CHI INVESTE UNA VITA NELL’ARTE DEVE ESSERE DIFESO DAI FALSI IMPOSITORI. SOLO IN QUESTO MODO LA GRAZIA E LA RICERCA DELL’ARTISTA POTRANNO RIASSUMERE IL VERO VALORE CHE LE COMPETONO. I MERCANTI E L’IGNORANZA HANNO DISTRUTTO OGNI QUALITà E SENSO ONOREVOLE DELLA VITA. IL COMPITO DELL’ARTISTA è DARE FORZA E VISIONE DI DIO ALL’UMANITà PER MEZZO DELLA CREAZIONE DELL’OPERA D’ARTE E DEL LINGUAGGIO CHE ESSA CONNOTA. QUESTO DIO è IL DIO CREATO DALLA FORZA INTERIORE DELL’ARTISTA. UNA VOLTA DATO NELLA VERITà DELLA RICERCA,  OGNI UOMO E DONNA PUò INCONTRARSI CON LA PROPRIA SENSIBILITà . SE CI SONO PROFANATORI OCCULTI DEVONO ESSERE SMASCHERATI. IL COMPITO DELLA CRITICA è DARE POSSIBILITà ALL’ARTE VERA DI ESISTERE. LA QUALITà DEL MONDO DEVE RIPRENDERE LA PROPIA ESSENZA E L’ARTE DEVE RITORNARE AGLI ARTISTI. NON è Più TEMPO DI FARSI MANIPOLARE DAI DEMONI DEL MERCATO. L’ARTE ANTICIPA, IL MERCATO SEGUE. L’INVERSO CREA MALATTIE SOCIALI, PATOLOGIE DI MASSA UTILI SOLO AGLI INSENSIBILI E AGLI IGNORANTI CHE NON POSSEGGONO ALTRO SENSO DELLA VITA OLTRE L’ACCUMULO PATOLOGICO DEL DENARO. BISOGNA ABORRIRE I NUOVI parvenu CHE USURANO IL PIANETA. LA NUOVA INQUISIZIONE DELL’ARTE DEVE GARANTIRE POSSIBILITà DI VITA E DI ESISTENZA ALLA VERITà DEGLI ARTISTI VERI. RIPRENDIAMOCI LA VITA E DONIAMOLA ALLE NUOVE GENERAZIONI CHE NE HANNO DIRITTO E NATURA. IL PRINCIPALE CONTRIBUTO LO PORTERANNO LE DONNE CHE HANNO UN DIO IN Più DEGLI UOMINI.  A.P.
Siamo dalla parte di  Francesco Bonami. Qui tutti “Si crede Picasso†(Mondadori)
Ecco cosa sono capaci di fare i profanatori dell’arte.
caro GC,
come ti avevo preannunciato, appena tornato a Te…. ho scritto la lettera che allego e che ti prego di girare al M.P….;non importa se questa volta è andata così…così si conoscono meglio le persone e tu saprai in futuro come “reinserirmi” nel giro degli artisti pescar….; tuttavia, voglio farti una proposta e, ovviamente, l’iniziativa deve partire da te!” farmi partecipare fuori concorso, come “ospite” così puoi mettere la foto “implosione” nel catalogo, puoi esporre l’immagine che è già pronta, non devi rifare la scaletta …ecc…”
che ne dici ? una “trovata” che ti darebbe risalto proprio come organizzatore!
tuttavia, se non è possibile, ti ho già detto che non mi importa, conoscendo il maestro….
T….., 6-9-10                                                                                      Dan…
La Chiesa da sempre condanna la magia e la stregoneria. Le persecuzioni iniziarono già nel 340 d.C. con le prescrizioni del Concilio di Alvira che miravano a punire chiunque procurasse la morte con l’ausilio della magia, e del Concilio di Ancira (314) contro i praticanti della magia nera ed il maleficio.
Successivamente l’Editto di Rotari (643) condannò le streghe e la stregoneria; le considerava come donne che non possedevano alcun potere, ma che erano vittime della loro stessa superstizione e di quella degli altri, considerandole quindi alla stregua di semplici pazze.
In seguito l’Editto di Liutprando (727) pose maggiore attenzione sull’aspetto eretico, a causa del suo atteggiamento pagano, offendeva profondamente la religione cristiana; i giuristi consideravano le streghe come “demoni femminili pagani, dediti a trucchetti rituali notturni, ai rapimenti dei bambini per succhiar loro il sangueâ€.Â
Nel 1231 finì l’era in cui la strega veniva punita con la sola scomunica ed iniziava l’epoca dei roghi.
Papa Gregorio IX nomina i primi inquisitori permanenti, chiamando a svolgere questo ruolo i Domenicani e, poco dopo, anche i Francescani e ordina loro di intervenire contro coloro che utilizzavano i cosiddetti “illeciti magiciâ€.
Nello stesso anno il procuratore generale dell’ordine domenicano Bernard Gui (Bernardo di Guido), protagonista del libro di Umberto Eco, Il nome della rosa, riassunse le bolle papali e le decisioni conciliari tratte dalle Decretali di Gregorio IX (1230), che costituivano la procedura inquisitoriale, nella celebre “Pratica inquisitionis“, dando ampio spazio al modo di interrogare gli accusati di stregoneria.
Nacque così, sotto il pontificato di papa Gregorio IX, la prima Sacra inquisizione.
Attiva inizialmente nella Francia meridionale, tra il XIII e il XIV secolo le sue attenzioni furono dapprima rivolte contro Catari, Valdesi ed altri movimenti pauperisti, poi si estesero anche ai potentissimi e ricchissimi Cavalieri templari annientandoli.
Gli Albigesi erano strettamente legati ai Catari.Â
In Spagna, Isabella di Castiglia nel 1478 ottenne da Papa Sisto IV un tribunale speciale per condannare e giustiziare i discendenti degli Ebrei e dei Mori convertiti, sempre accusati di praticare segretamente i loro antichi culti.
Nella Spagna dell’Inquisizione è da ricordare il il frate domenicano Tomás de Torquemada, inquisitore spagnolo (Valladolid o Torquemada 1420-Ãvila 1498).
Discendente di una famiglia di Ebrei, si fece domenicano e ricoperse cariche importanti nell’ordine. Nel 1483 divenne inquisitore generale per l’Aragona, Valencia e la Catalogna. Fu l’organizzatore del tribunale religioso-politico della Santa Inquisizione di cui compose il Codice (Ordenanzas, 1484-85 e 1488).
Applicò con inesorabile rigore le leggi contro gli eterodossi e gli eretici, seguendo le istruzioni dategli dai Re Cattolici, veri responsabili e fondatori dell’Inquisizione di Spagna.
Di lui si raccontano metodi atroci di torture, attrezzi di metallo, lacci e persecuzioni contro gli eretici.
Dal momento che i re cattolici furono autorizzati a scegliere gli inquisitori, l’Inquisizione in Spagna divenne a tutti gli effetti di natura ‘politica’; vennero infatti puniti anche reati che non avevano nulla a che fare con la religione, come il contrabbando.
I ricchi commercianti, industriali venivano condannati come eretici, perseguiti e, come recitava una delle regole più importanti dell’Inquisizione, tutti i loro beni ed averi venivano confiscati.
La rovina dell’economia del paese era per questo motivo destinata a crollare.
Nacque in questo contesto, autoritario, violento e repressivo, il fenomeno della cosiddetta “caccia alle streghe”, che erano nella stragrande maggioranza contadine colpevoli di non aver abbandonato la memoria e la frequentazione di cure e riti precristiani, di asserire poteri di cura, o semplicemente di sottrarsi al sistema di potere del tempo.
L’Inquisizione spagnola celebrò 125.000 processi, e condannò al rogo 59 “streghe”, permeando profondamente del proprio spirito il cattolicesimo nazionale. In Italia le condanne al rogo di streghe sono state 36, e in Portogallo 4.Â
In Italia il successo dei movimenti luterani e calvinisti spinse nel XVI secolo la chiesa cattolica a rianimare l’Inquisizione.
Nel 1532 Clemente VII nomina l’agostiniano Callisto da Piacenza Inquisitore Generale per tutta l’Italia.
Nel 1542 Paolo III creò la Congregazione cardinalizia del Santo Ufficio (Sacra congregatio romanae et universalis inquisitionis seu Sancti Officii) affidata ai Domenicani, il cui convento a santa Maria sopra Minerva era la sede del tribunale. Fu questo tribunale che condannò al rogo Giordano Bruno e inquisì Galileo Galilei.
Già dal XVIII secolo, tuttavia, la Congregazione perse mordente e vigore, riducendosi ad apparato banalmente censorio, soprattutto versole espressioni culturali.
L’Indice dei libri proibiti (Index librorum prohibitorum) fu istituito nel 1559 per opera della Santa Congregazione dell’Inquisizione romana (dal 1908 trasformata nel Sant’Uffizio). Al momento della nascita dell’index era Papa Paolo IV, che fu tra l’altro istitutore del ghetto ebraico di Roma. L’indice fu soppresso nel 1966, quattro secoli dopo.
Della prima lista di libri messi all’indice facevano parte il Decamerone di Giovanni Boccaccio, Il Principe di Niccolò Machiavelli ed Il Novellino di Masuccio Salernitano.
La Sacra Congregazione della Romana e Universale Inquisizione fu rinominata in Sacra Congregazione del Sant’Uffizio il 29 giugno 1908 da Papa Pio X.
Il 7 dicembre 1965 Papa Paolo VI ne cambiò il nome in Congregazione per la dottrina della fede. Papa Giovanni Paolo II (che in un discorso dell’8 marzo 2000, pur non nominandolo esplicitamente, chiese perdono a Dio a nome della chiesa per il passato comportamento della stessa riguardo inquisizioni, roghi e cacce alle streghe) ridefinì il compito attuale della congregazione – promuovere e tutelare la dottrina della fede e dei costumi cattolici, ponendovi a capo nel 1981 Joseph Alois Ratzinger, divenuto nel 2005 papa Benedetto XVI, con il titolo di prefetto.Â
L’Inquisizione aveva un vero e proprio iter procedurale: prima di tutto inquisitore doveva recarsi sul luogo o dove la sua commissione l’aveva mandato per controllare la situazione, o dove un testimone affermava di aver visto fenomeni in un clima di grande esaltazione religiosa.
Nei processi di stregoneria erano necessari due elementi probatori per la condanna: uno era il famiglio e l’altro il marchio della strega.
IL FAMIGLIO: sono spiriti che erano offerti alle streghe come dono di nozze per festeggiare il coronamento del patto della strega con il diavolo. Poteva assumere qualsiasi forma, anche se le più gettonate erano di gatto, rana, corvo ma indipendentemente dalla forma assunta, questi famigli fornivano alla fattucchiera una vasta gamma di servigi, che variava dal portare a termine perfidi servigi a consigliare sulla magia nera.
IL MARCHIO DELLA STREGA: poteva essere qualsiasi cosa, dal capezzolo soprannumerario ad un piccolo segno, come un neo, una verruca o un’altra piccola anomalia fisica. Soltanto un corpo perfetto avrebbe potuto sostenere tal esame minuzioso e dal resto la stessa perfezione sarebbe stata considerata prova di un patto scellerato.Â
I ferri del mestiere
1. Il manico di scopa o bune wand (come era chiamato dalle streghe scozzesi), che era utilizzato per voli notturni. Nei primi resoconti relativi la stregoneria, di solito si trattava, di una bacchetta biforcuta, oppure di un bastone di legno.
2. Il calderone. Già nell’antica Grecia le streghe facevano uso del calderone.
Quando Medea, la strega di Colchide e sacerdotessa di Ecate, tramò l’assassinio di Re Pelia, utilizzò il suo calderone magico per portare a termine il suo progetto.
Quando Macbeth si rivolge alle tre fatidiche sorelle nella grotta oscura esse sono raccolte intorno al calderone ribollente.
La dea druidica della luna, Cerridwen, utilizzava erbe magiche per preparare il suo calderone dell’ispirazione.
Lo stufato doveva bollire a fuoco lento per un anno e un giorno, e alla fine di quel periodo produceva la pozione.
3. La sfera di cristallo o speculum. Talvolta lo speculum consisteva in una palla di cristallo, talvolta di uno specchio magico.
La fattucchiera usava la sfera magica per praticare la cistalloscopia o per presagire avvenimenti.
Scrutando nelle profondità riflettenti riusciva a vedere oltre i confini del tempo e dello spazio.
Nelle città costiere, si sapeva che le streghe utilizzavano i globi di vetro usati dai pescatori per tenere a galla le reti.
La famosa strega irlandese, Biddy Early, aveva una bottiglia di vetro azzurro che prediligeva il futuro.
 Ogni genere di speculum doveva essere consacrato prima di venir utilizzato, e quest’obiettivo si raggiungeva esponendolo alla luce lunare.
Questi oggetti andavano conservati lontano dalla luce solare.
4. L’Athame. Tale oggetto era dato ad una nuova strega la notte della sua iniziazione e veniva usato per scopi mistici come tracciare il cerchio magico, mescolare il sale e l’acqua sacra all’Esbat ( incontro mensile di una congrega di streghe).
5. Il libro delle ombre. Ogni strega che sapesse scrivere teneva un libricino, e in questo prendeva nota delle ricette per le pozioni, delle formule corrette degli incantesimi.
Il libro delle ombre era l’equivalente di un diario di bordo. Questi volumi venivano nascosti (a causa dell’inquisizione), e alla morte della strega i suoi compagni avevano l’ordine di prendere da esso quel che volevano e poi bruciare l’originale.
Tuttavia, dai resoconti e dai libri che rimangono, sembra che esistessero alcuni sistemi collaudati che venivano usati dalle streghe per raggiungere i propri fini magici.
6. Gocce di saggezza. Le tre gambe su cui poggiava simboleggiavano la triplice divinità : l’acqua colmava il calderone, il fuoco lo faceva ribollire, le erbe al suo interno provenivano dalla madre terra e dalla mistura saliva il vapore.
Nessun arsenale di fattucchiere poteva dirsi completo se non aveva uno speciale coltello che però non veniva usato per scopi terreni.
Questo pugnale, presentava un’impugnatura nera con simboli magici impressi lungo la lama.
A fare le spese della follia della caccia alle streghe furono soprattutto donne.
Processo per stregoneria istituito nel 1540
Ciò risulta evidente, del resto, dalla lettura dei verbali del processo che si tenne a Roma contro certa Bellezza Orsini di Collevecchio Perugina. <<Io non so strega – dice difendendosi – e medico ogni cosa con mio olio fiorito… che ingenera la natura de tucti arbori e fiori e tutti quelli che fanno le erbe. Io ho un libro di cento e ottanta carte dove stanno tutti li secreti del mondo boni e cattivi. Con quello ho imparato e insegnato ad altri e l’ho imprestato a gran ministri e signori e voglio imprestare a vui e beati vui che starete in grazia de patroni e tucto quello che desiderate haverete >>.
Quando però l’indiziata, e questo fu un caso, dopo molti interrogatori continuava a dichiararsi innocente veniva messo in moto il macabro rituale della tortura, e efficientissima come ben ci ricorda M. de Cervantes in un famosissimo passo del suo Don Chisciotte <<a spremere la verità dalle ossa della gente >>. Alla tortura si ricorreva, inoltre, tutte le volte che le prove a carico dell’accusata non erano state sufficienti a determinarne la condanna.
Nei processi di stregoneria si partiva dal presupposto che quanto più deboli erano gli indizi di colpevolezza tanto più necessario diveniva l’uso dei tormenti. Â
L’immediatezza semantica del titolo scatena immagini magiche. Non a caso l’animismo di Alberto Savinio, il vero genio di famiglia, sollecita la corrispondenza metafisica del fratello De Chirico. Le città si animano di materia sospesa e i “dioscuro†esplodono in segni sconfinanti la percezione dei sensi. L\'alfabeto metafisico richiama il Novecento; secolo di avanguardie e di sperimentazioni. Secolo coraggioso costellato di fantasmi generazionali costruttori di continuità di senso incatenati al sistema della provocazione scientifica votata alla ricerca assidua del mutamento; svelare la sostanza del codice attraverso il fremito emotivo e passionale sottratto alla canonicità della struttura organizzata per regole. La fenomenologia dirompe nell’ossatura dell’esperienza trasformando la filosofia in epistemologia. Scienza e natura concorrono alla forma della città che nel situazionismo liberatorio di Guy Debord assumono la dominanza della preveggenza progettuale e una sorta di psicogeografia urbana sfoga le intuizioni strutturali del Bauhaus e di ULM per dare corpo ad un genere di concertazione potenzialmente magico, capace di rinvigorire gli automatismi smorti della conservatoria ordinati per schemi nella coscienza collettiva. La città ritorna pensiero relazionale e l’urbanistica prevede i corpi e le menti che la abiteranno. Le forme attraccheranno alle percezioni per dare senso di continuità alla vita che nel Futurismo del genio di Alessandra d’Egitto collocherà il pensiero elastico per favorire l’ avvento della materia artistica più famosa del XX secolo: L\'orinatoio e una Monna Lisa con baffi e pizzetto. Il ready-made avvinto alle molecole di un attaccapanni o di uno scolabottiglie apre la modernità con il chiavistello del concettuale in cui il pensiero artistico diventa opzione della scelta; individuare l\'oggetto, isolarlo dal contesto clonante della produzione industriale e attribuirgli l’anima affettiva dell’artista. Duchamp-Duchamp come un’icona dei Pink Floyd ispirata alla carta da parati con le mucche di Andy Warhol contrapposte allo stile di vita “classico†formattato dal Rock and Roll degli anni ’50 (l’arte di amoreggiare al drive-in cigolando nella mitologica deux chevaux del 1948) e dare sfogo alla vita libera della cultura Hippy degli anni ’60 sortita dal ventre paterno della Beat Generation. Ma la scienza della significazione (interpretativa, generativa e polare) non applica modelli preconfezionati ai suoi oggetti di ricerca e predilige, per il nostro discorso, l’attenzione analitica a favore della creatività dei fratelli De Chirico forniti di una solipsistica vocazione inconscia capace di anticipare la ricerca del linguaggio scientifico affascinato dai segni organizzatori dell’immaginario. Da qui parte la creazione che trasformerà la teoria in arte modellando la materia nello spazio urbano prima come materia onirica, poi come sistema dell’inquietudine a sollecito di una visionarietà moderata dell’inconscio successivamente ereditata in campo cinematografico ( in omaggio al luogo che ci ospita) da un Visconti magnetico cui i linguaggi degli artisti costruttori di questa mostra, per ovvie ragioni, accettano o rinnegano nel consiglio collettivo delle opere. Si organizza così un discorso euristico in tensione comparativa tra ciò che è stato pensiero storico e la vitalità attiva del pensiero immediato della contemporaneità vivente. Si apre in questo modo una sorta di schermo mentale su cui si proiettano gli scopi dell’arte assistente del dovere di aprire nuove esplosioni nella meccanicità usurante della gora artistica macerata dagli schematismi del sistema mercantile arrivato al limite del senso comportamentale. Pensiero collettivo votato per acclamazione del “possesso†alla prossemica della patologia di massa. Di controcanto il pensiero del Novecento suona nostalgico quando dice: Il nostro spazio urbano, ma verrebbe da notificare anche mentale, è popolato di manichini. Siamo ancora luoghi veri dalla logica impossibile dove non c’è più il tempo, ma orologi fermi e treni che vanno e che non arriveranno mai. C’è un segreto che ci è nascosto. C’è un messaggio che dovremmo capire; scorgere nei colori caldi e immobili, privi di vibrazioni atmosferiche. Siamo in questa luce bassa opposta alle lunghe ombre. Lo spazio, il nostro spazio, si è fatto allucinante. Questa poetica del sospeso imprime la consapevolezza dirompente della nostra attuale condizione mentale messa in ossessione frattale dalla dinamica dei mezzi (messaggio) che ci obbligano a relazionarci con un possibile momento che passa in continuazione sottraendo alla riflessione artistica la biologica condizione del tempo ciclico, rituale, quasi liturgico sostituito da un obbligo direzionale contro cui l’unica maniera creativa del linguaggio dell’arte è quella di trovare continui approdi occasionali per non farsi trascinare nella dispersione del male. Siamo la metafisica dell’algoritmo che ci attraversa continuamente bruciando memoria. Ma “il filtro della mente è l’intuizione del genio†e il desiderio della riflessione viene inibito dalla sfrenatezza imperante negli spazi assurdi delle metropoli verticali cui per emulazione la provincia senza identità fa riferimento. Lo spazio orizzontale è assorbito dalla materia che produce altra materia in un ciclo continuo del consumo di segni, di merci e di senso. I manichini di Ferrara, le muse inquietanti, hanno lasciato il posto ai fantasmi invisibili dell’elettronica e la spiritualità artistica si è ristretta nella protezione soffocante dei confini dell’ “IOâ€. Su questa scia filologica della casualità storica che arreda la materia nello spazio urbano inteso spazio mentale e creativo, la ricerca pittorica di LINO ALVIANI dirompe dal figurativo per una visionarietà interiore basata sull’intensità cromatica accordando con l’atmosfera pittorica di LUCA BELLANDI alla ricerca di rinvigorimenti dannunziani organizzati tra senso orientale e vita quotidiana occidentale. Apre al segno, grafico, di TONI BELLUCCI erede di una pop art lanciata in divenire nel ventre dell’elettronica. La venezuelana LILIAN RITA CALLEGARI lavora sul percorso criptico come a rivelare segni segreti dello spirito necessari alla vita comune per dare fiato all’arte scultorea, abitualmente inserita nei luoghi sacri, di MICHELE CARAFA discepolo e sviluppatore della migliore scuola offerta dagli artisti italiani. Le figurative opere di CARMA richiedono la predisposizione del sogno e del fantastico per entrare in mondi di cavalieri e figure fantasmagoriche che saldano la velatura mistica delle opere di CLEOFINO CASOLINO, artista portatore solitario di spiritualità nascoste. Tutta la ricerca potente e sostanziale del relazionismo psicomagico di MANDRA CERRONE si sintetizza nell’immagine dinamica, il racconto cinetico di corpi e anime che soffiano nel cuore della contemporaneità . GIUSEPPE CIPOLLONE promuove la rappresentazione pittorica misurata nella città come un antico modello del “Grand Tour†per catturare l’intimità luminosa romana in colloquio con le forme di gioielli in ceramica di ROSSELLA CIRCEO, inventrice di un sodalizio archetipo della scultura orafa sposata alla ceramica. FABIO CONTI della città ne costruisce il senso più alto, organico, rimettendo nel segno e nella forma il silenzio riflessivo della vita urbana cui l’esperienza dell’ assemblage concettuale di GIANCARLO COSTANZO sviluppa in parzialità quotidiane; azioni avvenute, geometrie comportamentali del racconto cittadino per dare spazio all’opera di CLAUDIO DE GREGORIO (COG) ricercatore accanito del senso visivo dettato dal luogo conosciuto dell’infanzia. Stimola la precisione costruttiva delle immagini fotografiche e simboliche di SONIA DE MICHELE capace di estrarre dal luogo o dalla sua ricostruzione artistica, il senso viscerale più profondo che promuove la riflessione delle sculture “concave e convesse†di LUIGI DI FABRIZIO costruttore di forme che captano il senso concreto dell’architettura e intrappolano la luce rimandandola verso mondi paralleli ai luoghi della mente. E la città si ferma come in un ritorno post/metafisico sintetico nell’opera di NICOLAS DINGS che imposta la ricerca frugando il cuore europeo immerso nella transazione del ventunesimo secolo. L’opera di ROBERTA DI PALMA collega il senso globale della visione urbana con l’intimismo incantato del guardare scatenando la performativa forza del colore nelle composizioni cromatiche dei moduli del gioco di CECILIA FALASCA, artista che opera nella funzione sociale rinvigorendo speranze negli ambienti chiusi al pensiero. Così MARCO FATTORI in prossemica sostanziale con la scultura ambientale, rievoca il senso dell’arte concreta sfiorando l’analogia con l’ironia Madì, ma centrando pienamente il senso delle forme nello spazio mentale del nuovo urbanismo. Da qui la volontà esplorativa della città nascosta tra forme ed ombre nella ricerca fotografica di LUIGI FORESE che sventra il riconoscibile attraverso l’intensità sentita dell’immagine ricercata con forza interiore che invita alla pittura di VALERIO GAGLIARDI inquirente di forme e di segni collegati alla spazialità dell’ambiente mentale cittadino. L’abituale tecnica mista di ALBERTO GALLINGANI taglia lo sguardo dividendo la geometria dalla forma in un gesto dinamico atto a produrre nuovo senso spaziale e rimettere la funzione provocante all’opera dedotta dal linguaggio di FERRUCCIO GARD, eventualista collaterale nell’ambito della sezione “Fare Mondi†della Biennale veneziana. Muove la perfezione dell’opera tridimensionale di DANTE MAFFEI la cui intensità della ricerca sollecita il pensiero palpitante e nobile della città contemporanea prestando la linea visiva alla pittofotografica di ANTONIO MASSIMIANI che rimuove i manichini dalla città per inserirsi in un contesto mentale usurato dagli ambienti comuni, condominiali e chiusi e dare sfogo alla pittura geometrico astrattista di MANUELA MAZZINI abituale profanatrice di mondi sottesi alla percezione regolare dettati dagli impianti urbanistici. La materia si fa dinamica e lo sguardo diventa tracciato compositivo alla ricerca dell’equilibrio assoluto tra spazio e forme nell’opera ambientale di CARLO OBERTI che lancia il filo del racconto di questa rappresentazione collettiva alla ricerca votata al femminile nell’arte di MARIA PAVONE dirompente la sensazione di un urbanesimo sospeso tra cielo e terra, ma concretizzato con calibro scientifico nella precisione di equilibrio cromatico in possesso continuativo dell’artista SARA PELLEGRINI la cui forza espressiva incanta e rimanda a riflessioni profonde verso tempi collaterali a quelli abitudinali offerti dal ventunesimo secolo. Il senso dell’immagine fotografica cade perpendicolare alla condizione voluta da OTTAVIO PERPETUA che nell’oggetto mirato trova il punto organizzativo su cui impostare l’equilibrio spaziale moderando la predisposizione all’incontro con l’opera superba e combattiva, scientificamente calcolata da MASSIMO POMPEO per dare lancio all’â€archetipismo†sostanziale, patafisico e materico espresso dal navigato artista MAURO REA la cui ricerca scatena dirompenze visive al limite del contenimento per attivare la consistenza della ricerca di FRANCO SCIPIONI e dare modello esplosivo alle opere alimentate dal cromatismo dettato dal blu di ANNA SECCIA, artista che suona il cromatismo giocando con le anime genuine delle percezioni. Da qui al classicismo pittorico di SALVATORE SEME che estrae dalla buona scuola del figurativo l’intensità dei corpi nello spazio evocando una berniniana dinamicità congiunta alla scuola pittorica di Posillipo. L’ architetto-pittore GIANCARLO SERSANTE della città ne fa un respiro cardiaco producendo segni che hanno il compito di ordinare il mentale e che danno spazio all’opera sperimentata nel linguaggio della sintesi cromatica di FRANCO SINISI può volte presentato in altri cataloghi. Così la voce passa alla ricerca sincera e sociale di CARLO VOLPICELLA per aprire il varco visivo verso l’opera scultorea di ANTONIO VILLA che rimette ai gesti quotidiani e alla vita comune delle città il senso profondo e tridimensionale incarnato nell’ esistenza spirituale della forma, rappresentativa del semplice come un atto di preghiera. E l’ invocazione alla spiritualità dell’arte chiude questa rassegna nell’opera di MARIO SERRA artista dal pensiero nobile e colto capace di rimettere nell’ironia il senso maggiore delle forze che concorrono a mantenere l’equilibrio universale. A volte dio a volte l’uomo cantano le vicissitudini delle città e la storia traccia continuità di senso promuovendo il segno come unico elemento che arreda sogni e materia nello spazio dettato dalla vita dell’arte transitante da generazione in generazione alla scoperta delle divinità che la contengono. D’altra parte il presagio e i segni sono l’anima del grande Alberto Savinio che credeva “[…]Anche l\'acquisto di una casa andava effettuato dopo attenta esaminazione dei segni e dei presagi per la metafisica salubrità del luogo. Le città vivono e respirano nei luoghi dell’arte e nell’anima di chi le abita. Il resto, come sempre, è sublime e a volte silenziosa e segreta magia.