Gennaio 2008


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Libreria Book e Wine
Via 397 da Denominare n. 30 – Pescara

Sabato 12 gennaio 2008 alle ore 17,00

presentazione del libro
“COMUNQUE PRIMA C’ERA”
di ANTONIO PICARIELLO

intervengono:
F. DI GIOVANNI del centro OKI DO;
A. GASBARRINI, critico d’Arte e letterario.
A. PICARIELLO, Autore e critico d’Arte
Edito da Archetip’Art, fa parte della collana Saint Expedit, diari di arte contemporanea.
Edizione Archetyp’Art

E’ uno scrigno, aperto ai lettori come fosse il tesoro degli Aztechi. Ci porta a spasso nei tropici che all’arrivo ci festeggiano regalandoci pirotecnici scoppi di rosso e di verde, di ocra e di cobalto. La luce rovente del loro sole ci impone un’andatura più consona alla lentezza del ciclo della vita. Il Tempo incombe sull’abbaglio delle macchine, moscerini nel vento che proviene dall’origine del mondo. Un libro bellissimo, a cui siamo grati di averci ricordato cos’è l’incanto: si ascolta, si guarda, si sente a pelle. L’essenza dell’umanità moderna è raccontata attraverso la bellezza di ciò che c’è ma si coglie solo attraverso l’arte. Comincia come un film, una buona, vecchia sceneggiatura di quelle che richiedono una poltrona comoda. E garbatamente, l’’irruenza di una regia strabiliante si concentra sulla presa diretta di un uomo solo nella foresta dell’eremita che dovrebbe intervistare. Nel monologo di un uomo che parla a se stesso ci avvolge l’odore di libri e di inchiostro. La letteratura sboccia come le orchidee tropicali e invade ogni parte di noi. Breve e profondo, come uno specchio d’acqua, ricongiunge due parti di un mosaico danneggiato: l’Oriente e l’Occidente. Due racconti, CREOLI e GRIZZANA MORANDI, che scavano il confine tra due mondi. Nella linea che segna quella separazione traumatica c’è il vuoto della coscienza e della scienza. Il buco nero dentro cui precipitano le risposte che non si possono dare. Il bisogno d’amore a Saint Pierre de la Rèunion (Creoli) è sogno e silenzio; esplosione di profumo di vaniglia e natura arrogante che ingoia l’uomo incompiuto e ne riscopre l’animale perfetto. Nell’isola di Rèunion la natura è arte e la bellezza è contemplazione, nella fragranza della sua pulsione eterna. E nella lentezza di una modernità estranea i riti antichi della terra e del mare non devono temere l’interruzione del frastuono del nuovo. Il bisogno di sentire il proprio cuore che batte, lì si appaga stringendo la mano del maestro, “il curatore”: saggio, elegante, paziente indiano seduto sul mondo che cambia ma senza temerne la foga. La sua pelle bruna ha assorbito le radiazioni ancestrali dell’alba della terra e tutto attorno è solo frescura della sera. Perché le risposte non date non lasciano il dubbio, ma lo leniscono. Creoli è un magnifico dipinto di passione e sapere; un racconto che emerge, come Citerea dal mare, in una tempesta di altre letture e di altre parole, pensate, perse, amate: “In me c’è qualcuno che crea le parole che io pronuncio”. Il viaggio che porta via dall’Africa continua ad avere profumo di pelle bruna e di incenso del Tempio. E l’inquietudine dello spirito dell’isola si incarna nella forza travolgente di un uragano che ha il “nome di una bella creola”. Ma è solo il nome con cui chiamare la nostalgia del ventre della madre terra. Via via che l’Occidente appare all’orizzonte, tra le nuvole di una traiettoria tra cielo e terra, tra essere e avere, tra l’io e l’es, i tumulti dell’anima hanno bisogno di essere catalogati e archiviati da una conoscenza che non conosce tutto e che chiama il bisogno di amore: malattia. Il volo di ritorno a Occidente è il purgatorio in cui si rimane sospesi, tra il rimpianto cruento di una carnalità che è percezione del mondo visibile e di quello che non vediamo, ma che vede noi. I profumi di terra viva stordiscono ma ricompongono le schegge dei dolori nell’armonia della resa. A Bologna la Dotta, il bisogno d’amore ridiventa: male di vivere.(Grizzana Morandi) La scienza d’Occidente non sa più decodificare la paura dell’immanenza della vita e rimuove come una patologia la fragilità, nella lotta uomo-natura. Nel corridoio di una clinica italiana che conduce lontano dal proprio bisogno d’amore, ciò che non è noto, non è ovvio, è solitudine e assenza. Un solo bisogno, sempre lo stesso, e due modi di appagarlo: l’accettazione o la rimozione, la forza rassicurante di ciò che non deve essere compreso o il disagio disturbante di non potersi permettere spazi inesplorati. “Comunque prima c’era” è una canzone a due voci, tra l’ossigeno e l’acqua, la scienza e l’essenza. Ed è una canzone che diventa “Urlo” quando il bisogno d’amore edulcora l’ossigeno e l’acqua con l’alcool, demone abbordabile, in assenza di dei e di cielo. La spiritualità, nell’Oriente immobile, è memoria di percorsi complessi e anche i demoni maligni pretendono la battaglia dei sensi. A Occidente la mancanza di quella memoria genera dolore, senza le ferite del coraggio. Ma lungo la linea del vuoto irrompe l’arte e riaggrega lo spirito e la carne, molecole nell’acqua dell’esistenza. Un libro che si legge arrampicandosi lungo le salite, ora riottose ora morbide, di una scrittura plastica, addomesticata dallo spazio, come la facciata di una cattedrale barocca. Da Creoli a Grizzana Morandi c’è il viaggio di un aereo che vola sul confine delle conoscenze umane. Antonio Picariello non può fare a meno di se stesso: questo libro è un dipinto che contiene tutti i pittori del mondo. Creoli è un racconto luminoso e brulicante, sanguigno come un quadro di Picasso; Grizzana Morandi è un dolore oscuro con potenti indizi di luce. E’ Caravaggio. E su tutto, l’immanente profumo della terra che partorisce i suoi figli, generati per amore soltanto.

Caterina Sottile

…….

LO SCRITTORE DEI CICLONI
Antonio Picariello introduce questo suo racconto con una massima che ne fornisce allo stesso tempo la più precisa illustrazione: “Ci sono luoghi dove il linguaggio sublime parla silenzioso al destino delle persone”.Racconto meraviglioso, perché in nessun altro modo è possibile definire lo stupore di un evento straordinario e inatteso, e l’ammirazione per la sua bellezza. Inatteso, solo perché si conosceva l’autore come critico d’arte di primo piano, e scrittore a volute ampie e multiformi, ma anche di estrema complessità, quanto a ricchezza di significati, per chi non ne scoprisse il codice esatto, la cifra, e non se ne vedesse svelate, alla fine, le linee così apertamente logiche. Non ridotta, ma regolata dalle leggi del racconto, quasi domata, come si può domare qualcosa di potente e ricondurlo a un ordine, la scrittura di Picariello risalta in tutta la sua elastica vitalità, prendendo le forme multiple della cultura creola alla quale il racconto, come un saggio di antropologia romantica, è dedicato. Così non meraviglia che come primo nome, nello svilupparsi di quello che è un ben preciso progetto, si incontri Marvin Harris, antropologo controverso, scrittore di cannibali, di sacrifici cruenti, sintetizzati nell’immagine delle migliaia di teschi che ornavano le piazze e i templi delle città azteche. Ed è anche la prima delle inserzioni realistiche che sostengono come strutture una creazione che ha i ritmi e la fluidità di un lungo sogno. Da Londra, Salisbury, le rovine megalitiche di Stonehenge, all’isola di Réunion, oltre Zanzibar, il Madagascar, dove l’Africa si perde nell’oceano Indiano. Avamposto della Compagnia delle Indie con i suoi mercati di spezie, di rum, di vaniglia

http://cavallisanniti.splinder.com/archive/2007-09

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(estratto da “IL Bene Comune” anno VII Nov 07 n° 11)

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http://www.ilmolise.net/contemporanea/presentazione.htm

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http://www.donatodonofrio.it/Architetto/Home%20Page.html

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http://www.francoangeli.it/Ricerca/Scheda_Libro.asp?CodiceLibro=1520.538

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In un mondo che pone enfaticamente al centro della propria natura la comunicazione, sostenere che l’arte abbia poco a che fare con essa può sembrare sovvertire un ordine e ciò costa fatica intellettuale. È per questo che la presenza dei critici, dei curatori e di altri attori accanto agli artisti è data per scontata, spesso invocata, proprio per la loro presunta capacità di restituire una semantica condivisibile che le forme in sé non necessariamente hanno. Ecco allora che la poetica dell’artista incontra e si confonde con sensibilità diverse, che ‘sveleranno’, nei casi migliori, non tanto il difficile equilibrio fra il reale e l’ideale che il vero artista persegue, bensì la visione di chi interpreta. Se assumiamo che per l’artista comunicare non sia un obiettivo primario, per chi lo è? È proprio in tal senso che si aprono mille interrogativi e si possono proporre mille risposte. Non è certamente un caso che, pur partendo da livelli di osservazione differenti, gli autori concentrino la loro attenzione sul ruolo che nel contesto artistico hanno assunto la divulgazione e l’informazione pubblicitaria, avvertano l’importanza di proporre uno schema teorico sui modelli di fruizione correnti, si interroghino sul ruolo creativo delle nuove tecnologie, o, ancora, analizzino i sottili intrecci fra sistema dell’arte ed economia.

Danila Bertasio, Presentazione
Danila Bertasio, Nel mare di Internet alla ricerca dell’arte
(Premessa; L’arte tra informazione e conoscenza: il ruolo delle Istituzioni Pubbliche; Anatomia dei siti; All’inizio del viaggio; Quale spazio per l’arte?; Lo sguardo ‘corto’ degli Enti Locali; Conclusioni; Riferimenti bibliografici)
Maurizio Bortolotti, Biennali e mondializzazione
Sarah Cosulich Canarutto, Visitatoreattore
Renato Calligaro, Il trattamento di forma (Riferimenti bibliografici)
Mario Costa, Fenomenologia e senso delle arti NewTech
(Riferimenti bibliografici)
Vincenzo Cuomo, Contingenza neuro-culturale e in-esperibilità della rete
(La mano e la visione; Schema corporeo e in-esperibilità della rete)
Linda Kaiser, Arte o impresa? Strategie comunicative tra pubblico e privato
(Premessa. Arte “e” Impresa. Arte “o” Impresa?; Il caso Riva; Strategie comunicative fra pubblico e privato; Riva e l’arte; Riva e l’appartenenza; Riva, la comunicazione di un modello d’impresa e la multimedialità; Arte, impresa, spettacolo)
Stefano A.E. Leoni, Dilemmi fittizi e veri ruoli: produzione e ascolto nella musica (d’arte?) tra modernità e postmodernità
(Fonti online)
Giuseppe O. Longo, La comunicazione come spettacolo
(Premessa; Oggetto e soggetto; Gli oggetti reali; Comunicazione e spettacolo; Comunicazione e tecnologia; Scienza e spettacolo)
Lella Mazzoli, Arte o comunicazione d’arte?
(Riferimenti bibliografici)
Antonio Picariello, Critica d’arte e natura dell’ambiguità (geniale) dell’artista
(La guerra insegna arte)
Bruno Sanguanini, Usabilità e stress dei musei nel Bel Paese. Il “turismo culturale” è un vaso della fortuna o il coperchio della crisi?
(Introduzione; Usabilità e beni culturali; Turismo di massa e crisi dei musei; Patrimonio culturale e opinion makers; Siti d’arte e inchiesta sociale; Una giornata in direzione; Direttore e custodi; La guida e il gruppo; Custodi e visitatori; Turisti e museo; Accessibilità e usabilità a rischio; Formazione, organizzazione e usabilità; Sintesi; Riferimenti bibliografici)
Giuseppe Siano, Conservazione delle produzioni umane oggi: l’Artistico, l’Architettonico e l’Ambientale come “Bene Culturale” in un incommensurabile mercato
Raimondo Strassoldo, Il sistema dell’arte: nascita, trasfigurazione, apoteosi e imbalsamazione
(Nascita: la Santa Alleanza tra l’Arte e la Nazione; Trasfigurazione: la risoluzione avanguardista; Apoteosi: l’americanizzazione; L’imbalsamazione: l’arte nella post-modernità; Conclusione: tendenze)
Mariselda Tessarolo, Produzione e fruizione artistica: chiavi interpretative
(Premessa; Primo modello: tradizione/continuità; Secondo modello: affettivo/consolatorio; Terzo Modello: avanguardia/rischio; Note conclusive; Riferimenti bibliografici)
Renato Troncon, “Ricerca estetica” e politiche culturali
(Le politiche culturali; La “ricerca estetica”; Limiti dell’idea di performance; “Ricerca estetica” come “sperimentazione”; Il concetto di cultura come “ambiente”; Un esempio di performance che sperimenta: la festa; Conclusioni)
Laura Verdi, Utilità dell’inutile. Esperienze comunicative dell’arte
(L’arte dopo l’Arte; Al bivio tra alienazione e comunicazione: la spettacolarizzazione; Amplificatio e spettacolarizzazione etica; Riferimenti bibliografici; Fonti online)
Gli autori.

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La scultura monumentale Angelo custode e le altre creature geometrico-organiche di Mario Costantini

C

on le Avanguardie storiche esplose tra il 1909 (nascita del Futurismo) ed il 1924 (affermazione del Surrealismo) – né va sottaciuto l’intermezzo Dada dell’immediato dopoguerra – la Storia dell’arte figurativa non è stata più la stessa (Impressionismo incluso).

L’azzeramento dell’iconografia angelologica consolidata messo in atto da Paul Klee tra gli anni Dieci ed il 1940 (anno della sua morte) con la serie dei circa 50 disegni dedicati ad angeli “più che strambi”, è una filiazione diretta del lavoro dissacratorio (ma non per questo sacrilego) portato avanti dagli artisti più rappresentativi della prima metà del Novecento (Pablo Picasso in primis).

Vittime sacrificali dal punto di vista religioso, e nel contempo protagonisti dell’irreversibile svolta modernista, gli scarnificati angeli di Klee, già in molti titoli dati alle opere enunciano un loro diverso modo di essere (più terreno che divino, molto infantile nelle pose, dai tratti alquanto sgraziati e bruttini) rispetto alla tradizione iconografica: Angelo in ginocchio, Presto capace di volare, Angelo pieno di speranza, Crisi di un angelo, Più uccello che angelo, Angelo nell’asilo infantile, Nell’anticamera della società degli angeli, Angelo civettuolo coi riccioli (tutti del 1939) e così via.

Ma la fortuna critica e storiografica spetterà ad un’altra sua opera: l’acquerello dell’Angelus Novus del 1920 eternato, per primo, da Walter Benjamin (il quale lo aveva acquistato l’anno successivo, portandolo poi sempre con sé, alla stregua di un viatico se non di un amuleto, nelle sue errabonde peregrinazioni in vari Paesi europei dovute alle persecuzioni razziali naziste, sfociate poi nel suicidio del 1940), nella nona delle sue “Tesi di filosofia della storia”.

Data la persistente attualità delle sue riflessioni, ho ritenuto opportuno riportare integralmente l’ insuperabile, quanto profetico e lungimirante testo: «C’è un quadro di Klee che s’intitola Angelus Novus. Vi si trova un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l’infranto. Ma una tempesta spira dal Paradiso, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che egli non può più chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo progresso, è questa tempesta»1.

Tornando agli altri angeli di Klee, e collegandoli nominalmente alla scultura Angelo Custode di Mario Cosatantini, vanno precisate due questioni: la prima è che tutti gli angeli, ad eccezione dei quattro disegnati ne La roccia degli angeli (1939) sono sempre ritratti individualmente; la seconda è che esiste più di una versione ispirata al tema dell’angelo custode, quale Sotto custodia d’angelo (del 1931): pur essendo qui raffigurati tre angeli sovrapposti in modo fantasmatico, la resa grafica del corpo è unica (due sole gambe sorreggono il tutto).

Anche la scultura monumentale in pietra bianca della Maiella (di cm. 80x120x180, del peso di ben 20 quintali) Angelo Custode che sarà collocata all’aperto a Penne, nelle vicinanze del Monumento ai Caduti, ha una serie di riscontri semantici con le opere di Klee, ben ravvisabili in questa dichiarazione poetica dello stesso artista: «Presenza imponente, pesante, di una figura che spesso s’immagina eterea. Qui è terrena, colta nell’atto di posarsi, quasi a voler sorprendere gli astanti. La forma plastica ci appartiene e ci fa cittadini della terra; la sua essenzialità ci riconduce al soprannaturale, a qualcosa di pensato e di mai saputo. Anche il luogo è uno qualsiasi: non è concepito né pensato come deputato per l’evento. L’Angelo scende dovunque. […] ».

Ho già avuto modo di scrivere alcune note critiche per altre opere monumentali di Mario Costantini (Uomo tripode, nella collezione del Parco scultoreo della Terra Moretti in Lombardia; The Swimmer, a Montesilvano e Danzatori per la Pace, a L’Aquila, nello spazio antistante il Consiglio Regionale della Regione Abruzzo).

Non sto qui a ripetere le argomentazioni di carattere stilistico di quel minimalismo ideogrammatico da me individuato nella poetica del Nostro. Minimalismo in cui una forte tensione volumetrica di matrice organica (antro-zoo-fitomorfa), riesce a far levitare imponenti masse, quasi che delle invisibili molle elasticizzanti consentano una loro docile espansione nello spazio.

L’Angelo Custode assimilabile somaticamente ad una creatura aliena – piovuta come un monolite dal cielo e planata tra gli umani con le sue vistose ali dalla forma semipiramidale (rovesciata) – sembra, nelle sue movenze, un po’ a disagio rispetto ad una sconosciuta forza di gravità (gli angeli, specchio riflesso della luce divina, sono pura energia fotonica, e perciò non soggette all’attrazione gravitazionale newtoniana). L’ambiguità della sua postura, originata da una gamba avanzata rispetto all’asse cilindrico del corpo, non fa capire chiaramente se la sua venuta sia temporanea o definitiva, nel senso che la divaricazione degli arti può far pensare alla ricerca di un più stabile equilibrio o ad un primo passo diretto chissà dove. In tale evenienza, per indurlo a restare, con quale nome chiamarlo? Ognuno di noi, secondo la cabala ebraica, è protetto dal nome dell’angelo corrispondente alla posizione zodiacale occupata al momento della nascita: cinque gradi dello zodiaco per un totale di 72 angeli. Il nome del mio angelo custode, essendo nato il 19 aprile, è “Lelahel” (Dio lodevole). Il suo, forse, è da ricercare nella combinazione delle lettere alfabetiche degli altri 71: un numero grandissimo, ma la loro pazienza nell’ascoltarci, anche quando erriamo, è sconfinata.

A guardarlo con attenzione, comunque, si nota subito l’efficace incrocio dialettico formale tra le linee rette delle superfici alari e della schiena, e quelle tondeggianti della testa-tronco e delle gambe, il tutto dinamizzato dal felice incastro virtuale di qualche agile massa.

Che il segreto della scultura non consista nelle dimensioni (quasi tutti i monumenti non ancorati allo spigliato lessico avanguardista della Modernità, hanno lo stantio sapore di grevi, funeree statue tardo-ottocentesche), lo dimostrano ad abundatiam le altre opere esposte nella parallela mostra personale dal sintetico titolo Organico-geometrico: qui alcuni disegni preparatori dell’Angelo custode ed altre opere ispirate al tema angelologico o all’inesauribile universo inventivo di Mario Costantini, certificano al meglio lo stato di grazia dell’artefice.

In proposito si osservi l’installazione Angeli divini già proposta recentemente nella mostra dei vini tenuta al Museo di Nocciano (nove artisti abbinati a nove cantine). Sia il titolo dell’installazione, che la bicromia dei tre piccoli angeli in gesso (per metà bianchi nella parte superiore, e per metà color vinaccia in quella inferiore), chiamano subito in causa la componente ludico-ironica, ma anche concettuale, della “leggerissima” poetica dell’artista vestino: i tre Angeli di / vini, anche se un po’ brilli, non rinunciano ad esibirsi, mantenendo del tutto intatto un inappuntabile ritmo geometrico denso di triangolazioni formali ali-gambe davanti allo sfondo scenografico di una fotografia evocante i cieli azzurrati della loro dimora attraversati da metafisiche nuvole magrittiane.

Altri angeli, questa volta graficizzati come Angelo d’oro, Angelo a carboncino, Angelo a sanguigna, completano il coro propiziatorio intonato per l’avvento epifanico, a Penne, de l’Angelo custode.

Le ulteriori creature edeniche geometrico-organiche effigiate nelle altre opere – connotate da un primitivismo segnico e simbolico il più delle volte prelevato dal repertorio iconografico dell’arcaica civiltà vestina – partecipano da protagoniste, e non già da semplici comparse, al coro angelico di cui sopra.

Per tutte, propongo una mia lettura del pannello in ferro Pastorale (cm. 85×335): su una superficie piana, di forma rettangolare e con uno sfondo monocromatico nero antracite (come non citare gli Annottarsi di un Burri?), energetici animali fantastici prendono magicamente vita dai vuoti delle loro sagome traforate ottenute con il chirurgico taglio del metallo mediante luce laser (ancora: come non riandare ai buchi di Fontana?). Anche in quest’opera è il serrato ritmo compositivo delle strane icone, sgranate come note su due linee di un ideale pentagramma, ad andare ben oltre la costrizione bidimensionale: la pelle dei loro cangianti vuoti assorbirà, di volta in volta, i riflessi luministici della parete irraggiandoli, così come fanno gli angeli con la luce primigenia del loro Creatore, in ogni dove.

L’Aquila, fine dicembre 2007/1 gennaio 2008

Antonio Gasbarrini

1 Walter Benjamin, Angelus Novus. Saggi e frammenti, a cura di Renato Solmi, Einaudi, Torino 1995, p. 80. La tesi è preceduta da una citazione di una poesia dedicata al quadro e all’amico, da Gerhard Scholem: «La mia ala è pronta al volo, / ritorno volentieri indietro, / poiché restassi pur tempo vitale, / avrei poca fortuna». Lo stesso Scholem è autore del bel libro Walter Benjamin e il suo angelo (Adelphi Edizioni, Milano 1978), dove sono ricostruite tutte le vicende biografiche e filosofico-ideologiche relative ad alcuni scritti di Benjamin scaturiti dal quadro di Klee. Per inciso aggiungo che nel fondare nel 1988 a L’Aquila il Centro Documentazione Artepoesia Contemporanea, tuttora attivo, scelsi come nome (non a caso) Angelus Novus, e come logo l’acquerello di Klee rielaborato graficamente dall’artista Silvestro Cutuli e recentemente “restaurato”, digitalmente, nella stamperia di Claudio del Romano.

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