Settembre 2007


Placide Tempels , La Philosophie Bantoue, soc. editrice il ponte vecchio.

http://www.bantu-languages.com/fr/

http://www.nigrizia.it/

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Vogliamo, invece, vedere se nella sua visione del mondo esistono per il Bantu principi costanti e ricorrenti, comuni ed irriducibili che fanno sì che il Bantu sia tale, e attraverso i quali gli individui si guidano, nella loro soggettività, alla ricerca, o meglio, all’ascolto di quella voce del sangue, a cui abbiamo già fatto cenno a proposito del linguaggio. 

E’ su questi principi, infatti, che si fondano ed innalzano gli spalti criteriologici, psicologici, sociologici ed etici. P. Tempels ha dimostrato che la criteriologia Bantu riposa sull’evidenza esterna, sull’autorità, saggezza e sulla Forza Vitale degli Antenati, ma anche sulla evidenza interna, cioè sulla esperienza della natura e dei fenomeni vitali.

Secondo Tempels il Bantu identifica l’Essere con la Forza Vitale. Le idee, il comportamento, tutta la cultura, non si svolgono secondo i principi di identità, di non contraddizione e sulla nozione di essere come atto, bensì sulla nozione di “Forza Vitale”, che ha valore di principio. “L’Essere è ciò che possiede la forza… L’Essere è la forza… la forza per il Bantu non è un accidente… è l’essenza medesima dell’Essere in sé” 

René Maran dice:  “Il negro ha la passione della Forza. I precetti morali che lo orientano, derivano quasi tutti dal culto che egli le rende”.

Tutte le manifestazioni socio-religiose perseguono lo stesso fine, quello di acquistare vigore, di vivere con esuberanza di rafforzare la vita ed assicurare senza interruzione la sua perennità nella discendenza:

 

“La Forza, la vita possente, l’energia vitale sono l’oggetto delle preghiere ed invocazioni a Dio, agli spiriti ed ai defunti…”.

 

Questa realtà ontologica si applica a tutto; malato è chi non ha forza. Intelligente è chi ha forza. La salute è la forza del corpo. Tutta la natura, il clima, il suolo, i fenomeni, le piante, gli animali ed i minerali non possono spiegarsi da se stessi, come dice il proverbio Kimbundu:

 

“Dibengu katuluké diie: uadiangela ku-di-banda” (Il topo non scende dalla palma se prima non vi si è arrampicato).

 

In altre parole, non vi è effetto senza causa.

 

Le cose conservano infinite virtualità nascoste che l’uomo non conosce con esattezza. Ed è frugando in questo “arcano” che il pensiero Bantu espleta le sue mansioni. La forza vitale è misteriosa ed è mantenuta da un sistema invisibile di energie e forze le cui relazioni reciproche non sono tutte chiare.

 

“Nel mio rapporto al primo congresso – dice Senghor – ho tentato di tratteggiare, a grandi linee, la metafisica negro-africana. Precisavo che era una ontologia, una scienza dell’Essere… Il Negro identifica l’Essere alla Vita: più esattamente alla Forza Vitale… Per costui (il Negro), una forza vitale, simile alla sua, anima ogni oggetto dotato di caratteri sensibili: da Dio sino al granello di sabbia”.

“In altri termini, tutto ciò è simile a quanto afferma il Padre Pierre Teilhard de Chardin quando scrive: ‘…il che equivale a dire che la Vita può essere considerata come sotto “pressione” da sempre e dappertutto nell’Universo, nascendo appena le è possibile, dovunque le è possibile; e, laddove è apparsa, intensificandosi quanto possibile nella immensità del tempo e dello spazio’ “

 

Ed alla domanda: che cos’è la Vita? – Senghor risponde:

 

“Per i Negro-Africani è una forza, una materia vivente, capace di accrescere la sua energia, di rinforzarsi o di deforzarsi. L’Essere-Forza Vitale è così in collegamento con altre forze se vuoI crescere e non deperire”.

Vivere, dunque, per l’uomo non è solo muoversi ed avere delle attività, ma è apparire con forma umana, occhi che captano, udito attento, freschezza, vigore, sensualità, per raccogliere le infinite onde della Vita.

ospitare, accogliere  

I verbi usati in Kimbundu per designare l’accoglienza dell’ospite sono prevalentemente due: kttzalela e kutam­bulula . E così li troviamo ad es., in Rom 12, 13: “Muzalela jinga asonhi” (fate di tutto per essere ospitali); 1 Pt 4, 9: “1Kala muthu a tambulule mukuà ” (siate ospitali).

Prima di inoltrarsi nell’analisi del loro significato va fatta un’importante osservazione sul verbo kimbundu: esso presenta delle modificazioni semantiche estremamente interessanti per mezzo di certe particelle e suffissi verbali, dando origine a significati diversi. Vediamo, ad es., come viene tradotta la frase di Mt 10, 20: “Non sarete voi a parlare, ma sarà lo Spirito del Padre Vostro che parlerà in voi”. La Bibbia kimbundu traduce: “… ki enu dingi mu zuela, maji o Nzumbi ia Tat’enu muene u zuelela moxi dienu”. Il kimbundu usa zuela, per il primo “parlare” e zuelela, per il secondo (che tra l’altro sta al presente e non al futuro).

Non è questa la sede per soffermarci sulle peculiarità di ogni forma. Ai fini della nostra ricerca ci limiteremo a osservare che delle forme in questione, non tutte coinvolgono il soggetto agente in egual misura. Le forme attive, iterative, passive, frequentative, ad esempio, toccano il soggetto nei suoi aspetti diremmo puramente sociologici e formali, mentre le forme relative, causative, determinative, coinvolgono il soggetto in tutta la sua dimensione etica, morale e antropologica, postulando un senso di responsabilità, del tipo di chi deve presentare i conti a qualcuno.

Torniamo ora ai nostri verbi impiegati per designare l’accoglienza dell’ospite: kuzalela e kutambulula. Il primo ha come verbo-madre kuzafa e in questa posizione significa propriamente “stendere una stuoia”; il secondo invece viene da kutambula e significa “ricevere”.

Il fatto che i bantu nel contesto dell’accoglienza dell’ospite usino le forme relativo-determinative, lascia intendere che essi compiono l’ospitalità non solo con la coscienza di una iniziativa puramente personale, e nemmeno come un cieco istinto di solidarietà, bensì lo fanno in ottemperanza di imperativi e dettami ben precisi e con una ben chiara consapevolezza della responsabilità che grava su di loro quando devono muoversi nell’ambito dell’ospitalità.  In  altre  parole  i  bantu  vedono nell’ospitalità una domanda e un dono mascherati che esigono una risposta ed un’accettazione concrete, attente e responsabili.

Stando così le cose, allora, si può capire adesso la parentela semantica tra mujitu (ospite) e ujitu (offerta). In questa prospettiva, dunque, il kuzalela non ci dà semplicemente il senso di stendere una stuoia per farvi dormire una persona, quanto il senso di stendere quella stuoia con riverenza, grazia e premura. Il kutambulufa non traduce semplicemente un ricevimento guidato da criteri individualistici e soggettivi ma, nel farlo, si deve dare il meglio di se stessi, perché chi ospita deve rappresentare tutta la comunità a cui appartiene, comunità che è composta dai vivi e dagli antenati, di cui parleremo più avanti.

Maria Antonietta Pappalardo

 


 


 

 

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È stata veramente un’esperienza scioccante assistere alla presentazione del museo di arte contemporanea “Franco Libertucci” a Casacalenda, luogo che detiene uno dei più qualificati musei all’aperto e di arte ambientale d’Italia. Kalenarte che raccoglie prestigiosi artisti:

Ciriaco Campus-Mauro Folci-Claudio Palmieri-Elio Cavone-Igino Legnaghi-Michele Peri-Antonio Cimino-Carlo Lorenzetti-Alfredo Romano-Andrea Colaianni- Nino Barone-Teodosio Magnoni-Carmine Tornincasa-Tonino D’Erme-Lino Mastropaolo-Adrian Tranquilli-Fabrizio Fabbri-Hidetoshi Nagasawa-Costas Varotsos…. Solo per citarne alcuni che segnano le pagine dell’enciclopedia della storia dell’arte contemporanea. Museo inventato dalla sapienza di F. Pommier e la costanza di M.Palumbo che in occasione dell’overture del nuovo museo interno, di arte contemporanea, presenta il suo libro : Franco Libertucci scultore Re,Regine, Alfieri,Torri,Cavalli. Levante editore. I Conferenzieri, Franco Purini, che si è guardato bene dal venire in sede intuendo, forse, la qualità messa in spettacolo dalla limitata possibilità offerta da un Sindaco a cui Bonito Oliva, in occasione della magnifica rappresentazione, MoliseCinema, senza molti scrupoli, come è nel modello avanzato del critico, ha chiesto, “Ma lei che studi Ha?” E la risposta sublime in pubblico è stata : “ Ma mo, questo che c’entra?”. C’entra c’entra, eccome c’entra…..C’entra, perché senza un’adeguata preparazione di base, senza la copertura di esperti che possano sostituire il vuoto conoscitivo, questo tipo di occasioni culturali, di presa di coscienza collettiva, diventano, come poi è stato, una fiera dei ringraziamenti e degli encomi che portano solo passerelle politiche cui, la decadenza pubblica e politica italiana, manifesta nel suo pieno limite il senso della contemporaneità. C’entra perché non si può restare basiti davanti a situazioni che hanno dell’incredibile e che possono essere messe in atto solo da chi è latore di un’immensa mancanza del sapere ( di discipline artistiche e umanistiche) come lasciare un quadro della rosa degli artisti partecipanti alla composizione del museo, in una stanza ad ornamentare le giornate dell’impiegato che la abita durante le ore di ufficio. Ci vorrebbe un’analisi attenta e scrupolosa e non solo di stampo sociologico e umanistico, ma anche “lacaniano” per spiegare, per spiegarci, la fenomenologia che instaura queste manovre “border limite”: c’est quoi ca?… Si è assistito alla pazienza di Francesco Meschini che ha dovuto tagliare la recita epica di Massimo Palumbo che pur avendo costruito un ottimo testo facendo intuire la sua buona volontà per la salvezza del tutto, ha dato visione di una mancanza, purtroppo, di conoscenza delle modalità conferenziali, cadendo nella trappola comune che vuole i contenuti del discorso misurati con il fascino della scena e dei tempi di intervento. Non a caso Lorenzo Canova si è limitato a ringraziare tutti e tutto per lasciare voce a quelli che sono stati i veri e salubri discorsi messi in campo; La buona analisi di Iole Ramaglia, e il sentito esperto intervento dell’assessore regionale Sandro Arco. Personalmente mi sarebbe piaciuto che qualcuno spiegasse il rapporto filologico e “analogico referenziale” del monumento ai caduti di Franco Libertucci e la famosa fotografia di guerra di Robert Capa “miliziano morente”, e il simbolismo dell’intero impianto monumentale; orizzontalità della morte, verticalità dell’albero frontale indice della nascita che passa attraverso i percorsi sociali e destinali, anche quelli scacchistici, della vita fino al termine escatologico che porta il senso vero dell’esistenza. Credo di sapere che avrei preteso troppo… a. p.

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COMUNICATO STAMPA

per cortese pubblicazione

Dal 23 Settembre al 25 Novembre, sul sito antologico www.alangattamorta.it il pittore Alan Gattamorta presenterà una rassegna di 24 acquarelli inediti titolata  SEDIE.

Si informa che questa mostra conclude il lungo ciclo dedicato all?acquarello, e che le prossime esposizioni riguarderanno le più recenti produzioni del  maestro.

Alan Gattamorta presenta il suo punto di vista sull’autunno

Giunge alla sua ultima sessione l?apprezzata mostra ?primavera estate autunno inverno – acquarelli per un anno? di Alan Gattamorta presso la Galleria  Il Bragozzo ubicata al piano terra del Palazzo del Turismo di Cesenatico.

La mostra inaugurata a Gennaio, che ha esibito una successione di vedute invernali, atmosfere primaverili e dinamiche rappresentazioni estive, dal 21 Settembre in poi, offrirà  l?occasione di verificare come, per l?autore, anche il malinconico autunno sia prodigo di delizie visive.

Il passaggio dall?estate all?autunno, che per molti cesenaticensi ha da sempre rappresentato l?agognato ritorno a una silenziosa normalità, è convintamente magnificato negli acquerelli di Gattamorta.

Le varie declinazioni metereologiche della stagione che anticipa il freddo inverno, sono distinguibilmente evocate dagli acquarelli esposti, e una volta entrati nella sala, sembrerà di avvertire l?inebriante profumo dei pesci in graticola, rappresentati sul grande arazzo in carta collocato lateralmente.

Protagonista indiscusso Cesenatico, i suoi scorci, le sue atmosfere, i suoi colori.

L?esposizione rappresenta il divenire di un progetto voluto da Gesturist spa e dal Comune di Cesenatico, per offrire un nuovo approccio all?arte in una location che si appresta a raccogliere l?eredità della Galleria Il Bragozzo, attiva nei medesimi locali fino alla fine degli anni ?70.

La mostra è accompagnata da un catalogo che ne racchiude l?essenza e che è disponibile presso l?Ufficio IAT adiacente alla mostra situata in viale Roma, 112 a Cesenatico.

Il catalogo è inoltre disponibile on-line all?indirizzo:

www.alangattamorta.it/pagine/curricul/ces_2007/2007_it.htm

Cesenatico Galleria Il Bragozzo

Palazzo del Turismo, viale Roma 112 – Gennaio – Dicembre 2007

apertura tutti i giorni ore 9.00 ? 13.00; 15.00 – 19.00 – ingresso libero

Per informazioni IAT viale Roma, 112

Tel 0547 673287 ? Numero Verde Gratuito 800.556.900

Alan Gattamorta

mail  alangattamorta@libero.it

http://www.alangattamorta.it

Per non ricevere altre comunicazioni replicate RIMUOVI.

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Vincenzo Costa, L’estetica trascendentale fenomenologica, Sensibilità e razionalità nella filosofia di Husserl, Vita e Pensiero, Milano 1999, pp. 340.

All’interno di quella prospettiva filosofica che porta il nome di fenomenologia trascendentale vi è un ambito che Edmund Husserl chiamava “costituzione originaria”, “estetica trascendentale” o anche “costituzione primordiale”. Il suo ruolo, all’interno dell’impostazione fenomenologica complessiva, è apparso sempre più fondamentale al fondatore della fenomenologia trascendentale, mano a mano che il tema della costituzione si precisava nelle sue coordinate. Si tratta di un ambito di problemi relativi alla struttura della sensibilità e alla formazione delle prime unità dell’esperienza, “delle parti fondamentali di una futura fenomenologia dell’esperienza, di una chiarificazione dell’essenza delle datità dell’esperienza che parte dagli elementi più ovvi ed elementari”. Proprio la formazione delle prime unità dell’esperienza e la costituzione, a partire da queste, di un mondo spazio-temporale nella fenomenologia di Husserl costituisce l’oggetto dell’Estetica trascendentale fenomenologica, un lavoro che intende limitare le proprie analisi agli “oggetti dei sensi”, escludendo dal suo ambito tematico quelle formazioni concettuali, giudicative etc. che sono tipiche dell’intelletto, proponendosi di indagare invece le formazioni dell’esperienza che si presentano come già strutturate o che si strutturano autonomamente prima delle attività intellettuali. In particolare, si tratta per Husserl di mostrare che vi è uno strato dell’esperienza che si organizza autonomamente, senza ricorrere a forme “soggettive” ad esso esterne.

È dunque evidente che il compito così delineato si interseca con quello relativo alla costruzione di una teoria generale delle strutture della coscienza, e proprio per questo il lavoro cerca di chiarire la peculiarità di una teoria fenomenologica della coscienza rispetto ad impostazioni differenti dello stesso problema, entrando così in una discussione effettiva con esse. In particolare, Husserl viene messo spesso a confronto con Kant e Hume. Secondo quest’ultimo, la caratteristica generale della coscienza è infatti quella di essere “una sorta di teatro, dove le diverse percezioni fanno la loro apparizione, passano e ripassano, scivolano e si mescolano con un’infinita varietà di atteggiamenti e di situazioni”; in particolare Hume scrive che tra le diverse percezioni non vi è alcun legame: “Ogni percezione distinta, che entra nella composizione della mente, è un’esistenza distinta ed è differente, distinguibile e separabile, da ogni altra percezione, altra contemporanea o successiva”. La coscienza – nota a questo proposito Aron Gurwitsch – appare dunque in Hume “come un accumulo o successione di elementi che non hanno tra loro alcuna relazione interna”. Da questo punto di vista, Kant non si differenzia – secondo Husserl – in maniera rilevante da Hume. “Se Kant – si chiede Husserl -, invece del principio dell’abitudine, introduce altri principi di formazione dell’esperienza che sono altrettanto soggettivi e genericamente umani, fa forse una grande differenza?”

Diversamente da queste posizioni, la prospettiva fenomenologica è interamente caratterizzata dall’idea che tra le manifestazioni esistano legami interni, che la coscienza sia un intero strutturato in cui vigono regole ed in cui nessuna manifestazione può essere strappata dalla connessione cui appartiene. Si tratta, del resto, di restare fedeli a quella stessa esperienza cui pure Hume si richiama. Questa non mostra mai manifestazioni slegate e privi di nessi, datità e fatti isolati e dispersi, ma sempre oggetti, cose, eventi che si realizzano all’interno di certe connessioni. Il compito dell’analisi fenomenologica risiede allora nell’esibire le strutture di questa vita, nel dipanarne i fili intenzionali, la trama che la sorregge e ne sta alla base. Ciò implica naturalmente una precisa nozione di analisi costitutiva che deve essere preliminarmente chiarita e che si tenta di sviluppare lungo il corso del lavoro.

Va inoltre preliminarmente osservato che i problemi analitici che ci troveremo ad affrontare si trovano intrecciati, soprattutto nell’ultima fase della produzione husserliana, in un’opera fondamentale come La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, con forti componenti ideologico-culturali, dato che – secondo Husserl – a partire dalle questioni analitiche, il discorso si deve immediatamente riversare sul piano del dibattito culturale. In una lettera del 19.3.1930 Husserl scrive a Roman Ingarden, a proposito di un’opera che avrebbe dovuto concludere il suo itinerario filosofico, che con essa egli si sente “chiamato a intervenire in maniera determinante nella situazione critica nella quale si trova la filosofia tedesca”. Ma già prima, e si potrebbe mostrare sin dal Raumbuch degli anni ’90, Husserl aveva di mira la costruzione di una teoria della ragione capace di distinguere ragioni buone e ragioni meno buone, capace quindi di giustificare l’idea di una ragione universale che va molto al di là della limitatezza delle culture locali. Ciò rappresenta del resto – secondo Husserl – la radice stessa della filosofia. Questa sorge infatti quando l’uomo antico si accorge che popoli diversi hanno modi di pensare diversi, ed avverte che in questa contrapposizione si annuncia “la differenza tra la rappresentazione del mondo ed il mondo reale”.

La presenza, nella Crisi, di questi temi di ordine culturale ed ideologico, così rari nelle altre opere, l’enfasi posta sul significato del ritorno al mondo della vita, ha fatto sì che l’attenzione degli studiosi spesso si indirizzasse prevalentemente verso questi elementi che sembravano conferire alla fenomenologia un significato nuovo ed entusiasmante. Ciò ha però anche fatto sì che gli aspetti analitici più profondi, del resto così caratteristici della fenomenologia husserliana ed in fondo i soli che possano dare consistenza teoretica a quelli di ordine culturale e ai più urgenti bisogni di orientamento, fossero tralasciati, per cui, proprio a quella costituzione originaria o estetica trascendentale, che per Husserl doveva stare alla base della sua costruzione filosofica, si è dedicata scarsa attenzione. È verso questi aspetti della fenomenologia husserliana che L’estetica trascendentale fenomenologica rivolge il proprio interesse, cercando proprio qui la giustificazione per prese di posizione filosoficamente più impegnative.

Il lavoro è diviso in tre sezioni.Nelle prime due sezioni si pone al centro dell’interesse, dopo avere determinato la posizione fondamentale e fondante che la nozione di costituzione originaria svolge nel progetto complessivo, la funzione ordinatrice delle forme di spazio e tempo, della natura della sensazione, la formazione di unità sensibili, la nozione fondamentale di sintesi passiva, quindi le sintesi formali della costituzione originaria del tempo e quelle contenutistiche dell’associazione. Questa rappresenta infatti, come emerge nel corso del libro, il concetto fondamentale della fenomenologia trascendentale, poiché la nozione stessa di intenzionalità ha nella struttura del rimando associativo la sua radice. È quindi essa che, in un certo senso, funge da filo conduttore nelle prime due sezioni del lavoro.

In generale, nelle prime due sezioni ci si limita ad analizzare i problemi relativi alla costituzione delle oggettualità immanenti, lasciando in sospeso quelli relativi alla costituzione degli oggetti trascendenti, esistenti nello spazio e nel tempo obiettivo. Questa analisi viene tentata nella terza parte e richiede la presa in considerazione di uno strato costitutivo relativo alla costituzione cinestetica che era stato dapprima lasciato interamente indeterminato, ma la cui analisi suggirisce senz’altro una reinterpretazione delle stesse analisi precedenti. L’apprensione di un’oggettualità tridimensionale e di uno spazio oggettivo presuppongono infatti una costituzione corporea la cui analisi comporta forse – e già nello stesso Husserl – una revisione profonda della nozione di soggettività trascendentale, soprattutto di quella che sembra emergere da un’opera pur così importante come Ideen I, poiché nessuna apprensione oggettuale sarebbe possibile se noi fossimo un puro occhio privo di corpo, se quindi nella percezione non giocassero un ruolo fondamentale quelle sensazioni di movimento che, sole, permettono la costituzione di un’oggettualità trascendente e la nostra collocazione in un qui. Ma la presa in considerazione di questi aspetti comporta forse la necessità di abbandonare quella nozione rarefatta di soggettività, all’interno della quale ci si muove consapevolmente nelle prime due sezioni del lavoro.

Si tratta infatti di un’astrazione inizialmente necessaria, che ha una giustificazione profonda all’interno della gerarchia costitutiva. Il problema della costituzione dello spazio e quindi delle oggettualità trascendenti, delle cose nel senso autentico del termine non può in realtà – sostiene Husserl – essere affrontato se non viene prima discusso e risolto il problema della costituzione dell’oggettualità interna e del mondo interiore, “cioè della costituzione della corrente dei vissuti del soggetto in quanto esistente per se stesso, in quanto campo cui appartiene ogni essere che gli sia proprio”. Per questo Husserl rimprovera a Kant di aver posto il problema della costituzione del mondo spaziale come se esso non richiedesse una elaborazione ed una costituzione preliminare e di aver sì, nella prima edizione della Critica, abbozzato un effettivo sistema delle sintesi trascendentali, ma purtroppo prendendo “in considerazione solo il problema, sito su un piano più alto, della costituzione di un’oggettualità del mondo spaziale, di un’oggettualità trascendente rispetto alla coscienza”. Mescolando questi due problemi, secondo Husserl, Kant ha trasformato lo spazio in una forma della sensibilità, “mentre, all’interno della mera “sensibilità“, cioè prima delle “sintesi”, che vengono trattate, peraltro abbastanza oscuramente, nell’Analitica trascendentale, non vi può essere alcun tipo di costituzione della spazialità“. Si tratta di una vera e propria costituzione gerarchica che in nessun modo può essere ignorata: “Poiché – scrive Husserl – il mondo spaziale si costituisce coscienzialmente […] è allora chiaro che la teoria sia delle strutture necessarie e generalissime, sia delle possibili forme sintetiche generali dell’immanenza è il presupposto per affrontare i problemi relativi alla costituzione del mondo”.

Di fatto, tutte le analisi, comprese quelle discusse nelle prime due parti del lavoro, convergono verso il tema della costituzione della cosa trascendente, e ciò per un ben preciso motivo: se la nozione di associazione rappresenta il concetto fondamentale della fenomenologia trascendentale, il problema dello spazio ne rappresenta il problema fondamentale, poiché solo a partire da esso può essere avviata una discussione relativa a che cosa sia legittimo intendere per idealismo fenomenologico-trascendentale. Si tratta di una discussione in cui il libro non si impegna, e tuttavia vale la pena annotare che vi sono due ordini di ragioni che motivano questa riconduzione della problematica dell’idealismo trascendentale a quella della spazialità: una di carattere storiografico, relativa cioè allo sviluppo del pensiero di Husserl, l’altra di carattere eminentemente teoretico.

Cominciamo con il prendere meglio in considerazione l’aspetto storiografico. Come è noto, la svolta in senso trascendentale viene di solito fatta risalire alle cinque lezioni su L’idea della fenomenologia tenute da Husserl tra il 27 aprile ed il 5 maggio 1907. La loro pubblicazione, avvenuta nel 1950, separata dal resto del corso di cui esse costituivano l’introduzione, avvenuta invece soltanto nel 1973, ha forse contribuito a diffondere un’idea distorta della funzione della riduzione fenomenologica e di conseguenza della nozione di fenomenologia trascendentale. In queste lezioni sembra infatti che la riduzione fenomenologica consista in una sorta di ritiro all’interno dell’immanenza, per cui sarebbero così dissolti i problemi relativi alla “realtà trascendente”. A ciò sembrerebbe del resto alludere Husserl nell’introduzione alle sei Ricerche logiche, quando scrive che “la questione dell’esistenza e della natura del “mondo esterno” è una questione metafisica”.

Seguire queste indicazioni e interpretare la fenomenologia nel senso sopra accennato ci condurrebbe senz’altro a non cogliere lo spirito autentico che anima Husserl nel presentare la riduzione fenomenologica. La svolta trascendentale introduce infatti una nuova dimensione nel progetto fenomenologico: rendere conto della ragionevolezza della credenza nella realtà. In questo senso, la pubblicazione separata delle cinque lezioni sopra menzionate ha interamente oscurato il fatto che esse sono l’introduzione ad un corso (Hauptstücke aus der Phänomenologie und der Kritik der Vernunft) sul problema della cosa e dello spazio, attraverso cui si ha in effetti di mira il problema della realtà. Le conclusioni di quel corso cercano infatti di capire, dopo che è stata effettuata l’analisi costitutiva della cosa tridimensionale e della spazialità, se la fenomenizzazione operata nell’introduzione sia stata effettivamente superata, e quindi se una teoria della ragione si lasci effettivamente costruire su basi fenomenologiche. Che il problema della realtà sia in effetti il problema autentico che Husserl ha di mira e che addirittura lo motiva a introdurre la riduzione fenomenologica è dimostrato, del resto, dal corso che precede immediatamente le cinque lezioni su L’idea della fenomenologia. Ci riferiamo alle lezioni del 1906-07, dove Husserl introduce per la prima volta in maniera sistematica la teoria della riduzione fenomenologica. Qui è evidente che per Husserl si tratta di dare ragione proprio della nostra credenza nella realtà, di superare il fenomenismo all’interno del quale l’impostazione humeana aveva imprigionato la riflessione filosofica. La fenomenologia viene infatti qui presentata come la scienza dell’essere in senso assoluto, un’affermazione che troviamo del resto ripetuta nella stessa Idea della fenomenologia.

Non si tratta qui di decidere preliminarmente se questa pretesa possa essere effettivamente sostenuta dalla fenomenologia. Bisogna però cominciare con il prendere atto che questa è l’intenzione di Husserl allorché egli dispone la fenomenologia su un piano trascendentale: costruire un realismo non ingenuo, ma fondato e dunque capace di superare le obiezioni scettiche. Se la fenomenologia trascendentale di Husserl giunga effettivamente a superare l’obiezione scettica e fenomenistica è però una questione che può essere decisa solo all’interno della ricerca effettiva.

Le considerazione di carattere storiografico hanno in realtà il senso di fare emergere perché il problema dello spazio debba occupare una posizione centrale nella soluzione fenomenologica del problema della realtà, e tuttavia conviene esplicitarlo ulteriormente.

La riduzione fenomenologica si distingue da una riduzione scettica perché non dissolve la realtà nell’apparenza ma, a partire dal fenomeno, vuole dare ragione della costituzione della realtà. Per l’impostazione scettica, ridursi al fenomeno non significa ridursi alla manifestazione della cosa, ma dissolvere quest’ultima in una parvenza. Lo scettico può di conseguenza affermare che non esiste una realtà oggettiva, e se esiste non possiamo conoscerla. Seguendo il filo di queste argomentazioni si giungerà infine a sostenere che non esiste alcuna verità oggettiva, alcuna possibilità di distinguere oggettivamente il vero dal falso, l’illusorio dal reale, alla dissoluzione della nozione di realtà (l’esse) nel fenomeno (nel percipi). Se riguardo alla fenomenologia parliamo dunque di idealismo e di riduzione al fenomeno, ne parliamo in un senso interamente diverso da come ne parliamo riguardo ad una certa accezione dell’idealismo tradizionale, per esempio nei confronti di quello di Berkeley. Husserl, del resto, ancora negli anni trenta, parlerà della sua fenomenologia come dell’unico vero realismo, come di un realismo che accetta la provocazione scettica, cioè il fatto che noi abbiamo sempre a che fare con fenomeni, e che a partire da qui vuole riproporre la consistenza della realtà, la possibilità di distinguere tra il reale e l’immaginario, tra il vero e il falso, giustificando la credenza nella realtà non in base a una propensione naturale ed istintiva, ma in base a motivi profondi: attenendosi a ciò che si manifesta, al fenomeno, deve essere ricostituita la realtà, deve essere legittimato il realismo. “L’idealismo fenomenologico non nega – scrive Husserl – l’esistenza reale del mondo (e innanzitutto della natura) quasi pensando trattarsi di una mera apparenza a cui, anche se inavvertitamente, il pensiero naturale e scientifico soggiaccia. […] Che il mondo esista, che sia dato come un universo essente nell’esperienza che di continuo converge verso la concordanza, è perfettamente indubbio. Una cosa completamente diversa è cercare di capire questa indubitabilità che sostiene la vita e le scienze positive, e di chiarirne il fondamento di legittimità“; e in una lettera all’abate Baudin scrive: “Nessuno di quelli che sono considerati “realisti” è stato tanto realista e concreto come lo sono stato io, l'”idealista” (una parola che del resto non utilizzo più) fenomenologico”. Rettamente inteso, può scrivere Husserl nella Crisi, “non esiste dunque un realismo più radicale del nostro, purché questa parola non significhi che questo: “io sono certo di essere un uomo che vive in questo mondo, ecc. e di ciò non ho il minimo dubbio”. Ma il grande problema è appunto quello di capire questa “ovvietà“”: il lavoro teso a chiarire questa ovvietà è la fenomenologia trascendentale.

Ora, poiché è attraverso la costituzione della cosa spaziale che si pone il problema della realtà, sarà soltanto studiando questa che potremo alla fine stabilire, da un lato, se la pretesa realistica della fenomenologia sia legittima e, dall’altro, che cosa significhi per Husserl l’idealismo fenomenologico-trascendentale e quali rapporti vi siano tra corpo proprio e io trascendentale, tra il trascendentale ed il sistema cinestetico.

In questa ricerca si fa largo uso dell’opera manoscritta di Husserl, sia di quella pubblicata nel corso dell’ultimo quarantennio, sia di quella che resta ancora inedita e che è stato possibile consultare durante un lungo soggiorno all’Archivio Husserl di Lovanio. E sul valore da accordare al lascito manoscritto utilizzato, anche e soprattutto rispetto alle opere pubblicate mentre Husserl era ancora in vita, l’autore non ha alcun dubbio: l’opera manoscritta è una fonte di grande valore che deve essere considerata persino più importante di quella da Husserl data alle stampe, e ciò per due ben precise ragioni:

1) L’impostazione che emerge dalle opere pubblicate è stata o interamente messa in discussione da Husserl, e attraverso gli inediti si possono mostrare – e nel corso del libro si cerca di farlo – le ragioni interne che impongono l’abbandono dei punti di vista che guidavano quelle opere, oppure maggiormente precisata, chiarita e discussa nei manoscritti, in quanto ritenuta “introduttiva” alla tematica fenomenologica, e quindi relativa ad uno strato costitutivo superficiale. Per tale motivo le opere pubblicate non possono reclamare alcun privilegio in una rinnovata lettura della fenomenologia di Husserl.

2) La maggior parte delle opere pubblicate non vanno al di là di una semplice introduzione. Esse intendono introdurre alle effettive analisi fenomenologiche, ma si guardano bene dal farlo. Inoltre, anche dove lo fanno, sappiamo che Husserl ha finito per rifiutare quelle analisi. Cercheremo di mostrarlo riguardo a Ideen I, ma non vi è dubbio che si potrebbe in parte farlo anche rispetto alle Meditazioni cartesiane.

Dando quindi largo credito alle fonti inedite si è tuttavia ritenuto di dover stabilire dei “livelli” di importanza nel loro utilizzo, distinguendo tra manoscritti che rappresentano corsi effettivamente tenuti da Husserl e semplici manoscritti di ricerca. Le lezioni husserliane, i corsi sono stati considerati di valore enormemente superiore rispetto ai manoscritti di ricerca, poiché esse, superando il semplice appunto ad uso privato, rappresentano la comunicazione pubblica di quello strato costitutivo profondo che nelle opere effettivamente date alla stampa non emerge. Rispetto ai manoscritti di ricerca, dove Husserl sviluppa analisi di cui è a volte sin troppo evidente il carattere “sperimentale”, le lezioni rappresentano infatti una prima comunicazione pubblica dei risultati raggiunti, e per questo motivo devono essere privilegiate nella ricostruzione dello sviluppo di un problema, oltre che per il fatto di offrire un andamento meno frammentario e più ordinato di quello dei manoscritti di ricerca. Ciò non significa che questi – che sono del resto spesso collegati ai corsi, riguardo ai quali rappresentano riflessioni autocritiche e sviluppi teoretici di grande valore – non debbano essere presi in considerazione, tanto più che permettono spesso di connettere i corsi, di ricostruire i percorsi che conducono da un’impostazione all’altra, ma semplicemente che è opportuno collegarli, anche per ragioni di sistematicità, con un nucleo argomentativo più solido.

La struttura prevalentemente sistematica che viene data allo sviluppo argomentativo, quindi la trattazione dei problemi per grandi nuclei tematici, non deve oscurare il fatto che nello stesso sviluppo del pensiero husserliano questi temi hanno ricevuto, in momenti differenti, una soluzione diversa, che essi hanno una storia, e che, a seconda della posizione assunta rispetto a tali soluzioni, emerge una nozione di fenomenologia trascendentale interamente diversa. Ci si è dunque in questo lavoro sforzati di abbinare la ricostruzione teoretica della posizione matura di Husserl con un’analisi del percorso, delle tappe che ad essa conducono, di fare emergere, nei limiti del possibile, la proposta teoretica “matura” dalla discussione degli approcci che si rivelano alla fine non percorribili.-Vincenzo Costa

—————————————–
Jacques Derrida nasce il 15 luglio 1930 a El Biar, presso Algeri, da una famiglia ebraica. Proprio per questo, durante gli anni della Seconda guerra mondiale conoscerà le discriminazioni derivanti dalle leggi razziali emanate dal regime di Pétain. In gioventù entra in contatto con le correnti più vive della cultura francese e con le esperienze politiche dell’estrema sinistra non comunista. L’impegno politico resterà una costante della sua personalità, e lo porterà negli anni seguenti a impegnarsi a favore del dissenso nella ex Cecoslovacchia comunista o a favore del movimento antirazzista in Sudafrica.

Derrida prende senza dubbio le mosse dalla fenomenologia trascendentale di Husserl, riflettendo sulla quale fa emergere la propria originale posizione[1]. Tuttavia, che il suo pensiero possa ancora essere inquadrato anche solo in senso lato all’interno della fenomenologia non è per niente ovvio. Derrida, infatti, ha costantemente cercato di mostrare come la ragione sia il risultato di un insieme di forze e come essa sia radicata in certi idiomi, in certe strutture segniche determinate e circoscritte, poiché a suo parere non vi è alcun significato puro, cioè indipendente dal significante attraverso cui noi ci possiamo rapportare ad esso. L’idea di un significato puro, che esiste prima e fuori del tempo, dunque di una verità stabile, è un’idea caratteristica della metafisica occidentale che Derrida, seguendo Heidegger, determina come una metafisica della presenza. Proprio perché crede in una struttura pura del significato e dunque della ragione, la filosofia appartiene a ciò che Derrida chiama “logocentrismo”, il cui carattere consisterebbe appunto nel rivendicare il privilegio del logos rispetto ad altre forme di produzione del senso, invece di interrogarsi sulle origini “non logiche” della stessa logica, e dunque della razionalità.

Opponendosi a questa metafisica, che ha sempre considerato il segno come qualcosa che sopraggiunge ai significati, Derrida, utilizzando la lezione dello strutturalismo, ha messo in luce che il significato non può darsi senza segni, e che dunque non vi sono significati in sé, ma solo tracce di tracce[2]. Per questo, questa metafisica deve essere decostruita. Occorre cioè fare emergere ciò che essa ha dovuto emarginare e occultare per poter fare stabilire l’idea di un puro significato che esiste indipendentemente dal segno. Ed in questa direzione emerge che il logocentrismo è solidale con il fonocentrismo. La metafisica ha cioè pensato che dapprima vi è un significato puro, poi una sua espressione con la voce, che viene considerata un segno naturale, e poi una sua trascrizione attraverso la scrittura, che viene considerata dalla tradizione metafisica un segno innaturale, perché mentre nella voce il significato non si allontana da chi parla, con la scrittura il segno può essere iterato in nuovi contesti, esponendosi così al fraintendimento e alla perdita. L’idea della metafisica è in altri termini che vi sia un significato puro, e che l’incomprensione, lo slittamento di significato sia colpa del significante, ed in particolare del significante scritto. Al contrario, Derrida intende mostrare che il segno scritto non è qualcosa in cui viene depositato un significato che esiste già, ma è proprio ciò che costituisce il significato, il quale dipende dunque da un certo di scrittura. E questo significa che non vi è una ragione universale, perché la ragione è legata al grafema e alle differenze che strutturano le catene grafiche.

Liberarsi dal logocentrismo significa però anche abbandonare l’idea che la storia sia una teleologia, un percorso attraverso cui ci avviciniamo alla verità. Al contrario, la nozione di teleologia deve essere sostituito da quello di disseminazione. Non vi è un avvicinamento alla verità perché non c’è niente da raggiungere. Esistono solo contesti circoscritti determinati da certi tipi di scrittura, dunque universi di discorso. E noi viviamo in un contesto determinato dalla scrittura alfabetica, che ha prodotto quelle idee che sono caratteristiche dell’Occidente: l’idea di verità, la sua logica basata sulle leggi di conseguenza tra premessa e conseguenza, che si basano sulla linearità di questa scrittura etc. In questo modo, la decostruzione avvia una critica che mira a dissolvere l’eurocentrismo, e cioè l’idea secondo la quale la cultura occidentale è superiore alle altre, perché è depositaria dell’idea di ragione. Di questo modo di pensare Derrida ha poi denunciato le implicazioni filosofiche e politiche, segnalando quella confusione che fa si che l’occidente rappresenti se stesso come la punta avanzata, il modello guida di un’umanità autentica[3].
[1] Cfr. in particolare J. Derrida, Il problema della genesi nella filosofia di Husserl, tr. it. di V. Costa, Jjaca Book, Milano 1992, Introduzione a “L’origine della geometria” di Husserl, tr. it. di C. Di Martino, Jaca Book, Milano 1987, La voce e il fenomeno. Introduzione al problema del segno nella fenomenologia di Husserl, tr. it. di G. Dalmasso, Jaca Book, Milano 1997. Per un’analisi più ampia dei rapporti che Derrida intrattiene con la fenomenologia trascendentale d Husserl si veda V. Costa, La generazione della forma. La fenomenologia e il problema della genesi in Husserl e in Derrida, Jaca Book, Milano 1996.
[2] Cfr. su ciò J. Derrida, Della grammatologia, tr. it. di G. Dalmasso e altri, Jaca Book, Milano 1998.
[3] J. Derrida, Oggi l’Europa, trad. it. di M. Ferraris, Garzanti 1991, p. 22.

a cura di
Vincenzo Costa
Univeristà Cattolica di Piacenza

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Val d’Aosta
In questa regione non risultano al presente attivati insegnamenti d’Estetica in Università o Accademie di Belle Arti

Molise
In questa regione non risultano al presente attivati insegnamenti d’Estetica in Università o Accademie di Belle Arti

Piemonte
Torino
Università degli Studi
Gianni Contessi, Fenomenologia delle arti contemporanee, Facoltà di Scienze della formazione
Roberto De Gaetano, Teoria ed estetica del film, Facoltà di Scienze della formazione
Pietro Kobau, Estetica, Facoltà di Lettere e Filosofia
Marzio Pinottini, Estetica, Facoltà di Scienze della formazione
Roberto Salizzoni, Estetica, Facoltà di Lettere e Filosofia
Fulvio Salza, Estetica, Facoltà di Lettere e Filosofia
Antonio Tessari, Storia della critica d’arte, Facoltà di Lettere e Filosofia
Maria Teresa Titli, Estetica musicale, Facoltà di Scienze della formazione
Politecnico
Anna Marotta, Percezione e comunicazione visiva, Facoltà di Architettura
Accademia Albertina di Belle Arti
Edoardo Di Mauro, Storia e metodologia della critica d’arte
Rosanna Guida, Teoria della percezione e psicologia della forma
Vercelli
Università degli Studi
Livio Bottani, Estetica, Facoltà di Lettere e Filosofia
Pollenzo
Università di Scienze Gastronomiche
Nicola Perullo, Estetica
Liguria
Genova
Università degli Studi
Carlo Angelino, Teoria dell’oggetto estetico, Facoltà di Lettere e Filosofia
Carlo Angelino, Estetica, Facoltà di Lettere e Filosofia
Ettore Bonessio di Terzet, Estetica, Facoltà di Scienze della Formazione
Raffaele Mellace, Estetica musicale, Facoltà di Lettere e Filosofia
Oscar Meo, Teoria dell’oggetto estetico, Facoltà di Lettere e Filosofia
Oscar Meo, Semiotica delle arti, Facoltà di Lettere e Filosofia
Accademia Ligustica di Belle Arti
Renato Carpi, Teoria della percezione e psicologia della forma

Lombardia
Bergamo
Università degli Studi
Giovanni Bottiroli, Estetica, Facoltà di Lettere e Filosofia
Massimo Recalcati, Psicologia dell’arte e della letteratura, Facoltà di Lettere e Filosofia
Federica Sossi, Estetica, Facoltà di Lettere e Filosofia
Accademia di Belle Arti “Carrara”
Michele Bertolini, Estetica
Brescia
Università Cattolica del Sacro Cuore
Eugenio De Caro, Estetica Facoltà di Lettere e Filosofia
Ruggero Eugeni, Semiologia dei media , Facoltà di Lettere e Filosofia
Paolo Iacchetti, Psicologia dell’arte, Facoltà di Lettere e Filosofia
Giorgio Verzotti, Fenomenologia degli stili, Facoltà di Lettere e Filosofia
Accademia di Belle Arti “Santa Giulia”
Guido Boffi, Estetica dei giardini e del paesaggio
Eugenio De Caro, Semantica del segno
Eugenio De Caro, Estetica della comunicazione
Eugenio De Caro, Estetica
Lucia Demartis, Teoria della percezione e psicologia della forma
Anna Lucia Maramotti Politi, Estetica del restauro
Cremona
Università degli Studi
Luca Bagetto, Estetica, Facoltà di Musicologia
Michela Garda, Estetica musicale, Facoltà di Musicologia
Milano
Università degli Studi
Mauro Carbone, Estetica, Facoltà di Lettere e Filosofia
Mauro Carbone, Estetica contemporanea, Facoltà di Lettere e Filosofia
Elio Franzini, Poetica e retorica, Facoltà di Lettere e Filosofia
Elio Franzini, Estetica, Facoltà di Lettere e Filosofia
Maddalena Mazzocut-Mis, Estetica dello spettacolo, Facoltà di Lettere e Filosofia
Maddalena Mazzocut-Mis, Estetica, Facoltà di Lettere e Filosofia
Markus Ophälders, Estetica, Facoltà di Lettere e Filosofia
Andrea Pinotti, Estetica, Facoltà di Lettere e Filosofia
Gabriele Scaramuzza, Estetica, Facoltà di Lettere e Filosofia
Carlo Serra, Estetica musicale, Facoltà di Lettere e Filosofia
Stefano Zecchi, Estetica, Facoltà di Lettere e Filosofia
Milano-Bicocca
Fulvio Carmagnola, Educazione estetica, Facoltà di Scienze della formazione
Politecnico
Markus Ophälders, Estetica, Facoltà di Ingegneria – Mi Campus Bovisa
Pier Luigi Panza, Storia dell’estetica moderna, Facoltà di Architettura e società – Mi Leonardo
Marco Romano, Estetica della città, Facoltà di Architettura e società – Mi Leonardo
Gabriele Scaramuzza, Fondamenti di estetica, Facoltà di Architettura civile – Mi Campus Bovisa
Antonio Somaini, Estetica, Facoltà di Architettura civile – Mi Campus Bovisa
Marco Vallora, Estetica, Facoltà di Architettura civile – Mi Campus Bovisa
Massimo Venturi Ferriolo, Estetica, Facoltà di Architettura e società – Mi Leonardo
Università Cattolica del Sacro Cuore
Eugenio De Caro, Estetica, Facoltà di Lettere e Filosofia
Roberto Diodato, Filosofia delle forme simboliche, Facoltà di Scienze della formazione
Roberto Diodato, Estetica, Facoltà di Scienze della formazione
Libera Università Iulm
Maria Bettetini, Estetica
Andrea Semprini, Teoria e tecniche della promozione d’immagine
Marco Villamira, Psicologia dell’arte
Accademia di Brera
Adriano Antolini, Teoria della percezione e psicologia della forma
Paola Ballesi, Estetica 1
Giuseppe Bonini, Estetica 2
Antonio Cioffi, Pedagogia e didattica dell’arte
Federico Ferrari, Fenomenologia delle arti contemporanee
Rachele Ferrario, Fenomenologia delle arti contemporanee
Roberto Galeotti, Psicologia dell’arte
Gianfranco Maraniello, Estetica dei new media
Francesca Marelli, Filosofia dell’arte
Valter Rosa, Teoria e storia dei metodi di rappresentazione
Pierangelo Sequieri, Estetica teologica
Carmelo Strano, Teoria e pratiche dell’arte contemporanea
Carmelo Strano, Estetica delle arti sceniche e della musica
Nuova Accademia di Belle Arti
Amos Bianchi, Estetica dei media
Giancarlo Maiorino, Estetica
Pavia
Università degli Studi
Luisa Bonesio, Estetica, Facoltà di Lettere e Filosofia
Irene Cusmà, Filosofia e teorie delle arti, Facoltà di Lettere e Filosofia
Trentino
Bolzano
Università degli Studi
Gerhard Schweppenhauser, Estetica, Facoltà di Design e arti
Trento
Università degli Studi
Leonardo Gandini, Estetica cinematografica, Facoltà di Lettere e Filosofia
Renato Troncon, Estetica, Facoltà di Lettere e Filosofia
Veneto
Padova
Università degli Studi
Alberto Argenton, Psicologia dell’arte, Facoltà di Psicologia
Franco Bernabei, Storia della critica d’arte, Facoltà di Lettere e Filosofia
Adelino Cattani, Teoria dell’argomentazione, Facoltà di Scienze della formazione
Giovanni Gurisatti, Storia dell’estetica, Facoltà di Lettere e Filosofia
Giangiorgio Pasqualotto, Estetica, Facoltà di Lettere e Filosofia
Lorenzo Renzi, Teoria e storia della retorica, Facoltà di Lettere e Filosofia
Gabriele Tomasi, Storia dell’estetica, Facoltà di Lettere e Filosofia
Fiorenzo Viscidi, Estetica musicale, Facoltà di Scienze della formazione
Venezia
Università degli Studi
Roberta Dreon, Teoria e storia della ricezione artistica e della valorizzazione culturale, Facoltà di Lettere e Filosofia
Daniele Goldoni, Estetica, Facoltà di Lettere e Filosofia
Istituto Universitario di Architettura
Giorgio Agamben, Estetica, Facoltà di Design e arti
Andrea Cavalletti, Estetica, Facoltà di Architettura
Patrizia Magli, Semiotica delle arti, Facoltà di Design e arti
Franco Rella, Filosofia delle arti, Facoltà di Design e arti
Franco Rella, Estetica , Facoltà di Design e arti
Accademia di Belle Arti
Riccardo Caldura, Fenomenologia delle arti contemporanee
Massimo Donà, Estetica
Stefano Mastandrea, Teoria della percezione
Verona
Università degli Studi
Paolo Gambazzi, Estetica, Facoltà di Lettere e Filosofia
Riccardo Pozzo, Estetica, Facoltà di Lettere e Filosofia
Accademia di Belle Arti
Davide Antolini, Teoria della percezione e psicologia della forma
Nicola Pasqualicchio, Estetica
Friuli
Trieste
Università degli Studi
Pier Aldo Rovatti, Estetica, Facoltà di Lettere e Filosofia
Udine
Università degli Studi
Veniero Venier, Estetica, Facoltà di Lettere e Filosofia
Lucia Zanuttini, Psicologia dell’arte, Facoltà di Lettere e Filosofia
Emilia Romagna
Bologna
Università degli Studi
Renato Barilli, Fenomenologia degli stili, Facoltà di Lettere e Filosofia
Stefano Benassi, Sociologia dell’arte e della letteratura, Facoltà di Lettere e Filosofia
Fernando Bollino, Filosofia e teoria delle arti, Facoltà di Lettere e Filosofia
Fernando Bollino, Estetica, Facoltà di Lettere e Filosofia
Ermanno Cavazzoni, Poetica e retorica, Facoltà di Scienze della formazione
Ermanno Cavazzoni, Estetica, Facoltà di Scienze della formazione
Lucia Corrain, Letteratura artistica, Facoltà di Lettere e Filosofia
Lucia Corrain, Semiotica dell’arte, Facoltà di Lettere e Filosofia
Stefano Ferrari, Psicologia dell’arte, Facoltà di Lettere e Filosofia
Carlo Gentili, Estetica filosofica, Facoltà di Lettere e Filosofia
Carlo Gentili, Estetica, Facoltà di Lettere e Filosofia
Maurizio Giani, Estetica musicale, Facoltà di Lettere e Filosofia
Paolo Gozza, Filosofia della musica, Facoltà di Lettere e Filosofia
Giovanni Matteucci, Metodologia della ricerca estetica, Facoltà di Lettere e Filosofia
Giovanni Matteucci, Estetica contemporanea, Facoltà di Lettere e Filosofia
Raffaele Milani, Storia dell’estetica, Facoltà di Scienze della formazione
Luciano Nanni, Estetica e poetica, Facoltà di Lettere e Filosofia
Luciano Nanni, Estetica, Facoltà di Lettere e Filosofia
Liliana Rampello, Estetica, Facoltà di Lingue e Letterature straniere
Alessandro Serra, Psicologia dell’arte, Facoltà di Lettere e Filosofia
Lucio Vetri, Poetica e retorica, Facoltà di Lettere e Filosofia
Ida Zaffagnini, Storia dell’estetica, Facoltà di Lettere e Filosofia
Accademia Statale di Belle Arti
Maurizio Giuffredi, Teoria della percezione e psicologia della forma
Manuela Machella, Teoria della percezione e psicologia della forma
Rosalba Pajano, Estetica
Sandro Sproccati, Fenomenologia delle arti contemporanee
Ferrara
Università degli Studi
Andrea Gatti, Storia dell’estetica, Facoltà di Lettere e Filosofia
Ippolito Pizzetti, Architettura del paesaggio , Facoltà di Architettura
Modena
Università degli Studi
Annamaria Contini, Estetica, Facoltà di Scienze della formazione
Parma
Università degli Studi
Rita Messori, Estetica, Facoltà di Lettere e Filosofia
Piacenza
Università Cattolica del Sacro Cuore
Roberto Diodato, Estetica, Facoltà di Scienze della formazione
Ravenna
Università degli Studi
Pierre Dalla Vigna, Estetica, Facoltà di Beni Culturali
Antonio Serravezza, Estetica musicale, Facoltà di Beni Culturali
Accademia di Belle Arti
Valerio Bruno Bandini, Fenomenologia delle arti contemporanee
Matteo Chini, Estetica
Massimo Marra, Teoria della percezione e psicologia della forma
Toscana
Arezzo
Università degli Studi
Ferdinando Abbri, Filosofia della musica, Facoltà di Lettere e Filosofia
Carmelo Lombardi, Semiotica delle arti, Facoltà di Lettere e Filosofia
Michele Rak, Sociologia dell’arte e della letteratura, Facoltà di Lettere e Filosofia
Francesco Solitario, Estetica, Facoltà di Lettere e Filosofia
Carrara
Accademia Statale di Belle Arti
Carlo Bordoni, Estetica
Giuseppe Pansini, Teoria della percezione e psicologia della forma
Alessandro Romanini, Fenomenologia delle arti contemporanee
Firenze
Università degli Studi
Marcello De Angelis, Estetica della musica, Facoltà di Lettere e Filosofia
Fabrizio Desideri, Estetica, Facoltà di Scienze della formazione
Ubaldo Fadini, Estetica della comunicazione, Facoltà di Scienze della formazione
Ubaldo Fadini, Estetica contemporanea, Facoltà di Scienze della formazione
Luca Farulli, Estetica, Facoltà di Lettere e Filosofia
Gianluca Garelli, Estetica, Facoltà di Lettere e Filosofia
Sergio Givone, Estetica, Facoltà di Lettere e Filosofia
Andrea Mecacci, Estetica, Facoltà di Scienze politiche
Andrea Mecacci, Estetica, Facoltà di Architettura
Mario Pezzella, Estetica, Facoltà di Lettere e Filosofia
Accademia Statale di Belle Arti
Massimo Carboni, Estetica
Massimo Orsini, Elementi di morfologia e dinamica della forma
Marco Pratesi, Fenomenologia dell’arte contemporanea
Pisa
Università degli Studi
Leonardo Amoroso, Estetica, Facoltà di Lettere e Filosofia
Manuela Paschi, Storia dell’estetica, Facoltà di Lettere e Filosofia
Siena
Università degli Studi
Alberto Olivetti, Estetica, Facoltà di Lettere e Filosofia
Marco Pierini, Filosofia delle immagini, Facoltà di Lettere e Filosofia
Marche
Camerino
Università degli Studi
Stefano Catucci, Estetica del prodotto industriale, Facoltà di Architettura
Stefano Catucci, Estetica, Facoltà di Architettura
Fermo
Università degli Studi di Macerata
Manuela Pallotto, Estetica, Facoltà di Lettere e Filosofia
Macerata
Università degli Studi
Silvia Ferretti, Estetica, Facoltà di Scienze della comunicazione
Silvia Ferretti, Estetica, Facoltà di Lettere e Filosofia
Accademia Statale di Belle Arti
Roberto Cresti, Estetica
Giuseppina Di Grandi, Teoria della percezione e psicologia della forma
Urbino
Università degli Studi
Fabrizio Scrivano, Estetica, Facoltà di Lettere e Filosofia
Accademia Statale di Belle Arti
Luca Cesari, Estetica
Micla Petrelli, Teoria della percezione e psicologia della forma
Umbria
Perugia
Università degli Studi
Fabrizio Scrivano, Estetica, Facoltà di Lettere e Filosofia
Lazio
Cassino
Università degli Studi
Vincenzo Martorano, Estetica, Facoltà di Lettere e Filosofia
Roma
Università degli Studi “La Sapienza”
Giuseppe Di Giacomo, Estetica, Facoltà di Filosofia
Leonardo Distaso, Estetica musicale, Facoltà di Filosofia
Edoardo Ferrario, Estetica, Facoltà di Filosofia
Daniele Guastini, Poetica e retorica, Facoltà di Filosofia
Luca Marchetti, Estetica, Facoltà di Architettura
Pietro Montani, Estetica, Facoltà di Filosofia
Giampiero Moretti, Estetica musicale, Facoltà di Lettere
Monica Serrano, Critica estetica, Facoltà di Filosofia
Luisa Valeriani, Sociologia delle arti e della moda, Facoltà di Scienze della comunicazione
Stefano Velotti, Storia dell’estetica, Facoltà di Filosofia
Università degli Studi “Tor Vergata”
Erminia Caldieri, Sociologia dell’arte, Facoltà di Lettere e Filosofia
Carlo Ferrucci, Storia dell’estetica, Facoltà di Lettere e Filosofia
Tonino Griffero, Estetica e retorica, Facoltà di Lettere e Filosofia
Giuseppe Patella, Teorie dell’arte, Facoltà di Lettere e Filosofia
Mario Perniola, Estetica, Facoltà di Lettere e Filosofia
Università degli Studi “Roma 3”
Daniela Angelucci, Istituzioni di estetica, Facoltà di Lettere e Filosofia
Paolo D’Angelo, Estetica, Facoltà di Lettere e Filosofia
Alberto Gessani, Estetica, Facoltà di Lettere e Filosofia
Alberto Gessani, Storia dell’estetica, Facoltà di Lettere e Filosofia
Paolo Marolda, Teorie dell’arte e dell’esperienza estetica, Facoltà di Lettere e Filosofia
Elio Matassi, Estetica musicale, Facoltà di Lettere e Filosofia
Libera Università Maria SS. Assunta
Giuseppe Di Giacomo, Estetica, Facoltà di Lettere e Filosofia
Pontificia Università Urbaniana
Silvia Ferretti, Estetica
John Cabot University
Brunella Antomarini, Philosophy of Art and Beauty
John Temple University
Alan Singer, Aesthetics
Accademia Statale di Belle Arti
Dario Evola, Estetica
Sergio Lombardo, Teoria della percezione e psicologia della forma
Viterbo
Università della Tuscia
Massimo Carboni, Estetica, Facoltà di Beni culturali
Maria Grazia Chilosi, Teoria e tecniche del restauro scultoreo, Facoltà di Beni culturali
Stefano Gizzi, Teoria e tecniche del restauro architettonico, Facoltà di Beni culturali
Mario Micheli, Teoria e tecniche del restauro dei manufatti, Facoltà di Beni culturali
Giuseppe Morganti, Teoria e tecniche del restauro dei monumenti, Facoltà di Beni culturali
Abruzzo
Chieti
Università degli Studi
Adriano Ardovino, Estetica, Facoltà di Lettere e Filosofia
Aldo Marroni, Sociologia dell’arte, Facoltà di Scienze Sociali
L’Aquila
Università degli Studi
Massimo Modica, Estetica, Facoltà di Lettere e Filosofia
Accademia di Belle Arti
Luca Farulli, Estetica
Luca Farulli, Filosofia dell’immagine
Onorino Vespa, Teoria della percezione e psicologia della forma
Campania
Caserta
Seconda Università degli Studi di Napoli
Luigi Guerriero, Teoria e storia del restauro, Facoltà di Architettura
Napoli
Università degli Studi “Federico II”
Gaetana Cantone, Storia dell’estetica moderna, Facoltà di Lettere e Filosofia
Stella Casiello, Teoria e storia del restauro, Facoltà di Architettura
Francesco Paolo Cerase, Sociologia della letteratura, Facoltà di Lettere e Filosofia
Matteo D’Ambrosio, Storia della critica letteraria, Facoltà di Lettere e Filosofia
Rosanna De Gennaro, Storia della critica d’arte, Facoltà di Lettere e Filosofia
Antonia Fiorino, Sociologia della letteratura, Facoltà di Lettere e Filosofia
Riccardo Florio, Percezione e comunicazione visiva, Facoltà di Architettura
Clementina Gily, Estetica, Facoltà di Lettere e Filosofia
Eugenio Mazzarella, Estetica, Facoltà di Lettere e Filosofia
Mariantonietta Picone, Storia della critica d’arte, Facoltà di Lettere e Filosofia
Maria Luisa Scalvini, Storia della critica e della letteratura architettonica, Facoltà di Architettura
Aldo Trione, Estetica, Facoltà di Lettere e Filosofia
Sergio Villari, Storia della critica e della letteratura architettonica, Facoltà di Architettura
Universit à “L’Orientale”
Horst Künkler, Storia dell’estetica , Facoltà di Lettere e Filosofia
Giampiero Moretti, Estetica musicale , Facoltà di Lettere e Filosofia
Giampiero Moretti, Estetica , Facoltà di Lettere e Filosofia
Elena Tavani, Estetica del teatro e dello spettacolo, Facoltà di Lingue e Letterature straniere
Elena Tavani, Estetica, Facoltà di Lingue e Letterature straniere
Istituto Universitario “Suor Orsola Benincasa”
Aldo Trione, Estetica dell’espressione artistica e del restauro
Accademia di Belle Arti
Maria Teresa Girosi, Teoria della percezione e psicologia della forma
Dino Giugliano, Estetica
Angelo Marciano, Teoria della percezione e psicologia della forma
Salerno
Università degli Studi
Clementina Cantillo, Estetica musicale, Facoltà di Lettere e Filosofia
Mario Costa, Semiotica delle arti, Facoltà di Scienze della formazione
Mario Costa, Estetica, Facoltà di Scienze della formazione
Maria Giuseppina De Luca, Estetica, Facoltà di Lettere e Filosofia
Filippo Fimiani, Retorica e stilistica, Facoltà di Lettere e Filosofia
Filippo Fimiani, Estetica, Facoltà di Lettere e Filosofia
Filippo Fimiani, Poetica e retorica, Facoltà di Lettere e Filosofia
Franco Nicolino, Semiotica delle arti, Facoltà di Scienze della formazione
Alfredo Plachesi, Storia della critica e della letteratura architettonica, Facoltà di Lettere e Filosofia
Puglia
Bari
Università degli Studi
Franco Fanizza, Estetica, Facoltà di Lettere e Filosofia
Michelino Grandieri, Storia dell’estetica, Facoltà di Lettere e Filosofia
Vakerio Meattini, Estetica, Facoltà di Scienze della formazione
Maristella Trombetta, Trattatistica d’arte, Facoltà di Lettere e Filosofia
Accademia Statale di Belle Arti
Giusy Petruzzelli, Estetica delle arti visive
Giusy Petruzzelli, Estetica
Foggia
Accademia Statale di Belle Arti
Gabriella Dalesio, Teoria della percezione
Grassi Savino, Estetica
Lecce
Università degli Studi
Giuliano Campioni, Estetica, Facoltà di Scienze della formazione
Giovanni Invitto, Estetica, Facoltà di Scienze della formazione
Paolo Pellegrino, Estetica, Facoltà di Lettere e Filosofia
Paolo Pellegrino, Estetica, Facoltà di Beni culturali
Accademia Statale di Belle Arti
Giuseppe Rizzo, Estetica
Basilicata
Potenza
Università degli Studi
Giuseppe Pizzuti, Estetica, Facoltà di Lettere e Filosofia
Calabria
Catanzaro
Accademia di Belle Arti
Raffaele Gaetano, Estetica
Franco Russo, Percezione e psicologia della forma
Cosenza
Università degli Studi della Calabria
Daniela Angelucci, Estetica e teorie del cinema, Facoltà di Lettere e Filosofia
Romeo Bufalo, Estetica, Facoltà di Lettere e Filosofia
Carlo Serra, Linguaggi della musica contemporanea, Facoltà di Lettere e Filosofia
Silvia Vizzardelli, Filosofia della musica, Facoltà di Lettere e Filosofia
Silvia Vizzardelli, Estetica musicale, Facoltà di Lettere e Filosofia
Silvia Vizzardelli, Estetica, Facoltà di Lettere e Filosofia
Reggio Calabria
Università degli Studi “Mediterranea”
Ettore Rocca, Teorie ed estetiche del paesaggio, Facoltà di Architettura
Ettore Rocca, Estetica, Facoltà di Architettura
Accademia di Belle Arti
Luigi Amato, Estetica
Elvira Leuzzi, Teoria della percezione e psicologia della forma
Emilia Valenza, Fenomenologia delle arti contemporanee
Sardegna
Cagliari
Università degli Studi
Maria Barbara Ponti, Teoria delle arti, Facoltà di Lettere e Filosofia
Maria Barbara Ponti, Estetica, Facoltà di Lettere e Filosofia
Sassari
Università degli Studi
Gavina Cherchi, Estetica, Facoltà di Lettere e Filosofia
Accademia Statale di Belle Arti
Valerio Dehò, Estetica
Sicilia
Agrigento
Università degli Studi di Palermo
Paolo Campione, Estetica, Facoltà di Architettura
Catania
Università degli Studi
Mauro Guarino, Estetica, Facoltà di Lettere e Filosofia
Luigi La Via, Estetica, Facoltà di Scienze della formazione
Graziella Seminara, Estetica della musica, Facoltà di Lettere e Filosofia
Carmelo Strano, Estetica, Facoltà di Architettura
Enna
Università Kore
Giovanni Lombardo, Estetica, Facoltà di Scienze sociali e della comunicazione
Messina
Università degli Studi
Vincenzo Curatola, Estetica, Facoltà di Lettere e Filosofia
Giovanni Lombardo, Poetica e retorica, Facoltà di Scienze della formazione
Giovanni Lombardo, Estetica della comunicazione, Facoltà di Scienze della formazione
Giovanni Lombardo, Estetica, Facoltà di Scienze della formazione
Flavia Tricomi, Istituzioni di estetica, Facoltà di Lettere e Filosofia
Noto (SR)
Università degli Studi di Messina
Giovanni Lombardo, Estetica, Facoltà di Scienze della formazione
Priolo (SR)
Università degli Studi di Messina
Giovanni Lombardo, Estetica, Facoltà di Scienze della formazione
Palermo
Università degli Studi
Antonella Cangelosi, Teoria e storia del restauro, Facoltà di Architettura
Elisabetta Di Stefano, Estetica, Facoltà di Architettura
Mariny Guttilla, Teoria del restauro, Facoltà di Lettere e Filosofia
Simonetta La Barbera, Storia della critica d’arte, Facoltà di Lettere e Filosofia
Salvatore Lo Bue, Poetica e retorica, Facoltà di Lettere e Filosofia
Gabriele Piana, Estetica, Facoltà di Scienze della formazione
Lucia Pizzo Russo, Psicologia dell’arte, Facoltà di Architettura
Lucia Pizzo Russo, Psicologia delle arti, Facoltà di Lettere e Filosofia
Luigi Russo, Filosofia dell’arte, Facoltà di Lettere e Filosofia
Luigi Russo, Estetica, Facoltà di Architettura
Luigi Russo, Estetica, Facoltà di Lettere e Filosofia
Salvatore Tedesco, Storia dell’estetica musicale, Facoltà di Lettere e Filosofia
Salvatore Tedesco, Metodologia della storiografia estetica, Facoltà di Lettere e Filosofia
Salvatore Tedesco, Storia dell’estetica, Facoltà di Lettere e Filosofia
Franco Tomaselli, Teoria e storia del restauro, Facoltà di Architettura
Accademia Statale di Belle Arti
Roberto Di Liberti, Teorie della percezione e della forma
Giovanna Di Piazza, Fenomenologia delle arti contemporanee
Francesco Galluzzi, Estetica

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C_2_Media_17651_galleryitems_galleryitem1_immagine.jpgI fasci di luce che penetrano dalla cupola si incrociano a diverse altezze con quelli che entrano dalle massicce pareti. Sembrano tante sciabole luminose che si sfidano per smaterializzare il grandioso complesso architettonico e dilatarne la spazialità, complice l’effetto riverbero degli sfondi dorati dei mosaici. Ci si sente davvero creature minuscole nella basilica di Santa Sofia a Istanbul, sovrastati dall’immensa cupola che supera i trenta metri di diametro. È un dominio che sembra elevare più che schiacciare, innalzare più che investire, quello della grande cupola, «aurea sfera sospesa al cielo», come la definì lo storico Procopio di Cesarea, che assistette alla costruzione di quest’architettura rivoluzionaria voluta dall’imperatore Giustiniano per colmare il vuoto lasciato dalla chiesa di Costantino, distrutta da un terremoto nel 532. Il rischio che un così ardito articolarsi di volumi non potesse reggere era così elevato che gli stessi architetti, Antemio di Tralles e Isidoro di Mileto, esposero a Giustiniano molte perplessità sul progetto. L’invito dell’imperatore bizantino fu di proseguire senza indugi perché sarebbe bastata la fede a sostenerlo, e naturalmente la forza del Supremo Architetto. A distanza di pochi anni, i segni di cedimento non tardarono a manifestarsi; il problema rimaneva la vertiginosa cupola. Tuttavia, dopo un primo “ritocco” e le continue minacce di crollo, dobbiamo ammettere che il sovrano giurista ci aveva visto giusto: regge ancora nonostante siano trascorsi quindici secoli. Questi non seppe trattenere un moto di orgoglio di fronte all’opera conclusa: «O Salomone, ti ho superato!». E pare che un poeta di corte apprezzato come Paolo Silenziarlo, guardando la cupola, a bocca aperta esclamò: «Sembra scendere dal cielo appesa a una catena d’oro».
Chi voglia fotografare questo gioiello architettonico, simbolo dell’antica Costantinopoli, si renderà conto che è difficile catturare con l’obiettivo la visione che si ha quando si è nell’edificio, tanto è volubile il gioco di luci e riflessi che la caratterizzano. La sua trasformazione nel 1935 in museo, per volontà di Atatürk, nulla ha tolto alla fluttuante e mistica sacralità del luogo di culto, prima come chiesa dedicata alla Divina Sapienza (“Haghia Sophia”) e poi, dopo la caduta di Costantinopoli in mano ai Turchi Ottomani, come moschea. Non un fotografo da cavalletto quindi avrebbe potuto portare a casa un reportage su Santa Sofia come quello che si può ammirare a Rimini, nelle sale di Castel Sismondo (fino all’11 novembre), nella mostra inaugurata durante i giorni del Meeting. L’autore, Franco Pagetti, è un fotoreporter di guerra che per il prestigioso Time ha battuto negli ultimi anni tutte le zone calde del pianeta, quelle parti di Europa, Africa, Asia, Medio Oriente, segnate da atroci conflitti, documentandone violenze e vita quotidiana. Solo un fotografo abituato all’azione e alla concitazione, più che al raccoglimento silente, poteva restituire davvero un’immagine così vibrante di Santa Sofia, e così fortunatamente lontana dalla cartolina o dall’illustrazione di un libro d’arte. Pagetti e i curatori della mostra sono interessati soprattutto all’anima cristiana di Santa Sofia, che trasuda dagli spazi architettonici sì, ma anche dai meravigliosi mosaici figurativi con i volti del Cristo e dei santi, anche se molto del loro passato splendore è purtroppo scomparso sotto l’intonaco sparso dai mussulmani per cancellare le figura umane vietate dall’Islam. Un mostra non solo fotografica. Il ricordo delle pratiche religiose, ma anche delle incoronazioni degli imperatori romani d’Oriente, è affidato infatti a una selezione di oggetti di pregevole fattura, usciti nel corso dei secoli dalle famose officine costantinopolitane e da altre botteghe bizantine:C_2_Media_17651_galleryitems_galleryitem4_immagine.jpg oreficerie, smalti, avori, mosaici e cristalli Alcuni sono davvero notevoli. Spiccano il Ciborio di Anastasia (conservato nel Tesoro di San Marco a Venezia): un reliquiario che ha le forme di un prezioso monumento in marmo ed esemplifica le costruzioni bizantine a pianta centrale del VI secolo. Dai Musei Vaticani arriva invece lo stupefacente trittico in avorio, datato agli inizi del secolo XI. Nell’insieme delle decorazioni, che coprono tutta la sua superficie e che un tempo dovevano essere impreziosite da gemme e perle, campeggiano le longilinee ed eleganti figure di santi: di una perfezione commovente.
Lo spazio della Sapienza. Santa Sofia a Istanbul
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Rimini – Castel Sismondo
Fino all’11 novembre 2007
Orari: dalle 9.00 alle 19.00. Giorno di chiusura: lunedì non festivi
Ingresso: 5,00 euro biglietto intero, 3,00 euro biglietto ridotto
Catalogo: Silvana Editoriale
Info: tel. 0541 783100

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Arte italiana a New York- fallimento annunciato

Roberto Cuoghi, Giuseppe Gabellone, Diego Perrone, Patrick Tuttofuoco e Micol Assael (e ora sembra anche Monica Bonvicini, che forse verrà presentata con un’opera raccattata) disertano la mostra sugli artisti italiani al P.S.1, New York.

New York, si sa, è una vetrina unica per gli artisti. E il P.S.1 una delle sedi più ambite e prestigiose. Specialmente per artisti ancora non noti nel mondo dell’arte americana, come gran parte degli italiani.
Per ottobre il P.S.1 aveva fissato una mostra di artisti italiani curata da Alanna Heiss (direttrice del P.S.1) con la collaborazione di Andrea Bellini, Klaus Biesenbach, Kazue Kobata, David Thorp e Neville Wakefield. Una rassegna sull’arte italiana recente che avrebbe dovuto intitolarsi “Mondo Fantastico”, con artisti emergenti ed altri considerati tra i più promettenti (Micol Assael, Pierpaolo Campanini, Gianni Caravaggio, Alice Cattaneo, Paolo Chiasera, Roberto Cuoghi, Lara Favaretto, Giuseppe Gabellone, Francesco Gennari, Piero Golia, Rä di Martino, Adrian Paci, Diego Perrone, Paola Pivi, Pietro Roccasalva, Lorenzo Scotto Di Luzio, Elisa Sighicelli, Patrick Tuttofuoco e Francesco Vezzoli).
Tuttavia cinque degli artisti invitati – cinque tra gli artisti italiani più rappresentativi al momento – si sono opposti alla mostra, mettendone in crisi scelte, fattibilità e selezione degli artisti. Conseguenza: la mostra non si farà più, o almeno non più nella forma originariamente progettata. Al suo posto il sito del P.S.1 annuncia la seguente rassegna: Paola Pivi, Monica Bonvicini, Francesco Vezzoli, Paolo Canevari, Adrian Paci e Pietro Roccasalva.

Ciao Giancarlo,
Tuttofuoco, Perrone, Gabellone e Cuoghi (e successivamente ho saputo anche Micol Assael e ora pare anche Monica Bonvicini) hanno deciso di non partecipare alla mostra di loro iniziativa mandando una lettera di dissenso e rifiuto ad Alanna Heiss. Il motivo è che per questa mostra non ci sono mezzi né idee. La mostra pretende di non avere soldi (poi in seguito alla lettera i soldi, almeno per trasporti e assicurazione, sono miracolosamente comparsi), non ha catalogo, ma soprattutto non ha idee e non è curata.

Quando loro quattro hanno deciso di mandare la lettera, il P.S.1 ha rilanciato chiedendo di ripensarci, facendo saltare fuori i soldi e promettendo, tra le righe, grandi cose anche per il futuro. Il fatto che il P.S.1 sia una vetrina ambitissima a NY, soprattutto per gli artisti italiani (artisti che vengono dalla periferia… e da una periferia in questo momento neanche tanto cool. Meglio essere Lituani o Rumeni oggi, piuttosto che Italiani) non significa che ci si debba piegare a qualsiasi condizione.
Questi quattro artisti hanno avuto coraggio (in un momento tra l’altro decisivo per la loro carriera e storia) a rinunciare a questa mostra. E hanno fatto bene a rimanere fedeli alla loro posizione anche quando il P.S.1 li ha poi corteggiati e ha cercato di riparare, promettendo mari e monti. Ho stima di chi ha coraggio e non di chi si muove solo in modo strategico.

Successivamente la mostra è stata ridotta drasticamente nel numero di artisti invitati e modificata nel taglio. Rimangono alcuni degli artisti più conosciuti, come Paola Pivi e Francesco Vezzoli.
D’altra parte quando hanno fatto la riunione, durante la Biennale di Venezia (sulla barca del P.S.1), hanno specificato che non tutti coloro che erano stati invitati alla riunione sarebbero poi stati invitati anche alla mostra, e che dovevano ancora decidere…

Un conto è fare una mostra a zero budget perché il posto, o il curatore, non ha a disposizione risorse economiche (però ha idee). Un conto è sapere che i mezzi a disposizione ci sono, che probabilmente vengono dirottati su altri progetti, che non c’è nessuna idea di mostra, nessun entusiasmo, nessuna attenzione. Perché un artista deve fare una mostra così? A che pro se non quello di avere nel CV, sotto la voce 2007, P.S.1, New York?

Sonia Campagnola, Los Angeles

MA IL P.S.1 è uno spazio prestigioso solo per i turisti italiani e per le belle mostre

Cara Sonia,
purtroppo il P.S.1 è un vasto contenitore senz’anima né carattere. Da sempre è lì, innaturale balena bianca, che macina eventi (decine e decine al mese, al punto da annullarsi spesso tra loro) e danaro. La direttrice, Alanna Heiss è una sorta di bulldozer onnipresente che schiaccia persone, eventi e divora tutto il denaro possibile, da qualsiasi parte o paese venga. E spreme come limoni, stagisti senza arte né parte che arrivano da ogni parte del mondo per stare a New York. Alanna, grande temperamento, poca sensibilità all’arte ma tantissima nei rapporti sociali, è riuscita a rendere il suo spazio uno dei più attivi a New York. Anche se in realtà più che uno spazio è una voragine mangiamostre e mangiasoldi. Da qui il compito di Alanna di inserire nel Board of Directors ricconi da ogni parte del mondo a cui scucire più danaro possibile in cambio di diplomi di benemerenza e di mecenatismo. Eppure tra tantissime mostre, io ne ricordo solo due: una relativamente recente, GREATER NEW YORK, nel 2000, mi pare, una bella panoramica orizzontale sulla creatività della grande mela, in cui erano stati scovati tutti gli artisti più bravi e innovativi (e nell’immenso calderone di New York non è facile); l’altra, molti anni fa, una bellissima, sull’Arte Povera, curata da Germano Celant che però si appropriò dello spazio, dell’allestimento, della comunicazione, del catalogo e di tutto ciò che riguardava la mostra, mandando in vacanza l’onnipresente rompiscatole Alanna Heiss.
Il grande Germano si confezionò la sua bellissima mostra sull’Arte Povera, trovandosi anche lo sponsor (la italiana Enel, se non vado errato, che all’epoca sborsò un miliardo di lire, cifra enorme a quel tempo ma i risultati furono eccelsi e a mia memoria la più bella mostra di Arte Povera). Insomma una bellissima mostra voluta, sponsorizzata e realizzata da Germano Celant.
A differenza di questa mostra di giovani artisti italiani di cui ci parla Sonia nella sua lettera e che dovrebbe aver luogo in ottobre: una mostra senza un curatore ma con un team curatoriale (Andrea Bellini, Klaus Biesenbach, Kazue Kobata, David Thorp e Neville Wakefield), in cui la parte del leone l’ha fatta Andrea Bellini perché gli altri curatori non sanno proprio dove sia l’arte italiana.
Però, come ben dice la nostra corrispondente Sonia Campagnola, si tratta di una mostra senza un progetto curatoriale, un Group Show, tanto per fare qualcosa.
E qui si pone il problema.

All’orizzonte, dalle acque limacciose del Chicago River, emerge il fantasma di Francesco Bonami, il pigliatutto

Vale la pena fare una mostra solo per farla nella grande mela? Il gruppo più importante e autorevole degli artisti dice di no, che a loro non interessa e che (giustamente) una mostra deve nascere con una idea, un progetto e una necessità. Non bastano dieci nomi buttati lì dall’Andrea Bellini che ora è più interessato ad Artissima che all’arte italiana a New York. Incominciano le prime defezioni; dapprima gli artisti di Massimo De Carlo, poi seguono quelli di Claudio Guenzani e ora anche di Emi Fontana. Quella mostra che ad alcuni appariva una folata di energia, ad altri una opportunità unica, ad altri ancora una (ri)conferma internazionale, improvvisamente appare priva di senso e di sex appeal.
Ora tutto appare meno interessante, ci sono pochi mezzi, gli artisti dovrebbero realizzarsi da loro le opere, non c’è catalogo, ecc. Tutto vero o forse no. Ma che importa. In realtà la mostra è di routine, un contentino all’Italia di cui non ci si occupa mai a New York (ha ragione Sonia, oggi premia più essere rumeni o lituani che italiani). Ma qualcuno dice che a sciogliere l’ammucchiata ci sia stato lo zampino di Francesco Bonami (che non ama molto le ingerenze italiche nella grande mela e che già soffre abbastanza la presenza di Massimiliano Gioni, che sta invece facendo un ottimo lavoro al New Museum, altro che P.S.1); quel Francesco Bonami che promette una più interessante, intensa, sfavillante mostra, con catalogo gigantesco, di arte italiana nel suo Museo di Arte Contemporanea che si rispecchia nel Chicago River.
Io non credo che tra le due mostre ci sarebbe stata una grande differenza qualitativa (gli artisti alla fine sono questi o poco più), però oggi un conto è partecipare a una mostra firmata dal povero Andrea Bellini e un conto è partecipare a quella di Francesco Bonami, asso pigliatutto.
O no? […]
Giancarlo Politi

da quando le quotazioni dell’euro hanno superato quelle del dollaro anche l’Italia ha superato l’America. da oltre oceano chiedono elemosine con la presunzione di essere ancora capo mundi del colonialismo planetare. è terminata  l’era del piano Marchal, gli italiani ritornano ad essere i migliori. non è certo un’americana senza budget che può sostituire il metodo illusionista inventato dai latini. un’ americana senza budget non è un’americana fosse pure Alanna Heiss direttrice del P.S.1; senza soldi lavorano già da tempo le direzioni del vaticano, ma “loro” contraccambiano con indulgenze. un’americana che si permette di fare l’italiana invitando artisti italiani in un’america con l’immagine del pezzentume non qualifica la carriera dell’artista, casomai denigra la sua dimostrando di non aver capito molto di come funzionano le cose…
Antonio Picariello

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Oggi non è il mio primo giorno di scuola. Non indosso grembiuli che mal si accorderebbero con la mia mole, la mia dignità generica, i miei occhiali pensosi, che sono la mia parte più squisitamente intellettuale. Sono esentato dalla marmellata, dai quaderni, dalle campanelle, e nessun bidello, nell’intera penisola, ha alcun potere su di me. Dal punto di vista della scuola, e di questo, fatale, iniziatico primo giorno, io sono un uomo libero. Non è un risultato da poco, e qualcuno vorrà sapere come mai io, che sono, tutto considerato, un inetto, sia riuscito a tanto. Il metodo è semplice: invecchiando. (da Improvvisi per macchina da scrivere, 1989)
Giorgio Manganelli (1922 – 1990)

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viaggiare per vedere, vedere per viaggiare

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