Ven 11 Mag 2012
PILò – DONNA FABER UOMO PIù O MENO – AXA DAL 9 AL 16 MAGGIO
Posted by Antonio Picariello under arte/teatroNo Comments
primonumero
08/05/2012 – ANTONIO PICARIELLO INAUGURA LA SUA MOSTRA PERSONALE
Campobasso. ’Pilò. Donna faber uomo più o meno’. Questo, il titolo della mostra che sarà presentata domani, mercoledì 9 maggio, a Campobasso, presso lo spazio Axa in contrada Colle delle Api, alle ore 20, interamente curata e realizzata da Antonio Picariello. Una mostra in cui per la prima volta il critico lascia il campo all’artista. Infatti, Antonio Picariello mette in mostra le sue opere, quelle realizzate con lo pseudonimo di Pilò avvalendosi però anche delle opere degli artisiti che come critico ha avuto modo di conoscere e di far conoscere al grande pubblico. Un’occasione unica in cui si fondono insieme le note dell’arte, di quel critc arte che è nello stesso tempo demenziale o, come lo stesso Picariello, ha affermato ’nelle vicinanze’.
IL TESTO CRITICO LO HA SCRITTO Alexandre Dumas TITOLO :
Le Comte de Monte-Cristo –
ALL’INFERNO GLI ARTISTI
Promenade nell’ARTE contemporanea
Nella gora delle Province
di ANTONIO PICARIELLO (di prossima pubblicazione)
Chi doveva è stato ricompensato, adesso è il momento della vendetta:
« E ora – disse l’uomo sconosciuto – addio bontà, umanità, riconoscenza… Addio a tutti i sentimenti che allargano il cuore!… Mi sono sostituito alla Provvidenza per ricompensare i buoni… che il Dio vendicatore mi ceda il suo posto per punire i malvagi!»
« Io! Conduco la vita più felice che conosca, una vera vita da pascià; sono il re del creato: se mi piace un luogo, mi fermo; se mi annoio, riparto; sono libero come un uccello, come lui ho le ali; le persone che ho intorno mi obbediscono a un solo cenno. Di tanto in tanto mi diverto a prendermi gioco della giustizia umana sottraendole un bandito che sta cercando, un criminale che insegue. Poi, ho una mia giustizia personale, bassa e alta, senza proroghe né appello, che condanna o assolve, e che dipende soltanto da me.»
« Io sono uno di quegli esseri eccezionali, sì, signore, e credo che fino a oggi nessun uomo si sia trovato in una condizione simile alla mia. […] Il mio regno è grande come il mondo […]: io sono cosmopolita. Nessun paese può dire di avermi visto nascere. Dio solo sa quale contrada mi vedrà morire. Adotto tutti i costumi, parlo tutte le lingue. […] Dunque capirete che non essendo di nessun paese, non chiedendo protezione a nessun governo, non riconoscendo nessun uomo per mio fratello, non uno solo degli scrupoli che fermano i potenti, non uno solo degli ostacoli che paralizzano i deboli, può fermarmi o paralizzarmi. Ho soltanto due avversari, non dirò due vincitori perché riesco a sottometterli con un po’ di tenacia: la distanza e il tempo. Il terzo, e il più terribile, è la mia condizione di uomo mortale. Soltanto questa può fermarmi nel cammino che percorro, e prima che abbia raggiunto il mio obiettivo; tutto il resto, l’ho calcolato. I cosiddetti capricci della fortuna, cioè la rovina, l’imprevisto, l’eventualità, li ho tutti previsti; e se qualcosa può colpirmi, niente può abbattermi. A meno che non muoia, sarò sempre ciò che sono.»
« «Signori – disse il presidente quando fu ristabilito il silenzio, – ritenete il BARONE GERVASIO LADRO DI GALLINE colpevole di fellonia, di tradimento e di indegnità?»
«Sì» risposero con voce unanime tutti i membri della commissione d’inchiesta. »
« Tu strapperai i denti al drago, tu calpesterai i leoni, ha detto il Signore. »
« I due aiutanti avevano portato il condannato al patibolo e là, malgrado i suoi sforzi, i suoi morsi, le sue grida, lo avevano costretto a mettersi in ginocchio. Intanto il boia si era messo di lato con la mazza sollevata; poi a un suo cenno i due aiutanti si spostarono. Il condannato volle rialzarsi, ma prima di averne avuto il tempo la mazza si abbatté sulla sua tempia sinistra; si udì un rumore sordo e cupo, il condannato cadde come un bue con la faccia a terra e poi, per il contraccolpo, si rivoltò sulla schiena. Allora il boia lasciò cadere la mazza, prese il coltello dalla cintura e con un colpo solo lo sgozzò. Quindi salitogli sul ventre, si mise a pestarlo con i piedi. A ogni pressione un fiotto di sangue sprizzava dal collo del condannato. »
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