissona rispetto a progressi 
abbacinanti della ragione riversati in algoritmi che determinano,
con durezza, gran parte della nostra esistenza
sotto i piú vari aspetti. Una mente storica, pur
se non sia, secondo il buon metodo, propensa allo
stupore, non sa davvero se meravigliarsi piú per
gli straordinari progressi, o per lo stridore che
essi mantengono con sacche di resistenza persino
arcaiche, gli uni e le altre a volta confortanti,
a volta terrificanti.

semi rossi salvatore camminiello.jpgCardone rino.pdf

Dalle grotte di Gargas, di Altamira e di Lascaux ai grattacieli di Manhattan e alle bidonville di Caracas e di Calcutta. E’sempre, e in ogni caso, l’archetipo che si rinnova. La storia e il tempo che passa. L’arte è in continuo divenire. Dalle fitte nebbie del cosiddetto “emergere cosmologico” si alza un’intensa polifonia. E’ il cuore stesso che parla: a volte per suoni e a volte per immagini. E che racconta 1’uomo appoggiandosi vuoi alle note e vuoi anche ad una fitta e delicata armonia di segni:
In questo caso, segni antichi e moderni, apocalittici ed ancestrali, stereotipi e inusitati, ludici e razionali, in altre parole plastic writing. Ciascuna di queste scritture plastiche di Salvatore Comminiello è popolata da figure zoomorfe, da microsegni magici e da pressochè minimali – quasi impalpabili – forme astratte (che nella loro distribuzione armonica) effettuata sia sul piano prospettico e sia nello spazio geometrico/primario della composizione, sono come fluttuanti .
Tutte queste, figure, messe una sull’altra, rappresentano delle autentiche microstorie di un tempo antico: di un tempo pressochè remoto, svanito negli anfratti della memoria. Ovvero sia si tratta di immagini che sono una rappresentazione – più che mai esatta – del nostro “passato semantico” (genius loci),e della nostra paura di individui umani di vivere a contatto ‘diretto” con aspetti) ignoti “e casuali della natura.
Ma questo non basta. Si tratta pure, infatti, di figure che sostanziano la nostra stessa contemporaneità. Oltre ai ricordi – queste forme – rappresentano, in buona sostanza, il nostro stesso presente urbano, mitigato dagl’intimi racconti dell’anima che affiorano dalle auliche praterie dell’immaginazione e della creatività. La calligrafia semantica di Salvatore Comminiello è pura sublimazione immaginifica della realtà, è nitida scrittura ieratica, è paesaggio astratto dei nostri più intimi e fantastici “luoghi lirici”della personalità.
La calligrafia semantica di quest’artista (“etnico” nella sua dimensione visiva e metropolitano nella sua capacità cognitiva di rapportarsi al mondo) rappresenta un’autentica alba tecnologica all’interno della ricerca dei materiali (basti pensare all’uso che fa delle lacche, come anche dell’acetato e delle pellicole di cellophane). In definitiva, nel suo lavoro creativo, sperimentazione linguistica ed avanguardia creativa procedono di pari passo. E mostrano i caratteri di una visione ierostorica della realtà che consente a chi osservi i.dettagli di queste sue opere di potersi riappropriare, sia del passato e sia del presente, in una chiave. sacra e mitologica. Ovvero sia in una chiuve diacronica, svincolata dagli effetti di causa e d’effetto. ( R. Cardone- S.Camminiello F.to)

tornano.gif
Nata ad Ortucchio( AQ) vive e lavora a L’Aquila. Conseguita la maturità scientifica si iscrive all’Accademia di Belle Arti dell’Aquila dove, seguita e apprezzata dai Maestri P.Sadun, A.Scordia, G.Strazza, si diploma in pittura nel 1973 discutendo una tesi su Paul Klee con S. Bussotti, L. Trucchi e A. Monferini. Grazie ad una borsa di studio dell’Accademia di San Luca diretta da Mino Maccari, opera come incisore dal ‘73 al ’75 con Guido Strazza, Giulia Napoleone e Luca Patella presso la Calcografia Nazionale di Roma diretta da Carlo Bertelli. Dal 1976, dopo una breve parentesi come Docente di Percezione visiva e Psicologia della forma, è titolare della 1° Cattedra di Anatomia Artistica presso l’Accademia di Belle Arti dell’Aquila. Ad una intensa attività artistica documentata da esposizioni in Italia e all’Estero (America Latina, Neuchatel, Hamilton, Rottweil, Toronto, Budapest, Craiova, Calafat, Mosca…), affianca un interesse crescente per il mondo dell’infanzia tanto che promuove presso la stessa Accademia l’indirizzo sperimentale di Didattica per l’arte di cui è coordinatrice. Le metodologie didattico-formative dell’arte, sperimentate nei laboratori da lei diretti nelle scuole e al MUBAQ- Museo Dei Bambini L’Aquila che ha fondato, sono oggetto dei tre volumi pubblicati nella collana di Educazione alla visione” L’arte a scuola”. Artista eclettica, realizza con musicisti (Carlo Crivelli, M. Fischione…)e Enti e Associazioni musicali (Società dei Concerti Barattelli, Sinfonica Abruzzese, Officina Muisicale, Gruppo Serafino Aquilano, …) spettacoli- concerti come “Il mondo sonoro di Escher”, “C’era una volta il XX° Secolo”, “Musica per arte sacra” , C’era una volta…al Castello in cui suoni, immagini, architetture si incontrano creando suggestioni inusuali e coinvolgenti.

occhi cover.jpg

Je pense, donc je suis (Cogito ergo sum) non è solo la formula in cui si costituisce, con l’apogèo storico di una riflessione sulle condizioni della scienza, il legame con la trasparenza del soggetto trascendentale della sua affermazione esistenziale. […] Il posto che occupo come soggetto del significante è, in rapporto a quello che occupo come soggetto del significato, concentrico o eccentrico? Ecco il problema. Si tratta qui di quell’essere che appare solo per il lampo di un istante, nel vuoto del verbo “essere”, e ho detto che pone la sua questione per il soggetto. Che vuol dire? Non la pone davanti al soggetto, perché il soggetto non può venire al posto in cui esso la pone,, ma la pone al posto del soggetto, cioè in questo posto pone la questione con il soggetto, così come si pone un problema con una penna, e come l’uomo antico pensava con la sua anima. […] Ciò che pensa così al mio posto è dunque un altro io? […] In altri termini, questo altro è l’Altro che è invocato persino dalla mia menzogna come garante della verità in cui sussiste. Nel che si osserva che è con l’apparizione del linguaggio che emerge la dimensione della verità. (J. Lacan)- La sintesi di McLuhan è nelle parole di Gino Agnese. McLuhan non è stato tanto utile agli operatori dei media quanto agli utenti dei media. McLuhan ha insegnato non voglio dire a diffidare dei media, ma ad “esporci” ai media con consapevolezza e prudenza. Ha diffuso la consapevolezza che i media non sono innocenti, non sono innocui, non sono privi di effetti, come si può credere. Tutto dipende da quello che uno mette nel medium: la, macchina va bene, però dipende da dove si va con la, macchina, oppure da come ci si va. Se si va troppo velocemente, si corrono dei rischi: si può investire qualcuno. Quindi c’è questo luogo comune che ancora sopravvive: che il medium sia neutrale. Invece non è così: i media non sono affatto neutrali, i media plasmano i nostri comportamenti[1], suggeriscono comportamenti e modi di pensare e in qualche modo orientano le nostre scelte, indipendentemente dai contenuti, i quali certamente hanno la loro importanza. Il grande lettore ha le physique del grande lettore: è il topo di biblioteca. Le persone normali rispettano l’uomo che legge molto, che è sempre immerso nella lettura,, ma ne hanno anche un minimo di sospetto: non si darebbe volentieri la guida, per esempio, di una città in pericolo ad un intellettuale immerso nei libri, perché si pensa che una esposizione ininterrotta alle emissioni di un medium – in questo caso la stampa – se da un lato arricchisce, dall’altro possa anche limitare: possa, per esempio, indurre a una mentalità sequenziale e quindi a una predilezione per la logica sequenziale e per tutti i comportamenti che siano sequenziali., ma sappiamo bene che l’uomo non si esprime soltanto in termini sequenziali, e che ci sono apprezzabili e persino preziose testimonianze di pensiero non sequenziale, come quello poetico: la poesia infatti non è necessariamente sequenziale. E questo per ciò che riguarda l’esposizione alla lettura. Non è un esercizio da poco andare dal simbolismo delle lettere dell’alfabeto al raggiungimento di un concetto, di una figura o di un ricordo. È una ginnastica che per McLuhan non poteva essere innocua, né priva di conseguenze. Altrettanto si può dire delle immagini: una persona o, a, maggior ragione, un minore, un bambino che sia dalla, mattina alla sera alle prese con delle immagini, cioè che stia davanti alla televisione per lunghe ore, certamente va incontro ad una deformazione, perché gli, manca la parte sequenziale. McLuhan ci ha insegnato a curare l’equilibrio, cioè ad assumere i mezzi di comunicazione, o ciò che i mezzi di comunicazione ci danno, con prudenza e badando a non esagerare in un senso o nell’altro, perché essi non sono innocui. Gabriele Perretta inorridisce al pensiero che ancora oggi si parli di McLuhan[2], oggi che siamo oltre ogni possibile confine sensoriale che definisca e “limiti” il senso dello scambio comunicativo. Non a caso l’ apertura di questo discorso ripropone il pensiero di Lacan e l’immagine indefinibile di un “soggetto oggetto ” o di un “oggetto soggetto” che esistono in una condizione (come quella contemporanea) in cui la forte accelerazione di senso non permette nessuna enunciazione qualificante se non per “aperte convenzionalità quantistiche” in cui chi muove il mondo e il mondo diventano la stessa cosa (Si tratta qui di quell’essere che appare solo per il lampo di un istante, nel vuoto del verbo “essere”, e ho detto che pone la sua questione per il soggetto[…], e come l’uomo antico pensava con la sua anima). Personalmente ho una sorta di valore iconologico-letterario che mi concede , sia pure in modo molto allargato e fortemente arbitrario, di dare un aspetto figurativo alla questione. Mi rifaccio alle immagini impossibili da realizzare in forma visiva, ma che possono essere, magnificamente espresse in forma letteraria. Si tratta del “paradosso mitologico” della volpe di Teumesso che era così veloce che nessuno poteva raggiungere e del cane di Cefalo che era così rapido che nessuno poteva distaccare. Ecco, in qualche modo, questo ”labirinto visionario”, rappresenta la condizione globale della nostra accelerata contemporaneità. Ed è nella dimensione della massima qualità del movimento indefinibile, che si muove ed opera il dovere della critica d’arte contemporanea. Il convegno, in questo caso, diventa un vero e proprio evento artistico. Una sorta di concilio spontaneo e armonico che può rientrare, per vicinanza al gioco, ai sistemi delle estetiche informazionali. Una concentrazione centripeta tra percezioni della critica e comparazioni esperenziale, intuito ed empirismo al servizio dell’indizio e della progettualità fattiva. Si tratta, allora, di riconsiderare anche quanto a suo tempo mise in campo Omar Calabrese riportando le idee di Moles che differenziava due tipi di informazione: semantica ed estetica. La prima prettamente utilitaristica e preparatoria all’azione, la seconda antiutilitaria, inintenzionale, intraducibile in altri canali e preparatoria a stati d’animo. Le due modalità di apparizione dell’informazione sono però sempre compresenti. In questo caso si potrebbe aggiungere una terza modalità che diventa, appunto, quella dell’espressività e dell’incontro tra esperti della critica. Qui l’informazione assume i caratteri della complicità storica in quanto la centralità dell’incontro mette in tema la necessità di ricercare, necessariamente, non solo uno sguardo d’insieme che analizzi e promuova le conoscenze effettuate dai vari elementi partecipanti al “convivio”, ma inciti, attraverso una sorta di investigazione delle idee e dei differenti o concordanti punti di vista, verso l’individuazione di una linea generale da prendere in considerazione. Si tratta allora di scovare degli indizi delle “onde di senso” o dei percorsi semantici capaci di produrre nuova qualità e nuove linee progettuali da poter seguire in condivisione. Lo scopo e la finalità di Tracherart è esattamente quello di trovare indizi intellettuali e di tendenza che indichino o, semplicemente, cataloghino o generalizzino una classificazione aperta e stimolatrice attraverso i molti punti di vista che i “Cogito ergo sum” invitati, mettono in campo. Si tenta, in qualche modo, di spostare quello che finora è stato il gioco della critica verso una trasformazione definitoria atta a stabilire concretamente quello che è, non tanto il compito della disciplina, se poi esiste una disciplina della critica d’arte, ma il dovere etico e morale che riguarda il personaggio che veicola quel modo e quello stile di analizzare o porre il pensiero critico. Si tratta dunque di spostare il punto oggettivale dalla critica d’arte al punto “soggettivale” dei critici. È il modello partecipativo e il tipo di gioco che i critici, decidendo liberamente e senza predeterminazione, mettono in campo. Il critico presenta se stesso e le proprie linee di percorso e di corrente intellettuale. Si tratta, in qualche modo, per dirla in forma di metafora “antropofaga”, di rimettere carne fresca nel labirinto del Minotauro del nostro tempo che agisce, per abitudine consolidata, tramite il dominio della centralità sperimentata e stabilizzata ai confini della caotica, e avanguardistica, qualità organizzativa delle sue vittime. Si tratta di un Minotauro abituato da millenni alla pazienza dell’osservatore premuroso, pronto e scattante nell’attimo giusto e nell’equilibrio dei ritmi e delle azioni che evolvono per tentativi (prova e errore) nel reticolo (a principio rizomatico) del suo ambiente abitudinario, per difendere e consolidare la propria condizione tradizionale e il vessillo canonico a favore del “tutto deve restare com’è” contro cui si scontra, a volte rigenerandolo, la nuova e necessaria “onda di senso” innovatrice, soffiata e alimentata , questa volta, dall’incontro conviviale, ma caricato dal compito di diffondere nuovi “gridi” per tentare di rinvigorire qualunque “bestia” nella foresta dell’arte che trascina impietosamente “l’essere nel tempo e nella dimensione dei viventi” verso la rinuncia, verso il vecchiume ridondante e stantio, e verso la “soffocanza” dell’abituale. Trackerart, nuove idee, giovani artisti, fresco gioco per giovane mondo all’inizio del suo millennio. A.P.



[1] Richard Dawkins. “Il gene egoista”. La cultura è contagio. Nel senso letterale del termine. E’ un’infezione che aggredisce la nostra mente a opera di agenti che, per assonanza coi patogeni, potremmo definire “noogeni”: generatori di idee. Questi agenti si chiamano, “memi” e da tempo si sono impossessati delle menti degli umani, causando il progresso delle arti e delle scienze, creando linguaggi e religioni; generando mode e luoghi comuni. Il meme del meme, l’idea originale che l’informazione culturale si trasmette per imitazione di mente in mente, attraverso moduli unitari e compatti.

[2] Intervista. “Povero Luigi XVI – Alla ricerca della Felicità-”, Nino Barone Antonio PICARIELLO, Radio Hoollywood 2004

litalia italia.jpg

L’Italia invecchia, un italiano su 5 supera i 65 anni,mentre la percentuale di minorenni è scesa dal 18,4% del ‘95 al 17,1% del 2005. questo andamento indica che entro il 2050 la percentuale di persone con 65 anni o più potrebbe crescere fino al 34% e quella dei minori ridursi ulteriormente al 15,4%. E questo, accade, nonostante l’andamento della fecondità nell’ultimo decennio abbia invertito la tendenza alla contrazione progressiva. E’ quanto emerge dalle stime dell’Istat che anticipano i principali indicatori demografici del 2005. I dati dell’istituto di statistica rivelano che nel 2005 la stima del numero medio di figli è pari a 1,34 (1,33 nel 2004) e si tratta del livello più alto registrato in Italia negli ultimi 15 anni. Il recupero va attribuito soprattutto alle regioni del Nord e del Centro dove nel periodo 1995-2005 il numero medio di figli per donna passa da 1,05 a 1,34 e da 1,07 a 1,29. La ricognizione dell’Istat rivela pure che le Marche sono la regione più longeva, sia per gli uomini sia per donne. I “rapporti” demografici mondiali, però, dicono che l’umanità ha raggiunto i sette miliardi di unità viventi. Sappiamo che la crescita è di carattere esponenziale, non addizionale. E’ ipotizzabile, dunque, che fra una decina di anni il numero di “Formiche Umane” sul pianeta raggiungerà una cifra superiore ai quindici miliardi. Sebbene l’ONU non sia di questo avviso, considerando i modelli decisionali che governano il sistema mondiale, si può immaginare che il comportamento delle classi dirigenti si stia occultamente (in forma di patti segreti delle congregazioni) organizzando per selezionare la sopravvivenza della specie. Eliminata progressivamente la parte debole, si stabiliranno i criteri riproduttivi della parte sopravvissuta. Questi organizzatori, peccato, siano stupidi. Credono che il rapporto di ricchezza corrisponda alle leggi della natura.Dopo tutto, non si tratta d’altro che di un bel gioco!…Il fumo uccide, ma la superbia distrugge. Meglio ritornare agli otto peccati capitali..

« Pagina precedentePagina successiva »