Aprile 2014
Mar 1 Apr 2014
Mar 1 Apr 2014
Theorein…. e il Principio della forma dinamica fu l’ameba.
di Antonio Gasbarrini
“Le amebe sono organismi unicellulari caratterizzati dalla variabilità della forma. Si muovono emettendo dal corpo dei prolungamenti chiamati pseudopodi: questo tipo di movimento, con continuo cambiamento della forma del corpo, viene detto movimento ameboide” (da Wikipedia).
Cosa è stata l’arte moderna e contemporanea (inclusa l'”arte d’oggi”) se non una continua trasmigrazione di forme su forme? Forme de/formate con l’Espressionismo, velocizzate con il Futurismo, purificate con l’Astrattismo, dissacrate con il Dadaismo, imbrogliate con il Surrealismo e… via di questo passo sino ad arrivare alla loro attuale esasperata ed esasperante digitalizzazione. Basta ora un semplice clic per metamorfizzare a piacere, di ogni immagine in-forma-tica (anche testuale), un’instabile, effimera forma camaleontica riempita, anzi stivata, di pixel su pixel “ciecamente” obbedienti a questo o quel software.
L’archetipo delle tante forme cangianti sino a qui chiamate in causa, può essere rintracciato in quel minuscolo organismo unicellulare, l’ameba, il cui perimetro corporale (ancora la forma, cioè) varia non solo continuamente, ma è strettamente connesso al movimento.
Non so spiegarmi per quale istintiva associazione simbolica, nel vedere i sagomati Theorein antropomorfi di Carlo Volpicella, ho pensato subito al mutevole profilo corporale di un’ameba. Cercherò di tratteggiare qualche plausibile risposta. Iniziando subito a riflettere sull’attrazione empatica suscitata dalle radiografie diagnostiche manipolate dall’artista abruzzese con interventi computerizzati. Sicché quelle diafane tracce fotoniche (i raggi x) riproducenti in negativo questa o quella parte dello scheletro umano o di altri organi “potenzialmente malati”, sprizza adesso una salubre aura estetica, grazie a scritte e ritornanti perimetri amebici tatuati, sempre in negativo con il medium del computer, sulla scannerizzata pellicola-matrice originaria.
Si aggiunga, inoltre, la sottigliezza fisica della flessibilissima silhouette (ogni opera è ritagliata dalla pellicola standard di cm. 142×42), dal contorno decisamente androgino, anche se leggermente zooformizzato. Nonostante l’instabile equilibrio tridimensionale di un’opera pressoché bidimensionale, è il danzante dinamismo impresso alla diafana figura ad evocare lo scatto, l’empito dell’arcinota scultura del 1913 Forme uniche della continuità nello spazio di Umberto Boccioni.
Né quadri da poter esibire su una parete, né tanto meno sculture da porre su un piedistallo, questi trasparenti Theorein di Carlo Volpicella possono vivere/convivere al meglio, stando assiepati insieme sì, ma sono ancora più intriganti se sospesi a mezz’aria. Il sottile gioco della luce naturale o artificiale che li penetra, li attraversa, e il minimo alito di vento che li può facilmente smuovere, accentuano il dinamismo del tutto, negando così, creativamente, il valore d’uso (scriverebbe Marx) pratico e funzionale delle radiografie, in valore squisitamente spirituale. La loro perfetta adattabilità all’ambiente, sia esso metropolitano o paesaggistico, dovuta forse all’ancestrale rimando mimetico di una conchiudente forma dal duplice imprinting (umano e amebico) è ben certificata da alcune fotografie in mostra: un riuscito mix tra Land Art e Arte Povera, rimescolate e trascese poeticamente dalle installazioni a cielo aperto, con coinvolgenti esiti teatralizzanti.
Se nei Theorein radiografici si è attratti dal fascino mentale esercitato dai labirintici incroci segnici positivo/negativo, cromaticamente attestati su tre “quasi non colori” (bianco, nero e grigio), in quelli realizzati con sagome di cartone (di dimensioni variabili) è l’esplosione di una incontenibile, panica tavolozza, ad esaltare un tessuto pittorico dai timbri accesi, siano essi monocromatici o pullulanti di girovaghe amebe che non sarebbero passate inosservate ad uno street-artista come Keith Haring.
Facciamo infine un piccolo esperimento mentale: alla Einstein, tanto per intenderci. Anziché essere a cavallo di un raggio di luce come lui immagininò, per indagarne la velocità, mettiamo uno di fronte all’altro i due non-eserciti (Theorein radiografici e Theorein cartonati) allestiti da Carlo Volpicella in questa esibizione. Anziché sanguinarie urla guerresche, vedrete/sentirete alcune parole avvolgerli, fondendoli, in un solo catartico abbraccio. Le avete riconosciute? Mi permetto, comunque, di sussurrarvene alcune: amore, amicizia, fraternità, solidarietà, e, perché no?, gioco.
Non a caso all’artista abruzzese piacciono, da morire, le bolle di sapone.
P. S. Carlo Volpicella, il terremoto dell’Aquila, l’arte e le bolle sapone
Il 6 aprile del 2009 la città medioevale dell’Aquila veniva mortalmente ferita da un devastante terremoto. Dei suoi 70.000 abitanti, 35.000 trovavano una precaria sistemazione per vari mesi nelle tendopoli, ed altrettanti, in vari alberghi della costa d’Abruzzo.
Per dare una prima risposta allo shock subito dalla popolazione, con la mediazione catartica della creatività e dell’arte, un paio di mesi dopo la tragedia veniva dato il via, su impulso mio e dell’artista Anna Seccia, all’happening performativo L’AquilAbruzzo TendAtelier dipingendo (dal 20 giugno al 12 luglio) in una delle tende messe a disposizione dalla Croce Rossa Italiana all’interno dell’emergenziale insediamento.
Nel giro di una ventina di giorni sono state realizzate, mentre imperversano ancora scosse sismiche e nubifragi, due tele monumentali della misura di 22 mq. ciascuna titolate Soqquadri (L’Aquila ferita) e Global Aquilart.
La prima è stata dipinta da ben 18 artisti abruzzesi (tra cui Carlo Volpicella) appositamente invitati; la seconda dai terremotati (quasi tutti in tenera età) ospitati nella tendopoli.
Lo straordinario risultato estetico-civico conseguito anche grazie all’apporto creativo di Carlo Volpicella (bolle di sapone comprese per far nuovamente sorridere i terrorizzati bambini della tendopoli) è stato documentato da un bel catalogo con allegato DVD.
Una sintesi testuale, fotografica e visiva di quella vitale esperienza è fruibile all’indirizzo internet:
http://zralt.angelus-novus.it/zralt-n1-estate-2013/aquilabruzzo-tendatelier/
L’Aquila terremotata, inizio primavera 2014
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Devozione alla bellezza
(attraverso un theorein….100 theorein)
Sono qui per stupirmi.
Con lo stupore,con un theorein si inizia
con lo stupore,con un theorein si termina,
e tuttavia non è un cammino vano.
Se ammiro un theorein,un muschio,un cristallo,
un fiore oppure un cielo nuvoloso,
un mare con il pacato respiro di un gigante…..
Ogni volta che riesco a vivere in sintonia
con un frammento di natura,con un theorein,
grazie all’occhio o ad un altro senso,
ogni volta che sono da esso attirato ed incantato,
aprendomi per un’attimo,
allora dimentico-in quello stesso istante-tutto
l’avido cièco mondo delle umane ristrettezze,
ed invece di pensare o di impartire ordini,
invece di conquistare o di sfruttare,
di combattere o di organizzare
in quell’istante non faccio altro che “stupirmi”
e con questo stupore,
e con questo theorein di Carlo Volpicella
non solo divengo fratello di tutti i poeti,
i saggi,ma anche fratello di tutto ciò che ammiro
e sperimento come mondo vivente;
della farfalla,dello scarabeo,del theorein,
della nuvola,dei fiumi e dei monti,
perché lungo il cammino dello stupore
sfuggo per un’attimo al mondo della divisione
ed entro nel mondo dell’unità,
dove una cosa,una creatura dice all’altra
“questo sei tu”
E tutto questo e molto di più
lo ritrovo nell’attraversare
le trasparenze di un theorein di 100 theorein.
Antonio Presti
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….Osservando nei miei 26 anni di lavoro in Pronto Soccorso le varie radiografie, TAC ed ecografie, sono sempre stato attratto dai contrastanti chiaroscuri, dalle trame “a labirinto” (TAC cranio-torace-addome e quant’altro) e dalle indagini angiografiche.
Infatti, nei “giochi” in bianco-nero di “vedo – non vedo” ho spesso fantasticato di poter attraversare, quasi fisicamente, queste immagini radiologiche in cui il mondo e le differenti situazioni venivano inevitabilmente costrette su di un supporto bidimensionale, sia che fosse una semplice pellicola, che su immagini angiografiche, in dinamico movimento.
Negli anni ho pensato che in quel mondo interno all’essere umano (immagini dello scheletro, dell’encefalo e degli organi interni del torace e dell’addome) il mio Theorein potesse prendere forma, o addirittura manifestarsi fisicamente dai collage che man mano andavo assemblando, nella sua realtà multiforme, seppure “costretta” nelle varie tonalità di grigi delle indagini radiologiche. Rimane la magia e l’irrealtà di queste forme diverse nei diversi individui, variabili sia nelle componenti scheletriche, sia nella variabilità delle immagini TAC di un encefalo che, come l’uomo, invecchia….restano i “colori-non colori” delle condizioni patologiche, la distribuzione dell’aria, che va a disegnare in una radiografia diretta dell’addome, con le sue tonalità di neri e di grigi, forme e contesti mai sognati.
Da lì, casualmente, ho iniziato dapprima ad usare immagini di radiografie scartate, poiché considerate di scarso valore diagnostico, finchè un giorno un amico ha iniziato realmente a “radiografare” i Theorein, di nascosto, quasi a voler concretizzare e sostituire il reale di una frattura, o di un ematoma o, peggio, di una malattia neoplastica, con quella positività da me creata.
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Carlo “theorein” Volpicella, un’arte senza retoriche.
Quale cosmica dimensione traccia i profili magici che danzano nelle galassie pittoriche di Carlo Volpicella?
Cosa induce la creazione di sagome leggere che galleggiano nei convulsi spazi carichi di emozioni che le contengono?
L’osservazione deve essere spoglia di preconcetti che cerchino letture didascaliche di qualsiasi tipo. Le opere devono essere osservate con gli occhi dell’anima, lasciandosi penetrare fino all’ambito dove le sensazioni danzano i rituali segreti delle conoscenze profonde, poiché è lì che nascono queste immagini, ed è li che trovano le risposte, se mai queste fossero necessarie.
La ricerca permanente, l’essere oggetto del gioco voluto dal quadro, trasforma il pittore in uno strumento primigenio che dona se stesso in un compromesso privo di vanità, chiudendo il cerchio fra il creatore e l’osservatore sensibile di un evento che sovente è oltre ogni razionale denominazione.
Questa condizione di servizio in un senso alto della parola, porta Volpicella poi a aderire al Seblismo, apportando la sua sensibilità a un lavoro di gruppo, crescendo e facendo crescere, nello scambio, un progetto nel quale trova uno spazio simbiotico con i suoi principi.
In un’opera come questa non esistono artifici mirati all’unico obbiettivo di incantare, poiché l’arte non è un serpente addomesticato, piuttosto il covo recondito ove tutti i serpenti, i più velenosi, mordono l’animo umano che si esprime attraverso questo gentile linguaggio che è l’arte vera.
Carlo ha chiamato questi messaggi astratti “Theorein”, siglando la sua avventura in modo ermetico, ma, e questo me lo posso permettere, conoscendo l’artista, si tratta di un’espressione aperta, limpida e carica di umane emozioni.
Nel portare a termine la sua impresa è valido tutto ciò che permette a Carlo di raggiungere la materializzazione di quel proposito straordinario di segnare il mondo con la sua identità più profonda. Ciò è trascendente, è il principio più alto della creazione, poiché a partire dall’egocentrismo primigenio, che sostiene e alimenta l’esistenza, lancia un segnale che si fa presente nel tutto. Lui è parte dell’universo e anche Lui fa la sua parte. E’ un atto supremo che esalta la piccola, misera condizione dell’uomo, di fronte alla grandiosità della creazione, perfino del proprio atto creativo.
“L’arte è un’espressione dell’uomo, qualsiasi altra pretesa è solo vanità”
Maxs Felinfer
Carlo “Theorein” Volpicella, un arte sin retórica.
Qué cósmica dimensión traza los perfiles mágicos que danzan en las galaxias pictóricas de Carlo Volpicella?
Qué cosa induce la creación de livianas siluetas que flotan en los convulsionados espacios cargados de emociones que las contienen?
La observación debe estar despojada de preconceptos que busquen lecturas explicativas de cualquier tipo. Las obras tienen que ser observadas con los ojos del alma, dejándose penetrar hasta el ámbito en el cual las sensaciones danzan los rituales secretos de los conocimientos profundos, ya que es allí que nacen estas imágenes, y es allí que encuentran respuestas, en el caso que las respuestas fueran necesarias.
La búsqueda permanente, el ser objeto del juego dictado por el cuadro, transforma al pintor en un instrumento primordial que dona sí mismo en un compromiso sin vanidad, cerrando el círculo entre el creador y el observador sensible de un evento que a menudo va más allá de toda denominación racional.
Esta condición de servicio, en un sentido elevado de la palabra, lleva luego a Volpicella a adherir al Seblismo, aportando su sensibilidad a un trabajo de grupo, creciendo y haciendo crecer, en el intercambio, un proyecto en el cual encuentra un espacio simbiótico con sus principios.
En una obra como ésta no existen artificios que tengan como único objetivo el de encantar, ya que el arte no es una serpiente domesticada, sino más bien el nido recóndito donde todas las serpientes, las más venenosas, muerden el alma humana que se expresa a través de este gentil lenguaje que es el arte verdadero.
Carlo ha llamado estos mensajes abstractos “Theorein”, dando a su aventura un carácter hermético, pero, y esto me lo puedo permitir, conociendo al artista, se trata de una expresión abierta, límpida y cargada de humanas emociones.
Para llevar a término su empresa es válido todo aquello que permite a Carlo alcanzar la materialización de ese propósito extraordinario que es marcar el mundo con su identidad más profunda. Esto es trascendente, es el principio más alto de la creación, ya que a partir del egocentrismo primordial, que sostiene y alimenta la existencia, lanza una señal que se hace presente en el todo. Él es parte del universo y él también hace su parte. Es un acto supremo que exalta la pequeña, mísera condición del hombre, de frente a la grandiosidad de la creación, incluso del propio acto creativo.
“El arte es una expresión del hombre, cualquier otra pretensión es sólo vanidad”.
Maxs Felinfer
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Forme e colori.
Si fluttua, si diventa leggeri, si può quasi volare in questi spazi così pieni di luci ed ombre, giocando a nascondino tra le figure che vi abitano, presenze silenziose e gentili che invitano ad entrare, a percorrerne ogni angolo, a riconoscere ogni sfumatura.
Si riescono quasi a sentire dei profumi, tra quei colori.
Sono luoghi, alcuni sconosciuti, tutti da scoprire, e altri che invece ci sembra di ricordare, come un deja vu, come qualcosa che è rimasto sopito nella memoria ma sempre sul punto di affiorare. Come quelle volte in cui una parola è sulla punta della lingua, sappiamo che è lì per uscire, rincorriamo il suo suono, ma ci manca sempre un attimo per riuscire a ricordarla. Ma sappiamo di conoscerla, comunque, e sappiamo che prima o poi verrà a galla.
Sono mondi, ognuno diverso dall’altro, ma collegati tra loro da qualche elemento che si ripete, si ripresenta con differenze impercettibili: una posizione un po’ diversa, il colore appena più intenso, un tratto mancante …
E dopo un po’, meravigliati, scopriamo che stiamo guardando i nostri luoghi, quelli che vivono dentro di noi, quelli che noi siamo, profondamente.
Patricia Vena
Formas y colores.
Uno fluctúa, se vuelve liviano, puede casi volar en estos espacios tan llenos de luces y sombras, jugando a las escondidas entre las figuras que en ellos habitan, presencias silenciosas y gentiles que invitan a entrar, a recorrer cada ángulo, a reconocer cada matiz.
Se logra casi sentir perfumes, entre esos colores.
Son lugares, algunos desconocidos, todos por descubrir, y otros que en cambio nos parece recordar, como un deja vu, como algo que quedó entredormido en la memoria pero que está siempre a punto de emerger.
Como esas veces en que una palabra está en la punta de la lengua, sabemos que está por salir, perseguimos su sonido, pero nos falta siempre un instante para lograr recordarla. Sin embargo sabemos que la conocemos, de todos modos, y sabemos que tarde o temprano saldrá a flote.
Son mundos, cada uno distinto del otro, pero conectados entre ellos por algún elemento que se repite, se vuelve a presentar con diferencias imperceptibles: una posición un poco distinta, el color apenas más intenso, un trazo que falta …
Y después de un rato, maravillados, descubrimos que estamos viendo nuestros lugares, esos que viven dentro de nosotros, esos que nosotros somos, profundamente.
Patricia Vena
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Mar 1 Apr 2014
Dicotomie in accordanza nelle fotografie di Rosy Rubulotta di Maria Stella Rossi
Posted by Antonio Picariello under arte/teatroNo Comments
Dicotomie in accordanza nelle fotografie di Rosy Rubulotta
di Maria Stella Rossi
Fanno pensare a Hölderlin, i venti scatti di Rosy Rubulotta in mostra nella Sala degli Affreschi dell’Istituto Filosofico- Palazzo Serra di Cassano fino al trenta aprile.
Il poeta tedesco scrive in un frammento alquanto misterioso “ Pieno di meriti, ma poeticamente, abita l’uomo questa terra” che Hidegger interpreta e commenta
“ abitare poeticamente significa essere toccati dalla vicinanza dell’essenza delle cose”.
E allora nelle fotografie della Rubulotta percepiamo questo desiderio di entrare nelle cose del mondo, nella loro vera natura senza enfasi con disarmante naturalezza che semplifica e armonizza i contrasti.
Poco importa il dove (quindi il luogo) che perde il suo carattere connotante perché l’occhio di Rosy Rubulotta cerca il perché, il quando, il come in un mix di
sentimento /pensiero/ consapevolezza.
Lontano/vicino, dentro/fuori, vastità/ dettagli, realtà/riflesso, luci/ ombre fanno parte di una scelta personale, un punto di vista a cui tener fede, come una sorta di colloquio continuo con la realtà che invia messaggi da cogliere e testimoniare.
Ma non è tanto o perlomeno non è solo un lavoro di documentazione memoriale/emotiva quanto una strategia dello sguardo a cui viene affidato il compito di conoscere e estrapolare il dettaglio o l’attimo che chiarisce e indirizza la conoscenza.
L’esigenza di vastità ( pensiamo ai paesaggi marini) e di grandiosità (le altitudini delle montagne) fanno venire in mente, per un gioco di sovrapposizioni e rimandi, ad alcuni quadri di Caspar David Friedrich che a sua volta ci porta ad altre corrispondenze, in particolare con Kant e Schiller che consideravano la grandezza del mare e dei monti come una possibilità per l’uomo per considerare la propria piccolezza.
Gli oggetti fotografati, una fisarmonica che prende la scena come una prima attrice, un antico libro avvolto da spago e agghindato insolitamente da collana con pendaglio, oppure posate e oggetti di legno tarlato comunicano la loro essenza di oggetti che si riappropriano del loro valore e del tempo che vorrebbe usurali per poi dimenticarli.
I giochi di riflessi nelle vetrine come sulla superficie di fiumi e lagune vogliono indicarci che in realtà non tutto ( o quasi mai) è così come ci appare, ed ecco che Rosy Rubulotta coglie l’immagine riflessa negli specchi d’acqua che si frantuma e sparpaglia in onde che scorrono in un panta rei senza fine.
A interagire con gli scatti, brani e versi di grandi scrittrici e filosofe, scelti con saggia conoscenza e cura da Ester Basile e Lucia Stefanelli, che mi confermano un’intuizione che mi avevano fornito le fotografie ad una prima osservazione, se Fernando Pessoa diceva che la letteratura esiste perché la vita non basta allora l’esigenza del racconto fotografico per la Rubulotta testimonia che le fotografie sono necessarie perché la realtà non basta.