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C’è ancora qualcosa di nuovo da cercare nell’arte?

di Brigida Di Leo

Oggi sembra essere sempre più difficile cercare qualcosa nel campo dell’arte, soprattutto se si procede attraverso i canoni tradizionali, dal momento che tutto sembra essere stato visto, o fatto. Quando fecero  la loro apparizione le prime istallazioni, le prime performance,  si ebbe la sensazione   che  un fermento fin troppo rivoluzionario si fosse diffuso nell’ambito artistico   e che la commistione di generi,   che prevedeva mezzi e materiali inusuali, dovesse portare al caos  completo  ed alla cosiddetta “morte dell’arte” e, soprattutto, lasciare  il tempo che trovava.

Si è poi   creduto, ed   oggi è una delle tendenze più diffuse, che l’arte  si dovesse cercare soprattutto nelle istallazioni multimediali, che svincolano  completamente dall’impegno   di aprire  un dialogo  tra l’arte cosiddetta  “ufficiale” o, come si diceva un tempo, “maggiore” e le cosiddette “arti minori”, tra le avanguardie  ed il kitsch,  tra l’arte e la quotidianità. A proposito di kitsch, ma anche di quotidianità, vanno ricordate le opere della serie Banality, realizzate alla fine degli anni ottanta da Jeff Koons ed esposte alla galleria Sonnabend di New York, alla Donald Young di Chicago ed alla Max Hertzler di Colonia. Le opere appartenenti alla serie sono sculture provenienti dal mondo del kitsch: realizzate in porcellana o legno dipinto, rappresentano un grande orso di peluche che abbraccia un  bobby londinese, Michel Jackson con il suo scimpanzé Bubbles ed un’immagine di Playboy con una donna in una vasca da bagno con la testa tagliata. Per questa serie Koons aveva preparato delle pubblicità per alcuni giornali, in seguito aggiunte alle opere in mostra, in cui egli veniva ritratto in situazioni verosimili, ma passibili di interpretazione o di giudizio, che dovevano suggerire quali sarebbero state le reazioni alle sue opere. Il suo rapporto con la quotidianità è evidente: dopo gli anni novanta l’artista si propone di cancellare i confini tra apparenza e realtà, tra arte e merce, tra superficie e profondità. In questo periodo comincia a lavorare con Ilona Staller, conosciuta attraverso i giornali pornografici che Koons acquistava per studiare come rendere   più tonalità possibili di pelle, quando stava realizzando la serie delle Banality. Nelle opere più recenti ha reso pubblico il privato, appellandosi al senso di non-colpa, di non-vergogna ed ha fatto  un’azione radicale:essendo stato tacciato di pornografia, ha affermato: “Io mi occupo del soggettivo  e dell’oggettivo. Il modernismo è soggettivo. Io uso il modernismo come metafora della sessualità senza amore. Il sesso con l’amore è uno stato più elevato, è uno stato oggettivo…nelle mie opere c’è comunque amore: questo è il motivo per cui non sono pornografiche”

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