Parigi, Marsiglia, Weimar, Napoli, San Gimignano, Mosca. Negli anni venti Benjamin scrive per giornali e riviste una serie di articoli-reportage sulle città dove gli capita di soggiornare.”Alla base delle descrizioni delle città straniere di Benjamin non troviamo motivi meno personali di quelli che ispirarono “Infanzia berlinese”. Ma ciò non significa che egli non abbia saputo vedere quei luoghi nella loro realtà . Ché un paese straniero riesce a operare la magica trasformazione del visitatore in fanciullo solo se gli si mostra così pittoresco e così esotico come una volta era apparsa al bambino la propria città . Simile al fanciullo che sta con occhi attoniti nel labirinto inestricabile, Benjamin nei paesi stranieri si consegna con tutto il suo stupore e tutta la sua avidità alle impressioni che lo investono. Il linguaggio metaforico aiuta Benjamin – analogamente alla struttura da lui preferita: l’articolazione in brevi periodi – a dipingere le immagini di città come miniature. Nella loro sintesi di lontananza e vicinanza, nella loro incantata realtà , esse assomigliano a quei globi di vetro in cui la neve cade su un paesaggio, che furono fra gli oggetti preferiti da Benjamin”. -QUESTA CITTà , QUESTA L’AQUILA CHE AMIAMO è QUI A DIRCI ANCORA UNA VOLTA CHI SIAMO PERCHè ESISTIAMO PERCHè DOBBIAMO ESISTERE ADESSO PER NOI, PER CHI CI SOTITUIRà NELLA STORIA E NELLA VITA. SAREMO ANIME E LORO LA BIOLOGIA CHE CI RISPETTERà SE SAREMO STATI CAPACI DI FARCI RISPETTARE. DAI FIGLI E DAL MONDO. A. P.Â
La mani sporche, i nuovi lanzichenecchi ed il sacco dell’Aquila cementificata
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di Antonio Gasbarrini *
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Le mani sporche sulla città di Federico II. Le iene ridenti, qualche minuto dopo le devastanti 3.32, erano già pronte ad azzannarne la carcassa. Rivoltante scena avvenuta subito dopo con la complicità di alcuni basisti-imprenditori locali i quali non hanno avuto alcun ritegno, con la costituzione del “Consorzio Federico II†in puzza di mafia, nell’infangare l’aulico nome dell’imperatore svevo.Â
Aveva assicurato, l’incauto braccio destro del sig. b. – il marsicano Gianni Letta – che quelle iene “non hanno avuto né avranno un solo euroâ€: al momento, ne hanno già incassati circa 12 milioni. Tondi tondi, si tratta di 24 miliardi delle vecchie lire. Hanno vinto appalti o sono stati direttamente incaricati, senza colpo ferire, ma con la determinante mediazione di uno dei tre coordinatori del cosiddetto Partito della Libertà , quel Denis Verdini indagato per corruzione dai magistrati fiorentini. Quel che è peggio, hanno tra l’altro costruito una scuola media e messo in sicurezza una delle più prestigiose architetture della città , il Palazzo quattro-cinquecentesco Farinosi-Branconi.
Due simboli forti insozzati da una volgare cupidigia senza fondo. Il primo, la scuola media Carducci, dove una moltitudine di studenti provenienti dalla costa in cui attualmente si trovano ancora in buona parte esiliati, si alza ogni mattina alle 5,30 per rientrare la sera alle 19, dopo aver percorso in autobus circa 200 km tra andata e ritorno. Il secondo, ristrutturato ed ampliato nei primi due decenni del Cinquecento dall’ “aquilanus†Giovan Battista Branconio, erede testamentario di Raffaello Sanzio nonché segretario particolare dei papi Giulio II e Leone X. Non so che fine abbia fatto, dopo il “tremuotoâ€, lo stupendo ciclo di affreschi di ascendenza anche raffaellesca “Le storie di S. Clementeâ€. So, invece, di averlo studiato e documentato iconograficamente nel mio libro “Branconio e Raffaello. Amici nella vita e nell’arteâ€. Anche per quest’ultima coincidenza sono rimasto particolarmente schifato dei branchi delle fameliche carogne precipitatesi sulla città morta.
Ma, in proposito, ha ragioni da vendere l’urbanista Pier Luigi Cervellati il quale, nella tavola rotonda “Guardarsi dentro†tenuta recentemente nell’auditorium della Regione Abruzzo, ha testualmente affermato: “Chi si stupisce dell’accaduto, dovrebbe riflettere su quanti imprenditori aquilani e no, negli ultimi decenni hanno riso e continuano a ridere per aver potuto costruire sulla faglia attiva di Pettinoâ€. Non era ancora a conoscenza, l’illustre urbanista, dello squallido intreccio affaristico intercorso qualche giorno dopo il sisma tra alcuni costruttori aquilani ideatori del famigerato Consorzio Federico II (“non avente scopo di lucro†com’è scritto nello statuto, ma pronti a festeggiare nei pressi di Palazzo Chigi la sicurissima aggiudicazione di vari appalti) ed i vari indagati già in parte assicurati alle patrie galere, satelliti non tanto occulti del Re Sole della Protezione Civile. Â
E, aggiungo personalmente, quanti politici, faccendieri di ogni risma, proprietari di ex terreni agricoli si sono fregati ed hanno continuato a fregarsi le mani fino al 5 aprile?
La storia è piena di Attila che non hanno risparmiato nella loro furia distruttrice un solo filo d’erba e di lanzichenecchi stupratori del corpo più sacro esistente nel nostro sistema solare: la venerabile natura-territorio-vita a cui dobbiamo tutto il benessere fisico, spirituale, civico e culturale.
Natura-territorio-vita godibile nella verdeggiante conca aquilana adagiata ai piedi del Gran Sasso, fino alla prima metà degli anni Cinquanta del novecento. Per circa sette secoli c’era stata una perfetta simbiosi nella triade città -natura-territorio. Poi, con la vorace espansione fuori le mura medioevali, l’antico equilibrio è stato progressivamente interrotto edificando a più non posso casermette e casermoni sulla faglia, implosi o squagliatisi come neve al sole con il loro mafioso cemento annacquato.
La bruttissima new town di “Aquila 2â€, nel giro di una cinquantina d’anni era cosa fatta con i suoi 25.000 abitanti, quasi tutti emigrati dal centro storico, a sua volta riempito da migliaia di studenti universitari paganti fitti in nero. La città borghese e piccolo borghese liberale prima e clerico-fascista poi, con forti entrature massoniche, cambiava così in modo radicale i suoi consolidati connotati socioeconomici trasformandosi in una parassitaria comunità prosperata sull’abnorme, totalizzante crescita della rendita parassitaria (edilizia, terreni e affitti).Â
Per rendersi ben conto di questo primo sacco cementificato con cui i lanzichenecchi locali hanno deturpato la natura-territorio extra moenia, si può andare in via Duca degli Abruzzi e fermarsi all’altezza di Porta Branconia nei pressi del vecchio ospedale S. Salvatore, dissepolta qualche anno fa. Il desolante spettacolo di quel lunghissimo, disordinato convoglio di case dirette verso un precipizio antiurbano, grida ancora vendetta per aver rumorosamente oltraggiato il plurisecolare silenzio laborioso del sovrastante Convento di S. Giuliano o del maestoso Gran Sasso nella sua scenografica lontananza. Scenografia, dentro le mura, esaltata dalle architetture barocche innestate dopo il terremoto del 1703 sul precedente tessuto urbanistico d’impianto medioevale-rinascimentale, sia con teatralizzanti soluzioni formali che con decorazioni plastiche di matrice religiosa (la chiesa del Suffragio e quella di S. Filippo ne sono state un chiaro esempio).
La mazzata finale alla disordinata lievitazione periferica d’una città -territorio-ambiente dal volto già sfigurato, l’hanno data nel giro di alcuni mesi due nuovi Attila in groppa sullo stesso scalpitante cavallo della Protezione Civile deviata (quella “ristrettissima†degli appalti truccati, s’intende, e non già i sensibilissimi vigili del fuoco o le migliaia e migliaia di generosissimi volontari venuti a L’Aquila da ogni parte d’Italia, anche se inquadrati operativamente in un’arruffata Armata Brancaleone come ha affermato Manuela Menenti, capo dipartimento della Protezione civile).
I due Attila, i sigg. b&b, con un furore distruttivo senza precedenti, hanno devastato nel diametro di una quarantina di chilometri pianure, colline e montagne con la sciagurata cementificazione di ben 19 aree agricole produttivamente essiccate e paesaggisticamente stuprate. Â
Un oceano di verde che aveva sostanzialmente resistito all’inesorabile ingiallire dei secoli, ingoiato in un battibaleno da voraci, più che redditizie muraglie grigiastre fintamente imbellettate con i più svariati colori presi in prestito dalle posticce quinte scenografiche delle fictions televisive.
Mentre le montagne e montagne di rovine sismiche implose nel centro storico (“L’Aquila 1â€) e della periferia (“L’Aquila 2â€) venivano deliberatamente fatte scomparire nel cilindro del grande imbroglione fino ai disperati sfondamenti da parte dei terremotati dello sbarramento militarizzato dei Quattro Cantoni – con le due eroiche giornate delle “Mille chiavi†e della “Rivolta delle carriole –, tutta l’attenzione mediatica dell’opinione pubblica era stata trionfalisticamente concentrata sulla “spezzettata†new town di “L’Aquila 3â€, con le sue cimiteriali c.a.s.e.t.t.e – dormitorio fortemente volute ed esibite come un nuovo miracolo italiano.
Dopo l’inchiesta penale di Firenze, anche noi aquilani siamo riusciti finalmente a capire le ragioni di fondo che hanno determinato tale scempio. Da inquadrare, purtroppo, all’interno d’un unico pacchetto corruttivo e affaristico gravitante attorno ai familistici “appalti gonfiati†legati alle ordinanze della Presidenza del Consiglio-Protezione Civile, appalti spartiti e spartibili tra alcune cricche malavitose.
Non tanto sprovveduti, però, c’eravamo già chiesti – ed ora lo ribadiamo a viva voce – come mai le c.a.s.e.t.t.e antisismiche siano ipercostate a noi contribuenti circa 2.700 euro al mq., contro i 1000-1200 dei moduli abitativi provvisori rimovibili in legno, o i 550 delle meravigliose “piccole case†ecocompatibili in paglia costruite con il determinante apporto di lavoro volontario a Pescomaggiore in quel di Paganica? Un auspicabile intervento chiarificatore della magistratura aquilana, in proposito, ci tranquillizzerebbe.
Preoccupati come siamo per le futuri sorti d’una città storica urbanisticamente plasmata con pietre e mattoni, ora soffocata forse in modo irreversibile dalle colate di  cemento per una seconda volta, non potevamo non sobbalzare sulla sedia alla diversiva quanto grottesca proposta bertolasiana lanciata nell’intervista rilasciata al TG5: “Secondo me un’idea bellissima sarebbe quella di candidare L’Aquila per le Olimpiadi invernali del 2018. In quel momento l’Aquila sarà stata ricostruitaâ€. Ignorava, il nostro grande improvvisatore spendaccione che ha dilapidato milioni di euro durante le tre giornate del G8 a L’Aquila, euro sottratti alla popolazione terremotata, che le proposte di candidature sono già scadute il 31 ottobre scorso. Ma non è solo una questione burocratica. Ci vuole una vera e propria faccia tosta, dopo il totale fallimento d’una ricostruzione mai cominciata, nel prendere impunemente per i fondelli bucati i circa 30.000 aquilani desparecidos (sistemazioni autonome, alberghi e caserme). Â
L’oggi e l’immediato domani per le tante migliaia e migliaia di concittadini, disoccupati, cassintegrati, artigiani, piccoli imprenditori, commercianti, liberi professionisti senza più arte né parte e studenti universitari fuori sede mandati allo sbaraglio, pensionati confinati nelle desertificate little towns, hanno una primaria necessità : ritornare il più presto possibile nelle loro abitazioni.
Ed il loro sogno, attualmente, è lo stesso di S. Giuseppe da Copertino, inopinatamente inserito qualche anno fa, in occasione delle celebrazioni per il quarto centenario, tra i Grandi Eventi  finanziati dalla Protezione Civile: continuare a guadagnarsi il classico “tozzo di paneâ€.
Facciamo parlare il Santo protettore dei cafoni fontamaresi con alcune frasi siloniane: «Questo santo dunque era un cafone e si fece frate, ma non riuscì mai ad imparare il latino; quando gli altri frati recitavano i salmi, egli rendeva onore alla Vergine, dovunque si trovasse, anche in chiesa, facendo capriole. Maria Santissima per […] premiarlo gli diede il dono della levitazione. […] Si racconta che quando egli comparve di fronte al trono divino […] il Santo espose quel che desiderava: “Signore, un gran pezzo di pane biancoâ€. […] Iddio […] chiamò dodici angeli e ordinò loro che, ogni giorno, dalla mattina alla sera, per “omnia saecula saeculorum†, rifornissero San Giuseppe da Copertino del miglio pane bianco che si cocesse in paradisoâ€.
Affiatatissimi cantanti in falsetto b&b: avete inteso l’antifona?      Â
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* Critico d’arte – Art Director del Centro Documentazione Artepoesia Contemporanea Angelus Novus, fondato nel 1988 (L’Aquila, Via Sassa 15, ZONA ROSSA). Attualmente “naufrago†sulla costa teramana. antonio.gasbarrini@gmail.com