caro Costantini, ho deciso. quest’anno chiudo l’attività oltretrentennale e inutile di critico in Italia e vengo a passare un mese di vacanze con mio figlio a Penne. sai indicarmi un buon albergo, non di massa, come quelli che esistevano una volta in Romagna, genuini con gente tranquilla che non guarda la televisione e sorride sempre….?
Maggio 2012
Dom 6 Mag 2012
Ven 4 Mag 2012
Una palabra no dice nada
y al mismo tiempo lo esconde todo
igual que el viento que esconde el agua
como las flores que esconde el lodo.
Una mirada no dice nada
y al mismo tiempo lo dice todo
como la lluvia sobre tu cara
o el viejo mapa de algun tesoro.
Una verdad no dice nada
y al mismo tiempo lo esconde todo
como una hoguera que no se apaga
como una piedra que nace polvo.
Si un dia me faltas no sere nada
y al mismo tiempo lo sere todo
porque en tus ojos estan mis alas
y esta la orilla donde me ahogo,
porque en tus ojos estan mis alas
y esta la orilla donde me ahogo
Traduzione
Una parola non dice nulla
e allo stesso tempo nasconde tutto,
come il vento nasconde l’acqua,
come i fiori che nascondono il fango.
Uno sguardo non dice nulla
e allo stesso tempo dice tutto,
come la pioggia sopra il tuo viso
o la vecchia mappa di qualche tesoro.
Come la pioggia sopra il tuo viso
o la vecchia mappa di qualche tesoro
Una verità non dice nulla
e allo stesso tempo nasconde tutto,
come un falò che non si spegne,
come la pietra che nasce polvere.
Se un giorno mi mancassi, non sarei nulla
e allo stesso tempo sarei tutto,
perché nei tuoi occhi ci sono le mie ali
e c’è la riva dove mi affogo.
Perché nei tuoi occhi ci sono le mie ali
e c’è la riva dove mi affogo.
Mar 1 Mag 2012
Qualche settimana fa Tommaso Evangelista mi ha contattato per un’intervista da pubblicare su Zenitmagazine. Ho saputo la redazione ha problemi di “uscita” . Per la documentazione del lettore ripropongo l’articolo su Criticart.it
Tommaso Evangelista:
Pochi giorni fa, colto da un infarto, è mancato Omar Calabrese, uno dei più importanti studiosi italiani. Calabrese, classe 1949, è stato semiologo, docente di teoria della comunicazione, studioso del linguaggio dei media e delle arti visive; laureato in storia della lingua, dopo aver insegnato semiologia delle arti all’università di Bologna è stato professore di semiotica presso l’università di Siena; “allievo” prediletto di Umberto Eco ha compiuto studi fondamentali nell’ambito della comunicazione visiva, dell’arte in senso stretto e dei mass media. Abbiamo fatto alcune domande ad Antonio Picariello, critico d’arte militante, saggista e conferenziere, allievo di Calabrese che si è formato proprio nel solco di quei visual studies tanto frequentati dal semiologo.
Ci sarebbero moltissimi punti sui quali soffermarsi parlando di un intellettuale come Omar Calabrese data la vastità delle sue ricerche; per prima cosa volevo chiederti un pensiero o un’impressione sulla sua figura di uomo e di intellettuale e, in particolare, di studioso dei fenomeni artistici alla luce dell’odierno sistema dell’arte italiano e della nuova generazione di critici d’arte.
Tra i tanti saggi di Calabrese volevo soffermarmi sul suo testo, forse, più famoso, “L’età neobarocca”, scritto più di due decenni fa ma ancora molto attuale. Per neobarocco lo studioso intendeva l’eccesso del visibile e l’esasperazione del linguaggio che caratterizza un’estetica di massa ansiosa nella ricerca dell’originale e dell’inconsueto. Siamo ancora secondo te in un periodo “neobarocco”?
Per rimanere in tema con un altro celebre testo del semiologo come si legge (o si dovrebbe leggere) un’opera d’arte e qual è il linguaggio proprio dell’arte?
Con Calabrese è sparita una di quelle poche figure di studiosi capaci di intuire tra le pieghe dei fenomeni contemporanei di massa i segni di una trasformazione che molto spesso diventa degenerazione politica, culturale, di costumi e che, parlando di arte, può diventare degenerazione stilistica e di contenuti. Quale può essere un rimedio o una via di fuga e quale dovrebbe essere il ruolo dell’intellettuale oggi?
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Antonio Picariello:
Dopo la scomparsa di Omar Calabrese (O. C.) i mass media di ogni tipo e di ogni taglia si sono scatenati. Sento spesso dire negli encomi di rito e nelle girate giornalistiche – L’altra sera è morto O. C. “allievo” prediletto di Umberto Eco -. Non so perché, ma avverto un senso di inquietudine, di tristezza, quasi di aumentata luttuosità ad ogni girata mediatica che mostra questa definizione. È una presentazione che sento disarmonica, stonata perfino nel valore di immagine indotta malamente ( come dicono i partenopei) nel desiderio stanco di dare iconografia santificante ad un uomo tra i migliori che il pianeta abbia mai generato. Che O.C. sia stato tra i migliori italiani lo documentano, come giustamente dici, le poliedriche produzioni dei tanti testi saggistici, letterari, giornalistici, cinematografici e i geniali palinsesti televisivi cui accenni. Quindi, avverto lo stralunamento della frase e provo a rimettere il calibro del messaggio nella sua posizione giusta. Non perché allievo prediletto di qualcuno, Omar Calabrese deve restare nelle maglie dell’esegesi storica per nominata giovanile sapienza maestrale riconosciuta uniformemente e autonomamente dal mondo intero all’intellettuale italiano. Va graduata la forza delle nostre opinioni storicizzanti la vita attiva del docente universitario, del critico delle arti, del giornalista responsabile di riviste prestigiose e diffusive della scienza semiologica in Italia e nel mondo. Su questo principio posso rispondere alle tue interessanti domande. Ad O.C. attribuisco rispetto e stima, non solo per conoscenza personale o per i tanti lavori gentili di cui mi ha omaggiato nel corso delle produttività degli eventi artistici o per “amicizia” onorevole e per professionalità, ma soprattutto per il suo merito civile di aver fatto evolvere la sapienza umanistica universale. Alcuni suoi testi sono stati tradotti in 40 lingue diverse, per uno in particolare, “L’art du trompe-l’oeil”, l’Accademia di Francia gli riconosce le “Prix Bernier” per il miglior libro d’arte dell’anno. Un prezioso riconoscimento che la dice lunga sulla qualità del giovane Maître internationale. Riconoscimento giunto, purtroppo, pochi anni prima del taglio mitologico delle Moire attivato alla scadenza dei suoi 63 anni di vita. Un giovanissimo professore universitario O.C. se si prende in considerazione che il sistema moderno italiano prevede il pensionamento oltre il settimo giorno della creazione divina. Comunque è riconoscimento tra i più prestigiosi della cultura francese e i francesi in campo di approvazioni sono per definizione stoici e aggiungerei, per rima popolare, anche stitici. Lo dice lo statuto della stessa Académie che ha per principale funzione quella di “vegliare” sulla lingua francese. Per avere un’idea di massima posso dirti che nel 1989 il discorso del Primo ministro Michel Rocard fu tenuto principalmente per direzionare l’attenzione del Consiglio superiore della lingua francese su cinque punti riguardanti l’ortografia (il tratto d’unione, il plurale delle parole composte, l’accento circonflesso, il participio passato dei verbi pronominali e varie anomalie [immagina la forza delle nostre parole in libertà formulate nel secolo scorso dal futurismo di Marinetti, riflettiamo un momento sull’ev/involuzione italiana riguardo la lingua) considerata dai francesi come suprema barriera di difesa dell’identità nazionale e si comprende subito la potenza riconosciuta internazionalmente al genio creativo e didattico di O.C. Se poi si pensa la nostra lingua come sia stata ridicolizzata dall’Unione Europea senza che nessun italiano (se non per poche anime eremite) si sia crucciato per l’ estromissione della lingua identitaria dalle traduzioni ufficiali nei documenti giuridici comunitari, si comprende la “sostanza” del semiologo, amico e professore da cui ho appreso con leggerezza insieme ad un gruppo pioneristico uni-bolognese negli anni settanta, la cognizione dell’arte non attraverso le variazioni umorali della storia, ma tramite l’applicazione di un metodo scientifico nuovo che allora, la prolifera disciplina semiologica, andava a rimettere nel secco tessuto accademico rinvigorendolo di passione e di ricerca rivestita di speranze progettuali, di linguistica e di interattività condivisa tra i vari modelli scientifici e disciplinari delle università italiane. O. C. insegnava apprendendo dai nuovi linguaggi urbani e restituiva modalità semiotiche nel giudizio di valore proprie della professione del critico ( Il Dams sfornava critici, le accademie gli artisti). La tua giusta domanda mi rende coscientemente responsabile a non appannare l’autonomia reggente dell’immagine dell’ uomo genius, l’ eccellente studioso, il docente serio e pedagogicamente fruttifero, uno dei massimi modelli mondiali contribuente la costruzione, lo sviluppo e, sulla scia intellettuale (e qui si va detto, così rispondo e chiudo il senso) della formulazione interpretativa di Umberto Eco, per la conoscenza semiotica o semiologia come la scuola bolognese dichiarava e tutt’oggi dichiara anche se con una passionalità giovanile diversa. Così credo averti risposto indirettamente anche riguardo le preoccupazioni dell’odierno sistema dell’arte italiano che da un decennio e oltre sacrifica le proprie potenzialità espressive al riscatto di qualche esperto gallerista, amministrazione pubblica o mercante saraceno cui la nuova generazione di critici per compiacimento letterario spesso si affida. Non sempre si avverte lo scrupolo ai danni potenziali che potrebbe arrecare o contribuire ad arrecare, in connivenza silenziosa, la nuova vecchia maniera che i giovani valorizzatori dell’arte mettono a volte superficialmente in campo. Capisci, la scomparsa di un onorevole Maître internationale apre possenti preoccupazioni per chi ha l’abitudine di lavorare con senso cosciente nella diffusione del pensiero artistico. Gli artisti veri, quelli che non dormono per cercare dio nelle opere, quelli magici culturalmente superiori all’uomo comune, in parte sentono anch’essi la mancanza avvenuta, gli altri, quelli del bricolage , quelli che tracciano “linee con il compasso“ e che credono di aver fotografato dio, quelli contniueranno « tranquillement » a svolgere le proprie attività di rutine senza essere neanche sfiorati dalla mancanza avvenuta di un grande uomo come Omar Calabrese. Così credo aver risposto anche alle altre domande e riguardo il testo “L’età neobarocca” che sintetizzi molto bene, credo, almeno sociologicamente, siamo in un sistema di pensiero artistico divenuto vanitosamente bricolage e una vicinanza neo-barocca come la intende O.C., dopo la decantazione della PoP Art che non sortiva da una bella maniera Dadaista, ma dal mistificato riutilizzo di quell’arte parvenu del kitsch tedesco , anche volendo attestarsi la tesi di Greenberg in “Avant-garde and kitsch”, con cui definisce le correnti di avanguardia e del modernismo buoni strumenti da anteporre all’invasione colonizzatrice della cultura del consumismo e di conseguenza della produzione kitsch, dove per kitsch intendo la produzione vanitosa del bricolage artistico di cui sopra, o come si diceva allora, nel ’39, popolare, commerciale, illustrativo, basso. Oggi nel 2012 questa maniera W.00 sembra caratterizzare l’unica sapienza di chi produce, compra, vende arte senza accorgersi neanche che un grande pensiero della semiologia si sia trasferito a mondi paralleli per una diretta compagnia di Platone, Aristotele, Socrate, Dante, Lorenzo dei Medici e tanti altri con cui da questa parte, prima, Omar Calabrese aveva discusso segretamente attraverso i testi. E poi, perché no! Un’accesa discussione per la spoliazione del barocco al Borromini a favore del neo-barocco Calderini progettista del Palazzo di Giustizia di Roma?, o per simpatia alla sua precedente attività di docente prima bolognese e poi senese discuterà con Pierpaolo Quaglia sull’ Università Federico II di Napoli? Ma conoscendolo, lui fiorentino di razza, credo almeno per adesso,faccia il filo al Brunelleschi. Stammi bene Tommaso.
Omar Calabrese: Per degenerazione di uno stile si può intendere la perdita dei parametri di controllo che hanno portato alla sua nascita. Questi parametri sono sempre, in parallelo, appartenenti sia all’espressione che al contenuto. Quando ci si orienta verso una sola delle due direzioni lo stile è degenerato perché ha perso i parametri che ne hanno permesso la nascita. Quando parliamo di un film, magari di non grande bellezza formale ma che si costruisce attorno ad un intreccio esasperato, con decine e decine di personaggi, allora lì c’è stata un’evoluzione negativa perché siamo di fronte alla ricerca di una complicazione estrema, ma non c’è nulla sul piano della ricerca formale. La televisione, ad esempio, ci sta abituando a costruire varianti sempre più complicati ma delle stesse storielle; nei serial alla TV assistiamo chiaramente alla super-complicazione narrativa. È ormai diventata una follia seguire vicende, amori e disamori dei personaggi: se uno ha perso tre puntate non capisce più dove si trova perché le complicazioni sono folli. C’è un fenomeno analogo sul grande schermo: è il caso di un film molto neobarocco come Matrix. Quando vediamo il sequel non vi accade nulla se non la ripetizione esasperata delle invenzioni del primo episodio. Con il terzo abbiamo quasi la stessa cosa, magari si cerca di arrivare a una qualche conclusione ma attraverso un’esasperazione degli stessi trucchi cinematografici e un eccesso di effetti speciali.
Tommaso Evangelista (Isernia 1983) è storico e critico d’arte e curatore indipendente. Dopo la laurea specialistica in arte moderna presso l’università La Sapienza di Roma attualmente sta frequentando il master di II livello in mediazione culturale nei musei presso l’università di Roma Tre. E’ studioso di storia e tecniche dell’incisione e delle teorie critiche del Novecento, oltre che del panorama artistico del Molise. Ha curato mostre in spazi pubblici e privati nella sua regione e diversi cataloghi per esposizioni e per singoli artisti. Pubblicista, scrive regolarmente per testate di settore e per la stampa locale e, attualmente, collabora come critico presso la Galleria Officina Solare ex ArchetypArt Gallery di Termoli
Mar 1 Mag 2012