Settembre 2010


CHI INVESTE UNA VITA NELL’ARTE DEVE ESSERE DIFESO DAI FALSI IMPOSITORI. SOLO IN QUESTO MODO LA GRAZIA E LA RICERCA DELL’ARTISTA POTRANNO RIASSUMERE IL VERO VALORE CHE LE COMPETONO. I MERCANTI E L’IGNORANZA HANNO DISTRUTTO OGNI QUALITà E SENSO ONOREVOLE DELLA VITA. IL COMPITO DELL’ARTISTA è DARE FORZA E VISIONE DI DIO ALL’UMANITà PER MEZZO DELLA CREAZIONE DELL’OPERA D’ARTE E DEL LINGUAGGIO CHE ESSA CONNOTA. QUESTO DIO è IL DIO CREATO DALLA FORZA INTERIORE DELL’ARTISTA. UNA VOLTA DATO NELLA VERITà DELLA RICERCA,  OGNI UOMO E DONNA PUò INCONTRARSI CON LA PROPRIA SENSIBILITà. SE CI SONO PROFANATORI OCCULTI DEVONO ESSERE SMASCHERATI. IL COMPITO DELLA CRITICA è DARE POSSIBILITà ALL’ARTE VERA DI ESISTERE. LA QUALITà DEL MONDO DEVE RIPRENDERE LA PROPIA ESSENZA E L’ARTE DEVE RITORNARE AGLI ARTISTI. NON è Più TEMPO DI FARSI MANIPOLARE DAI DEMONI DEL MERCATO. L’ARTE ANTICIPA, IL MERCATO SEGUE. L’INVERSO CREA MALATTIE SOCIALI, PATOLOGIE DI MASSA UTILI SOLO AGLI INSENSIBILI E AGLI IGNORANTI CHE NON POSSEGGONO ALTRO SENSO DELLA VITA OLTRE L’ACCUMULO PATOLOGICO DEL DENARO. BISOGNA ABORRIRE I NUOVI parvenu CHE USURANO IL PIANETA. LA NUOVA INQUISIZIONE DELL’ARTE DEVE GARANTIRE POSSIBILITà DI VITA E DI ESISTENZA ALLA VERITà DEGLI ARTISTI VERI.  RIPRENDIAMOCI LA VITA E DONIAMOLA ALLE NUOVE GENERAZIONI CHE NE HANNO DIRITTO E NATURA. IL PRINCIPALE CONTRIBUTO LO PORTERANNO LE DONNE CHE HANNO UN DIO IN Più DEGLI UOMINI.  A.P.

Siamo dalla parte di  Francesco Bonami. Qui tutti “Si crede Picasso” (Mondadori)

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http://giorgiobarberiscriticodarte.blogspot.com/2010/06/i-bluff-dellarte-contemporanea-secondo.html

Ecco cosa sono capaci di fare i profanatori dell’arte.

caro GC,

come ti avevo preannunciato, appena tornato a Te…. ho scritto la lettera che allego e che ti prego di girare al M.P….;non importa se questa volta è andata così…così si conoscono meglio le persone e tu saprai in futuro come “reinserirmi” nel giro degli artisti pescar….; tuttavia, voglio farti una proposta e, ovviamente, l’iniziativa deve partire da te!” farmi partecipare fuori concorso, come “ospite” così puoi mettere la foto “implosione” nel catalogo, puoi esporre l’immagine che è già pronta, non devi rifare la scaletta …ecc…”

che ne dici ? una “trovata” che ti darebbe risalto proprio come organizzatore!

tuttavia, se non è possibile, ti ho già detto che non mi importa, conoscendo il maestro….

ciao

d.

Caro Gian…,ti scrivo con molto rammarico dopo che tu mi hai invitato alla Mostra Collettiva di Pes…, dopo che mi sono attivato e fatto portavoce con gli amici artisti ter…., dopo aver regolarmente dato il contributo richiesto e dopo aver preparato un’opera ad hoc per la nostra Pe…ed dopo che mi hai detto che il Direttore Artistico, il Maestro  P….. da L….., mi ha estromesso dall’elenco degli autori da te redatto e che non mi vuole nella collettiva –così come non mi ha voluto parlare per telefono quando ero nel tuo negozio.Non so cosa dire ed è per questo che ti chiedo di girare questa lettera al Maestro P….., perché ritengo doveroso avere una motivazione tecnica della mia esclusione, pregandolo anche di visitare il mio sito  per eventuali notizie sulla mia attività. Ti chiedo questo per serietà professionale, a tutela mia ma anche degli altri artisti t….., affinchè non ci siano malintesi: io non ho nulla di personale nei confronti del  M.P……. e non mi risulta che lui ne abbia nei miei, perché le poche volte (forse 2 o 3) che ci siamo visti ed abbiamo parlato è stato sempre a T…. in presenza degli altri amici artisti non esclusi dall’elenco.Per questo io non so cosa pensare, resto rammaricato di non poter esporre nella mia città, tuttavia perdono cristianamente il M.P……. per la sua scelta personale nei  miei confronti.Con amicizia

T….., 6-9-10                                                                                       Dan…

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Non sono  direttore artistico,  visto che non dirigo nessuna organizzazione addetta alla produzione di eventi tantomeno  maestro, visto che il titolo si attribuisce ad artisti affermati con esemplare carriera accademica e che oltre la docenza istruiscono allievi selezionati. In questo caso sono il curatore e la funzione mi è data dalla mia (sudata) eccellente carriera di critico d’arte ( sarebbe il caso leggesse il significato o se lo facesse spiegare da qualcuno che operi nel settore). Il suo sito mi dice poco o quasi niente e riconosco nella sua produzione di  immagini fotografiche  non più di quanto vedrebbe una  qualunque matricola universitaria annoiata da presuntuose passeggiate della domenica in cui ci si illude di aver incontrato dio.  il semplice passatempo utile a  distrarre dalla serietà del lavoro ospedaliero; quello si,  molto rispettato e valutato con dignità , non può sostituire l’impegno serio della ricerca artistica e non  può comprare la virtù dell’arte.   Non  attribuisco, e lo dico con molto rispetto, a queste immagini,  nessun linguaggio significativo  e nessuna ricerca investita seriamente nell’intenzione di  strutturare un codice espressivo.  Nel curriculum non ho visto nessuna formazione professionale, nessuna accademia, nessun discepolo al seguito di  nessun maestro fotografo fosse anche stato di stampo classico impressionato dai pittori fine ottocento. L’arte è cosa seria. Le  opere secche  non possono essere valorizzate solo perché si è abituati a personaggi che vendono mortadelle nelle piazze delle fiere. Comunque il consiglio che potrei darle è  Studiare, comprendere, ascoltare e  sottoporsi  a giudizio professionale  di persone serie.  In curriculum risulta, se si esclude un trafiletto di str…., uno di car… e una cosetta usuale di pa..,  quasi nessuno critico. Non ho visto nessun testo in  catalogo  se non opinioni comuni  di  giornalisti addetti alle  recensioni; mere comunicazioni   che con la letteratura artistica  non hanno nulla a che fare. sarò pronto a visionare le  opere quando riterrò abbia assunto l’umiltà di rispettare la fede che l’artista deve necessariamente possedere per avvicinare l’arte. Fin quando non sarò convinto dalle opere, e non dalle prepotenze personali, nessun “tempo libero” entrerà nelle mostre di cui sono responsabile della curatela.

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RIASSUNTO DELL’INQUISIZIONE

La Chiesa da sempre condanna la magia e la stregoneria.
Le persecuzioni iniziarono già nel 340 d.C. con le prescrizioni del Concilio di Alvira che miravano a punire chiunque procurasse la morte con l’ausilio della magia, e del Concilio di Ancira (314) contro i praticanti della magia nera ed il maleficio.

Successivamente l’Editto di Rotari (643) condannò le streghe e la stregoneria; le considerava come donne che non possedevano alcun potere, ma che erano vittime della loro stessa superstizione e di quella degli altri, considerandole quindi alla stregua di semplici pazze.

In seguito l’Editto di Liutprando (727) pose maggiore attenzione sull’aspetto eretico, a causa del suo atteggiamento pagano, offendeva profondamente la religione cristiana; i giuristi consideravano le streghe come “demoni femminili pagani, dediti a trucchetti rituali notturni, ai rapimenti dei bambini per succhiar loro il sangue”. 

Nel 1231 finì l’era in cui la strega veniva punita con la sola scomunica ed iniziava l’epoca dei roghi.

Papa Gregorio IX nomina i primi inquisitori permanenti, chiamando a svolgere questo ruolo i Domenicani e, poco dopo, anche i Francescani e ordina loro di intervenire contro coloro che utilizzavano i cosiddetti “illeciti magici”.

Nello stesso anno il procuratore generale dell’ordine domenicano Bernard Gui (Bernardo di Guido), protagonista del libro di Umberto Eco, Il nome della rosa, riassunse le bolle papali e le decisioni conciliari tratte dalle Decretali di Gregorio IX (1230), che costituivano la procedura inquisitoriale, nella celebre “Pratica inquisitionis“, dando ampio spazio al modo di interrogare gli accusati di stregoneria.

Nacque così, sotto il pontificato di papa Gregorio IX,  la prima Sacra inquisizione.

Attiva inizialmente nella Francia meridionale, tra il XIII e il XIV secolo le sue attenzioni furono dapprima rivolte contro Catari, Valdesi ed altri movimenti pauperisti, poi si estesero anche ai potentissimi e ricchissimi Cavalieri templari annientandoli.
Gli Albigesi erano strettamente legati ai Catari. 

In Spagna, Isabella di Castiglia nel 1478 ottenne da Papa Sisto IV un tribunale speciale per condannare e giustiziare i discendenti degli Ebrei e dei Mori convertiti, sempre accusati di praticare segretamente i loro antichi culti.

Nella Spagna dell’Inquisizione è da ricordare il il frate domenicano Tomás de Torquemada, inquisitore spagnolo (Valladolid o Torquemada 1420-Ávila 1498).
Discendente di una famiglia di Ebrei, si fece domenicano e ricoperse cariche importanti nell’ordine. Nel 1483 divenne inquisitore generale per l’Aragona, Valencia e la Catalogna. Fu l’organizzatore del tribunale religioso-politico della Santa Inquisizione di cui compose il Codice (Ordenanzas, 1484-85 e 1488).

Applicò con inesorabile rigore le leggi contro gli eterodossi e gli eretici, seguendo le istruzioni dategli dai Re Cattolici, veri responsabili e fondatori dell’Inquisizione di Spagna.
Di lui si raccontano metodi atroci di torture, attrezzi di metallo, lacci e persecuzioni contro gli eretici.
Dal momento che i re cattolici furono autorizzati a scegliere gli inquisitori, l’Inquisizione in Spagna divenne a tutti gli effetti di natura ‘politica’; vennero infatti puniti anche reati che non avevano nulla a che fare con la religione, come il contrabbando.

I ricchi commercianti, industriali venivano condannati come eretici, perseguiti e, come recitava una delle regole più importanti dell’Inquisizione, tutti i loro beni ed averi venivano confiscati.
La rovina dell’economia del paese era per questo motivo destinata a crollare.

Nacque in questo contesto, autoritario, violento e repressivo, il fenomeno della cosiddetta “caccia alle streghe”, che erano nella stragrande maggioranza contadine colpevoli di non aver abbandonato la memoria e la frequentazione di cure e riti precristiani, di asserire poteri di cura, o semplicemente di sottrarsi al sistema di potere del tempo.
L’Inquisizione spagnola celebrò 125.000 processi, e condannò al rogo 59 “streghe”, permeando profondamente del proprio spirito il cattolicesimo nazionale. In Italia le condanne al rogo di streghe sono state 36, e in Portogallo 4. 

In Italia il successo dei movimenti luterani e calvinisti spinse nel XVI secolo la chiesa cattolica a rianimare l’Inquisizione.

Nel 1532 Clemente VII nomina l’agostiniano Callisto da Piacenza Inquisitore Generale per tutta l’Italia.

Nel 1542 Paolo III creò la Congregazione cardinalizia del Santo Ufficio (Sacra congregatio romanae et universalis inquisitionis seu Sancti Officii) affidata ai Domenicani, il cui convento a santa Maria sopra Minerva era la sede del tribunale. Fu questo tribunale che condannò al rogo Giordano Bruno e inquisì Galileo Galilei.

Già dal XVIII secolo, tuttavia, la Congregazione perse mordente e vigore, riducendosi ad apparato banalmente censorio, soprattutto verso le espressioni culturali.

L’Indice dei libri proibiti (Index librorum prohibitorum) fu istituito nel 1559 per opera della Santa Congregazione dell’Inquisizione romana (dal 1908 trasformata nel Sant’Uffizio). Al momento della nascita dell’index era Papa Paolo IV, che fu tra l’altro istitutore del ghetto ebraico di Roma. L’indice fu soppresso nel 1966, quattro secoli dopo.
Della prima lista di libri messi all’indice facevano parte il Decamerone di Giovanni Boccaccio, Il Principe di Niccolò Machiavelli ed Il Novellino di Masuccio Salernitano.

L’elenco degli autori di scritti il cui nome è comparso nell’ Index librorum prohibitorum è quanto mai ampio e variegato e comprende, fra gli altri, nomi della letteratura, della scienza e della filosofia come Honoré de Balzac, Cartesio, Charles Darwin, Daniel Defoe, Denis Diderot, Alexandre Dumas (padre) e Alexandre Dumas (figlio), Gustave Flaubert, Victor Hugo, Immanuel Kant, Montaigne, Montesquieu, Blaise Pascal, Pierre-Joseph Proudhon, George Sand, Stendhal, Voltaire, Émile Zola.
Tra gli italiani finiti all’indice – scienziati, filosofi, pensatori, scrittori – vi sono stati Pietro Aretino, Cesare Beccaria, Giordano Bruno, Galileo Galilei, Benedetto Croce, Gabriele D’Annunzio, Antonio Fogazzaro, Ugo Foscolo, Giovanni Gentile, Francesco Guicciardini, Giacomo Leopardi, Ada Negri, Girolamo Savonarola, Luigi Settembrini, Niccolò Tommaseo e Pietro Verri. Tra gli ultimi ad entrare nella lista sono stati Simone de Beauvoir, André Gide, Jean-Paul Sartre e Alberto Moravia.

La Sacra Congregazione della Romana e Universale Inquisizione fu rinominata in Sacra Congregazione del Sant’Uffizio il 29 giugno 1908 da Papa Pio X.
Il 7 dicembre 1965 Papa Paolo VI ne cambiò il nome in Congregazione per la dottrina della fede.
Papa Giovanni Paolo II (che in un discorso dell’8 marzo 2000, pur non nominandolo esplicitamente, chiese perdono a Dio a nome della chiesa per il passato comportamento della stessa riguardo inquisizioni, roghi e cacce alle streghe) ridefinì il compito attuale della congregazione – promuovere e tutelare la dottrina della fede e dei costumi cattolici, ponendovi a capo nel 1981 Joseph Alois Ratzinger, divenuto nel 2005 papa Benedetto XVI, con il titolo di prefetto. 

Nel 1260, una bolla di Alessandro IV stabilì i rapporti tra eresia e stregoneria e definì tutte le categorie dei sortilegi. I capi d’accusa erano di quindici specie:
1. Rinnegano Dio;
2. Lo bestemmiano;
3. Adorano il diavolo;
4. Gli consacrano i loro bambini;
5. Spesso glieli sacrificano;
6. Li consacrano a Satana nel ventre materno;
7. Gli promettono di attirare al suo servizio tutti coloro che potranno;
8. Giurano nel nome del demonio e se ne vantano;
9. Non rispettano alcuna legge e commettono perfino incesto;
10. Uccidono le persone, le fanno bollire e le mangiano;
11. Si nutrono di carne umana ed anche di impiccati;
12. Fanno morire la gente con veleni e sortilegi;
13. Fanno crepare il bestiame;
14. Fanno perire i frutti e causare la sterilità;
15. Diventano in tutto schiavi del diavolo.
I sintomi medici sui quali si basavano i giudici dell’inquisizione per stabilire il crimine di stregoneria non lasciavano dubbi:
– Se la malattia è tale che i medici non possono né scoprirla né conoscerla.
– Se aumenta invece di diminuire nonostante che siano state tentate tutte le possibili cure.
– Se, sin dall’inizio, si presenta con sintomi e dolori violenti, contrariamente alle malattie comuni che aumentano poco a poco.
– Se è incostante e variabile da giorno a giorno, da ora ad ora, ed inoltre se ha parecchie cose diverse da quelle naturali, sebbene apparentemente si presenti simile a queste ultime.
– Se il paziente non può dire in quale parte del corpo sente il dolore, anche se è molto malato.
– Se emette sospiri tristi e pietosi senza alcuna causa legittima.
– Se perde l’appetito e vomita la carne mangiata; se ha lo stomaco contratto e chiuso o se gli sembra di averci dentro qualcosa di pesante.
– Se sente calori pungenti ed altri spasimi acuti nella regione del cuore, tanto che gli sembra che qualcosa lo roda e lo smembri a pezzi.
– Se è reso impotente al mestiere di Venere.
– Se suda leggermente, anche durante la notte, quando il tempo e l’ aria sono molto freddi.
– Se si sente le membra e parti del corpo legate.
– Se si sente ebete e dice sciocchezze, oppure sia preso da malinconia. Se guarda storto. Se gli sembra di vedere qualche fantasma.
– Infine, se quando il prete, per guarirlo dal male, gli applica delle unzioni sugli occhi, sulle orecchie, sulla fronte o su altre parti del corpo, tali parti cominciano a far uscire sudore o mostrano qualche altro cambiamento.
Nel 1416 sono condannate al rogo circa 300 persone, in maggioranza donne, e nel 1485 altre 41 streghe vengono arse vive.  

Elementi probatori

L’Inquisizione aveva un vero e proprio iter procedurale: prima di tutto inquisitore doveva recarsi sul luogo o dove la sua commissione l’aveva mandato per controllare la situazione, o dove un testimone affermava di aver visto fenomeni in un clima di grande esaltazione religiosa.

Nei processi di stregoneria erano necessari due elementi probatori per la condanna: uno era il famiglio e l’altro il marchio della strega.
IL FAMIGLIO: sono spiriti che erano offerti alle streghe come dono di nozze per festeggiare il coronamento del patto della strega con il diavolo. Poteva assumere qualsiasi forma, anche se le più gettonate erano di gatto, rana, corvo ma indipendentemente dalla forma assunta, questi famigli fornivano alla fattucchiera una vasta gamma di servigi, che variava dal portare a termine perfidi servigi a consigliare sulla magia nera.
IL MARCHIO DELLA STREGA: poteva essere qualsiasi cosa, dal capezzolo soprannumerario ad un piccolo segno, come un neo, una verruca o un’altra piccola anomalia fisica. Soltanto un corpo perfetto avrebbe potuto sostenere tal esame minuzioso e dal resto la stessa perfezione sarebbe stata considerata prova di un patto scellerato. 

I ferri del mestiere
1. Il manico di scopa o bune wand (come era chiamato dalle streghe scozzesi), che era utilizzato per voli notturni. Nei primi resoconti relativi la stregoneria, di solito si trattava, di una bacchetta biforcuta, oppure di un bastone di legno.
2. Il calderone. Già nell’antica Grecia le streghe facevano uso del calderone.

Quando Medea, la strega di Colchide e sacerdotessa di Ecate, tramò l’assassinio di Re Pelia, utilizzò il suo calderone magico per portare a termine il suo progetto.

Quando Macbeth si rivolge alle tre fatidiche sorelle nella grotta oscura esse sono raccolte intorno al calderone ribollente.

La dea druidica della luna, Cerridwen, utilizzava erbe magiche per preparare il suo calderone dell’ispirazione.

Lo stufato doveva bollire a fuoco lento per un anno e un giorno, e alla fine di quel periodo produceva la pozione.
3. La sfera di cristallo o speculum. Talvolta lo speculum consisteva in una palla di cristallo, talvolta di uno specchio magico.

La fattucchiera usava la sfera magica per praticare la cistalloscopia o per presagire avvenimenti.

Scrutando nelle profondità riflettenti riusciva a vedere oltre i confini del tempo e dello spazio.

Nelle città costiere, si sapeva che le streghe utilizzavano i globi di vetro usati dai pescatori per tenere a galla le reti.

La famosa strega irlandese, Biddy Early, aveva una bottiglia di vetro azzurro che prediligeva il futuro.

 Ogni genere di speculum doveva essere consacrato prima di venir utilizzato, e quest’obiettivo si raggiungeva esponendolo alla luce lunare.

Questi oggetti andavano conservati lontano dalla luce solare.
4. L’Athame. Tale oggetto era dato ad una nuova strega la notte della sua iniziazione e veniva usato per scopi mistici come tracciare il cerchio magico, mescolare il sale e l’acqua sacra all’Esbat ( incontro mensile di una congrega di streghe).
5. Il libro delle ombre. Ogni strega che sapesse scrivere teneva un libricino, e in questo prendeva nota delle ricette per le pozioni, delle formule corrette degli incantesimi.

Il libro delle ombre era l’equivalente di un diario di bordo. Questi volumi venivano nascosti (a causa dell’inquisizione), e alla morte della strega i suoi compagni avevano l’ordine di prendere da esso quel che volevano e poi bruciare l’originale.

Tuttavia, dai resoconti e dai libri che rimangono, sembra che esistessero alcuni sistemi collaudati che venivano usati dalle streghe per raggiungere i propri fini magici.
6. Gocce di saggezza. Le tre gambe su cui poggiava simboleggiavano la triplice divinità: l’acqua colmava il calderone, il fuoco lo faceva ribollire, le erbe al suo interno provenivano dalla madre terra e dalla mistura saliva il vapore.

Nessun arsenale di fattucchiere poteva dirsi completo se non aveva uno speciale coltello che però non veniva usato per scopi terreni.

Questo pugnale, presentava un’impugnatura nera con simboli magici impressi lungo la lama.
A fare le spese della follia della caccia alle streghe furono soprattutto donne.

Processo per stregoneria istituito nel 1540
Ciò risulta evidente, del resto, dalla lettura dei verbali del processo che si tenne a Roma contro certa Bellezza Orsini di Collevecchio Perugina. <<Io non so strega – dice difendendosi – e medico ogni cosa con mio olio fiorito… che ingenera la natura de tucti arbori e fiori e tutti quelli che fanno le erbe. Io ho un libro di cento e ottanta carte dove stanno tutti li secreti del mondo boni e cattivi. Con quello ho imparato e insegnato ad altri e l’ho imprestato a gran ministri e signori e voglio imprestare a vui e beati vui che starete in grazia de patroni e tucto quello che desiderate haverete >>.

Quando però l’indiziata, e questo fu un caso, dopo molti interrogatori continuava a dichiararsi innocente veniva messo in moto il macabro rituale della tortura, e efficientissima come ben ci ricorda M. de Cervantes in un famosissimo passo del suo Don Chisciotte <<a spremere la verità dalle ossa della gente >>. Alla tortura si ricorreva, inoltre, tutte le volte che le prove a carico dell’accusata non erano state sufficienti a determinarne la condanna.

Nei processi di stregoneria si partiva dal presupposto che quanto più deboli erano gli indizi di colpevolezza tanto più necessario diveniva l’uso dei tormenti.  

La lettera che presentiamo fu scritta il 24 Luglio 1628 da Johannes Junius, borgomastro di Bamberg, in Franconia (regione storica della Germania).
Accusato di stregoneria, egli subì atroci torture ed infine fu mandato al rogo. Nella lettura dà l’estremo saluto alla figlia Veronica: le sue parole costituiscono uno dei documenti più toccanti della caccia alle streghe.
Centomila volte buonanotte, mia adorata figlia Veronica. Innocente sono stato imprigionato, innocente sono stato torturato, innocente devo morire. Perché chiunque venga rinchiuso nella prigione delle streghe viene torturato fin quando non si decide a inventare una confessione qualunque.
La prima volta che fui messo a tortura, c’erano il dottor Braun, il dottor Kötzendörffer e altri due strani dottori. Il dottor Braun mi chiese:
– Amico perché sei qui?
Io risposi : – Per false accuse, e disgrazia.
– Ascolta, – ribatté lui – tu sei uno stregone, vuoi confessare spontaneamente? Altrimenti porteremo i testimoni ed il carnefice.
Io dissi: – Io non sono uno stregone, e la mia coscienza è pura, a questo riguardo; neanche mille testimoni mi possono spaventare.
E poi arrivò anche – Dio del cielo abbi pietà – il carnefice, che mi schiacciò i pollici, con le mani legate insieme, di modo che il sangue usciva dalle unghie e da tutte le parti, e non ho potuto usare le mani per quattro settimane, come puoi vedere dalla mia scrittura. Poi mi spogliarono, mi legarono le mani dietro la schiena, e mi sottoposero alla strappata. Allora pensai che il cielo e la terra fossero giunti alla fine, otto volte mi tirarono su e mi lasciarono ricadere, di modo che soffrii terribilmente. E così feci la mia confessione, ma erano tutte bugie. Ora, cara bambina, segue quello che ho confessato per sfuggire a dolori e torture che non sarei riuscito a sopportare.
E dovetti dire quali persone avevo visto al sabba. Dissi di non aver riconosciuto nessuno.
– Vecchio briccone, devo richiamare il carnefice. Di’ un po’, non c’era forse anche il Cancelliere? –
Così io dissi di si, che c’era.
– E chi altri?
Non avevo riconosciuto nessuno. Così lui disse: – Segui una via dopo l’altra; comincia dal mercato, percorri una via per intero e torna indietro lungo quella seguente.
Fui costretto a nominare parecchie persone. Poi arrivò la via lunga. Non conoscevo nessuno che vi abitasse. Dovetti fare il nome di otto persone. E continuarono così per tutte le vie anche se io non potevo né volevo dire di più. Così mi consegnarono al carnefice, gli dissero di spogliarmi, radermi dappertutto e mettermi a tortura. E dovetti raccontare i crimini che avevo commesso. Io non dissi nulla.
– tirate su quel furfante!
E così dissi che avrei dovuto uccidere i miei figli, ma che avevo invece ucciso un cavallo. Non servì a nulla. Avevo anche preso un’ostia consacrata e l’avevo profanata. Quando ebbi detto questo mi lasciarono in pace.
Cara bambina, tieni segreta questa lettera, altrimenti subirò altre tremende torture e i miei carcerieri verranno decapitati.
Buonanotte, perché tuo padre, Johannes Junius non ti rivedrà più.

( Da E.Jong, Streghe, Milano, Rizzoli, 1983 )

Donne tra realtà e magia

Nel medioevo la società feudale era fortemente gerarchica ed organizzata in caste chiuse. Oltre agli oratores, bellatores e laboratores, che costituivano la tripartizione della società, una realtà a parte era costituita dalle donne.
In un’epoca così vasta, in cui la componente religiosa dominava su tutto, la figura femminile era vista con sospetto, soprattutto perché si riteneva che fosse un veicolo attraverso cui il Maligno potesse manifestarsi. Per comprendere meglio come questo fenomeno fosse diffuso nel medioevo, analizzeremo qui di seguito l’immagine della figura femminile, attraverso una serie di componenti antitetiche tra loro, ma anche fortemente collegate: la magia e la santità. (altro…)

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LA MATERIA NELLO SPAZIO URBANO

ANTONIO PICARIELLO

 “Sono invaso dall\'animismo dei fenomeni e delle cose [...]. Quando il battente del mio vetusto armadio si spalanca da sé perché il nottolino rallentato non sa più trattenerlo, mi dico che l\'anima dell\'armadio lo respinge”. Alberto Savinio

L’immediatezza semantica del titolo scatena immagini magiche. Non a caso l’animismo di Alberto Savinio, il vero genio di famiglia, sollecita la corrispondenza metafisica del fratello De Chirico. Le città si animano di materia sospesa e i “dioscuro” esplodono in segni sconfinanti la percezione dei sensi. L\'alfabeto metafisico richiama il Novecento; secolo di avanguardie e di sperimentazioni. Secolo coraggioso costellato di fantasmi generazionali costruttori di continuità di senso incatenati al sistema della provocazione scientifica votata alla ricerca assidua del mutamento; svelare la sostanza del codice attraverso il fremito emotivo e passionale sottratto alla canonicità della struttura organizzata per regole. La fenomenologia dirompe nell’ossatura dell’esperienza trasformando la filosofia in epistemologia. Scienza e natura concorrono alla forma della città che nel situazionismo liberatorio di Guy Debord assumono la dominanza della preveggenza progettuale e una sorta di psicogeografia urbana sfoga le intuizioni strutturali del Bauhaus e di ULM per dare corpo ad un genere di concertazione potenzialmente magico, capace di rinvigorire gli automatismi smorti della conservatoria ordinati per schemi nella coscienza collettiva. La città ritorna pensiero relazionale e l’urbanistica prevede i corpi e le menti che la abiteranno. Le forme attraccheranno alle percezioni per dare senso di continuità alla vita che nel Futurismo del genio di Alessandra d’Egitto collocherà il pensiero elastico per favorire l’ avvento della materia artistica più famosa del XX secolo: L\'orinatoio e una Monna Lisa con baffi e pizzetto. Il ready-made avvinto alle molecole di un attaccapanni o di uno scolabottiglie apre la modernità con il chiavistello del concettuale in cui il pensiero artistico diventa opzione della scelta; individuare l\'oggetto, isolarlo dal contesto clonante della produzione industriale e attribuirgli l’anima affettiva dell’artista. Duchamp-Duchamp come un’icona dei Pink Floyd ispirata alla carta da parati con le mucche di Andy Warhol contrapposte allo stile di vita “classico” formattato dal Rock and Roll degli anni ’50 (l’arte di amoreggiare al drive-in cigolando nella mitologica deux chevaux del 1948) e dare sfogo alla vita libera della cultura Hippy degli anni ’60 sortita dal ventre paterno della Beat Generation. Ma la scienza della significazione (interpretativa, generativa e polare) non applica modelli preconfezionati ai suoi oggetti di ricerca e predilige, per il nostro discorso, l’attenzione analitica a favore della creatività dei fratelli De Chirico forniti di una solipsistica vocazione inconscia capace di anticipare la ricerca del linguaggio scientifico affascinato dai segni organizzatori dell’immaginario. Da qui parte la creazione che trasformerà la teoria in arte modellando la materia nello spazio urbano prima come materia onirica, poi come sistema dell’inquietudine a sollecito di una visionarietà moderata dell’inconscio successivamente ereditata in campo cinematografico ( in omaggio al luogo che ci ospita) da un Visconti magnetico cui i linguaggi degli artisti costruttori di questa mostra, per ovvie ragioni, accettano o rinnegano nel consiglio collettivo delle opere. Si organizza così un discorso euristico in tensione comparativa tra ciò che è stato pensiero storico e la vitalità attiva del pensiero immediato della contemporaneità vivente. Si apre in questo modo una sorta di schermo mentale su cui si proiettano gli scopi dell’arte assistente del dovere di aprire nuove esplosioni nella meccanicità usurante della gora artistica macerata dagli schematismi del sistema mercantile arrivato al limite del senso comportamentale. Pensiero collettivo votato per acclamazione del “possesso” alla prossemica della patologia di massa. Di controcanto il pensiero del Novecento suona nostalgico quando dice: Il nostro spazio urbano, ma verrebbe da notificare anche mentale, è popolato di manichini. Siamo ancora luoghi veri dalla logica impossibile dove non c’è più il tempo, ma orologi fermi e treni che vanno e che non arriveranno mai. C’è un segreto che ci è nascosto. C’è un messaggio che dovremmo capire; scorgere nei colori caldi e immobili, privi di vibrazioni atmosferiche. Siamo in questa luce bassa opposta alle lunghe ombre. Lo spazio, il nostro spazio, si è fatto allucinante. Questa poetica del sospeso imprime la consapevolezza dirompente della nostra attuale condizione mentale messa in ossessione frattale dalla dinamica dei mezzi (messaggio) che ci obbligano a relazionarci con un possibile momento che passa in continuazione sottraendo alla riflessione artistica la biologica condizione del tempo ciclico, rituale, quasi liturgico sostituito da un obbligo direzionale contro cui l’unica maniera creativa del linguaggio dell’arte è quella di trovare continui approdi occasionali per non farsi trascinare nella dispersione del male. Siamo la metafisica dell’algoritmo che ci attraversa continuamente bruciando memoria. Ma “il filtro della mente è l’intuizione del genio” e il desiderio della riflessione viene inibito dalla sfrenatezza imperante negli spazi assurdi delle metropoli verticali cui per emulazione la provincia senza identità fa riferimento. Lo spazio orizzontale è assorbito dalla materia che produce altra materia in un ciclo continuo del consumo di segni, di merci e di senso. I manichini di Ferrara, le muse inquietanti, hanno lasciato il posto ai fantasmi invisibili dell’elettronica e la spiritualità artistica si è ristretta nella protezione soffocante dei confini dell’ “IO”. Su questa scia filologica della casualità storica che arreda la materia nello spazio urbano inteso spazio mentale e creativo, la ricerca pittorica di LINO ALVIANI dirompe dal figurativo per una visionarietà interiore basata sull’intensità cromatica accordando con l’atmosfera pittorica di LUCA BELLANDI alla ricerca di rinvigorimenti dannunziani organizzati tra senso orientale e vita quotidiana occidentale. Apre al segno, grafico, di TONI BELLUCCI erede di una pop art lanciata in divenire nel ventre dell’elettronica. La venezuelana LILIAN RITA CALLEGARI lavora sul percorso criptico come a rivelare segni segreti dello spirito necessari alla vita comune per dare fiato all’arte scultorea, abitualmente inserita nei luoghi sacri, di MICHELE CARAFA discepolo e sviluppatore della migliore scuola offerta dagli artisti italiani. Le figurative opere di CARMA richiedono la predisposizione del sogno e del fantastico per entrare in mondi di cavalieri e figure fantasmagoriche che saldano la velatura mistica delle opere di CLEOFINO CASOLINO, artista portatore solitario di spiritualità nascoste. Tutta la ricerca potente e sostanziale del relazionismo psicomagico di MANDRA CERRONE si sintetizza nell’immagine dinamica, il racconto cinetico di corpi e anime che soffiano nel cuore della contemporaneità. GIUSEPPE CIPOLLONE promuove la rappresentazione pittorica misurata nella città come un antico modello del “Grand Tour” per catturare l’intimità luminosa romana in colloquio con le forme di gioielli in ceramica di ROSSELLA CIRCEO, inventrice di un sodalizio archetipo della scultura orafa sposata alla ceramica. FABIO CONTI della città ne costruisce il senso più alto, organico, rimettendo nel segno e nella forma il silenzio riflessivo della vita urbana cui l’esperienza dell’ assemblage concettuale di GIANCARLO COSTANZO sviluppa in parzialità quotidiane; azioni avvenute, geometrie comportamentali del racconto cittadino per dare spazio all’opera di CLAUDIO DE GREGORIO (COG) ricercatore accanito del senso visivo dettato dal luogo conosciuto dell’infanzia. Stimola la precisione costruttiva delle immagini fotografiche e simboliche di SONIA DE MICHELE capace di estrarre dal luogo o dalla sua ricostruzione artistica, il senso viscerale più profondo che promuove la riflessione delle sculture “concave e convesse” di LUIGI DI FABRIZIO costruttore di forme che captano il senso concreto dell’architettura e intrappolano la luce rimandandola verso mondi paralleli ai luoghi della mente. E la città si ferma come in un ritorno post/metafisico sintetico nell’opera di NICOLAS DINGS che imposta la ricerca frugando il cuore europeo immerso nella transazione del ventunesimo secolo. L’opera di ROBERTA DI PALMA collega il senso globale della visione urbana con l’intimismo incantato del guardare scatenando la performativa forza del colore nelle composizioni cromatiche dei moduli del gioco di CECILIA FALASCA, artista che opera nella funzione sociale rinvigorendo speranze negli ambienti chiusi al pensiero. Così MARCO FATTORI in prossemica sostanziale con la scultura ambientale, rievoca il senso dell’arte concreta sfiorando l’analogia con l’ironia Madì, ma centrando pienamente il senso delle forme nello spazio mentale del nuovo urbanismo. Da qui la volontà esplorativa della città nascosta tra forme ed ombre nella ricerca fotografica di LUIGI FORESE che sventra il riconoscibile attraverso l’intensità sentita dell’immagine ricercata con forza interiore che invita alla pittura di VALERIO GAGLIARDI inquirente di forme e di segni collegati alla spazialità dell’ambiente mentale cittadino. L’abituale tecnica mista di ALBERTO GALLINGANI taglia lo sguardo dividendo la geometria dalla forma in un gesto dinamico atto a produrre nuovo senso spaziale e rimettere la funzione provocante all’opera dedotta dal linguaggio di FERRUCCIO GARD, eventualista collaterale nell’ambito della sezione “Fare Mondi” della Biennale veneziana. Muove la perfezione dell’opera tridimensionale di DANTE MAFFEI la cui intensità della ricerca sollecita il pensiero palpitante e nobile della città contemporanea prestando la linea visiva alla pittofotografica di ANTONIO MASSIMIANI che rimuove i manichini dalla città per inserirsi in un contesto mentale usurato dagli ambienti comuni, condominiali e chiusi e dare sfogo alla pittura geometrico astrattista di MANUELA MAZZINI abituale profanatrice di mondi sottesi alla percezione regolare dettati dagli impianti urbanistici. La materia si fa dinamica e lo sguardo diventa tracciato compositivo alla ricerca dell’equilibrio assoluto tra spazio e forme nell’opera ambientale di CARLO OBERTI che lancia il filo del racconto di questa rappresentazione collettiva alla ricerca votata al femminile nell’arte di MARIA PAVONE dirompente la sensazione di un urbanesimo sospeso tra cielo e terra, ma concretizzato con calibro scientifico nella precisione di equilibrio cromatico in possesso continuativo dell’artista SARA PELLEGRINI la cui forza espressiva incanta e rimanda a riflessioni profonde verso tempi collaterali a quelli abitudinali offerti dal ventunesimo secolo. Il senso dell’immagine fotografica cade perpendicolare alla condizione voluta da OTTAVIO PERPETUA che nell’oggetto mirato trova il punto organizzativo su cui impostare l’equilibrio spaziale moderando la predisposizione all’incontro con l’opera superba e combattiva, scientificamente calcolata da MASSIMO POMPEO per dare lancio all’”archetipismo” sostanziale, patafisico e materico espresso dal navigato artista MAURO REA la cui ricerca scatena dirompenze visive al limite del contenimento per attivare la consistenza della ricerca di FRANCO SCIPIONI e dare modello esplosivo alle opere alimentate dal cromatismo dettato dal blu di ANNA SECCIA, artista che suona il cromatismo giocando con le anime genuine delle percezioni. Da qui al classicismo pittorico di SALVATORE SEME che estrae dalla buona scuola del figurativo l’intensità dei corpi nello spazio evocando una berniniana dinamicità congiunta alla scuola pittorica di Posillipo. L’ architetto-pittore GIANCARLO SERSANTE della città ne fa un respiro cardiaco producendo segni che hanno il compito di ordinare il mentale e che danno spazio all’opera sperimentata nel linguaggio della sintesi cromatica di FRANCO SINISI può volte presentato in altri cataloghi. Così la voce passa alla ricerca sincera e sociale di CARLO VOLPICELLA per aprire il varco visivo verso l’opera scultorea di ANTONIO VILLA che rimette ai gesti quotidiani e alla vita comune delle città il senso profondo e tridimensionale incarnato nell’ esistenza spirituale della forma, rappresentativa del semplice come un atto di preghiera. E l’ invocazione alla spiritualità dell’arte chiude questa rassegna nell’opera di MARIO SERRA artista dal pensiero nobile e colto capace di rimettere nell’ironia il senso maggiore delle forze che concorrono a mantenere l’equilibrio universale. A volte dio a volte l’uomo cantano le vicissitudini delle città e la storia traccia continuità di senso promuovendo il segno come unico elemento che arreda sogni e materia nello spazio dettato dalla vita dell’arte transitante da generazione in generazione alla scoperta delle divinità che la contengono. D’altra parte il presagio e i segni sono l’anima del grande Alberto Savinio che credeva “[…]Anche l\'acquisto di una casa andava effettuato dopo attenta esaminazione dei segni e dei presagi per la metafisica salubrità del luogo. Le città vivono e respirano nei luoghi dell’arte e nell’anima di chi le abita. Il resto, come sempre, è sublime e a volte silenziosa e segreta magia.

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sabato 11 settembre 2010

ore 18,30         apertura della mostra

ore 18,45          Il mondo è la sua ombra

racconto di un’iconurgia

a cura di Mari Correa  e Luigi Fabio Mastropietro

ore 19,15         presentazione della mostra

interventi

Antonio Picariello – critico d’arte

Valentino Campo – direttore responsabile AltroVerso

Luigi Fabio Mastropietro – direttore editoriale AltroVerso

martedì 14 settembre 2010

ore 18,30          Ma cchi è…?

caricature in musica dal Rinascimento a Gino Panato

a cura del Trio Enciclopedico

http://altroverso.wordpress.com/tag/mario-serra/

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