Febbraio 2007


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da canzone n 47-1.pdf

Quia Dixi di Marzio Rosi accoglie il dinamismo contemporaneo con gioia, dispiega, nello spazio breve della forma canzone, tutta la forza dell’elettropop, spinge il gesto compositivo verso la frontiera, sempre gravida di conseguenze e di provocazione, del cross-over linguistico.
Il punto di partenza, il Quia Dixi di Orlando Di Lasso, compositore fiammingo tra i più proliferi, vissuto tra il 1500 ed il 1600, è di per sé un luogo lontano. Ma non nella mente. Almeno non in quella di un progettista di nuovi paesaggi sonori nei quali è possibile, a patto di creare efficaci codici di significato, ricomporre passato e presente.
Marzio Rosi entra nella dimensione tipicamente rarefatta di un brano polifonico di ispirazione religiosa con la forza di uno spostamento d’aria che disperde o trasforma.
La polifonia si sbriciola per lasciare il posto ad una caleidoscopica visione di sovrapposizione di elementi di natura diversa : polifonia di timbri, di ritmi, di stili, di significati veicolati attraverso cellule di testo .
Il messaggio contenuto nel salmo (il XXXVIII delle sacre scritture) rimane così al centro anzi è rafforzato; la declamazione melodica svetta su strati di colore che, pure addensandosi, conservano la loro distinguibilità . Anzi, la vaghezzadel canto rinascimentale, che consegna parte della propria intellegibilità al gioco delle voci, è ora ricomposta nell’incalzante groove delle percussioni che apre alla dimensione del parlato e alla contaminazione del testo come anche agli “a solo” strumentali che sconfinano, con il loro sottile richiamo alla mistica sonora del Coltrane di ” A love supreme”, nel libero sermone improvvisativo.
Una nuova spiritualità, ancora una volta sospesa, questa volta grazie ai contrasti, nelle cui pieghe, nei cui respiri il corpo elettronico tenta di inserirsi creando interferenze, discontinuità, fratture temporali.
Una spiritualità segnata dal presente.
Massimiliano Fuschetto  su Konsequen

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Alcuni ritengono che ci sono miti, metafore e figure sacre che hanno un significato universale, come l’armonia musicale; da qui lo studio degli archetipi universali che suscitano in tutti sensazioni ed emozioni profonde. Secondo questa prospettiva i nostri stati d’animo più oscuri rappresentano anche una porta aperta al nostro Io più profondo. A introdurci a questo argomento tanto oscuro quanto affascinante sono Graziella d’Achille, Giulia di Filippi e Antonio Santaniello, autori di Archetipi dell’Uni-Verso (Nuova Ipsa Editore), dove individuano delle interessanti interazioni tra gli Archetipi Universali e la filosofia dei Fiori di Bach. Li abbiamo invitati a parlarcene insieme a Pierrot Amicone e Maria Stella Rossi.

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Caro Antonio,
Mario Serra ha fatto affiggere una cinquantina di questi manifesti – giganti – per le vie di Campobasso.
Credo che il problema del rapporto perverso tra pubbliche amministrazioni e gruppi di dopolavoristi sia stato posto a livello “ufficiale” ed ineludibile.
Nel manifesto sono visibili opere ed un volto che rimandano – chiaramente – alla recente mostra……
Parimenti credo che l’intervento debba essere posto in essere, a livello critico, da chi ha le chiavi di lettura della situazione
E’ un’occasione che non deve passare senza essere raccolta in modo pacato ma parimenti foriero d’una seria riflessione.

La perdita di Stefano Chiarini, è incommensurabile.
Ci mancherà un amico.
Per noi Stefano è stato un interlocutore intenso, e una possibilità di
orientamento, allor quando a partire dal testo di Jean Genet sul
massacro di Sabra e Shatila del 1982 a Beirut, per noi è nata forte
l’esigenza di approfondire ancora di più la condizione dei profughi
palestinesi in Libano,
lui con la sua conoscenza e capacità ci ha aiutato a comprendere meglio
i fatti, le circostanze e gli avvenimenti storici, sociali e culturali
della causa palestinese e per questa causa e anche per questo ci
mancherà sempre.
Ci mancherà questo uomo capace di introdurre, i giovani, gli studenti e
il pubblico a questa storia, suscitando il desiderio di approfondimento
e coscientizzazione.
Ci mancherà questo uomo per la sagacia e la determinazione con cui, in
tutti questi anni, ha tenuto viva la necessità di difesa dei diritti
del popolo palestinese.
Le ultime due volte che abbiamo incontrato Stefano sono momenti che
custodiamo con amore nei nostri cuori:
a settembre 2006 eravamo nel campo profughi di Rashidye, a sud del
Libano, a quasi neanche un mese dal cessate il fuoco della guerra,
stavamo svolgendo un workshop sulla costruzione dei burattini con
diversi bambini e ragazzi del campo e un pomeriggio sono arrivati
Stefano, Monica, Sandro, Carlo, Stefania e altri del “Comitato per
non
dimenticare Sabra e Shatila”, in delegazione, in visita al campo
e per
incontrare Sultan Abu Alaynen, responsabile di Fatah in Libano; poi ci
siamo rivisti, a distanza di un mese, ad ottobre al bar vicino alla
sede del Manifesto dove ci si incontrava, nell’intervallo di
pranzo,
per scambiarci pareri e opinioni sui film, autori e ospiti da invitare
e spettacoli da proporre per “La Linea di Pace”,
manifestazione
dedicata alla questione dei profughi palestinesi.
Se la memoria ha ancora un senso gli uccelli riusciranno a volare
liberi senza frontiere oltre l’ultimo cielo.
Tutto il nostro cordoglio alla sua compagna e ai due giovanissimi figli.
Cam e Joerg – Deposito Dei Segni

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