A Roberto Freak Antoni

Antonio Picariello

 

Nella lingua russa “verità” e “giustizia” sono indicate con la stessa parola: “pravda”. Dostoevskij spezza idealmente ciò che nella lingua russa era unito. Nel romanzo di Dostoevskij, il personaggio  Ivan rifiuta la fede e di conseguenza rifiuta  l’immortalità dell’anima. Camus si chiede: “se rifiuta l’immortalità, che gli rimane? Soppresso il senso della vita, rimane ancora la vita. […] Ma vivere è anche agire. In nome di che? Se non c’è immortalità, non c’è premio né castigo, né bene né male. […] Tutto è lecito. E con  questo “tutto è lecito” ha inizio la storia del nichilismo contemporaneo”. (“CriticaMente” Alessandro Palladino)

Ieri alla notizia della morte di Freak Antoni, l’amico del Dams negli anni 70/80, avrei voluto scrivere qualcosa poi, come Ivan, mi sono detto che scrivere adesso non avrebbe senso se non per una lugubre maniera di poter “dire la mia”. Dire la nostra è diventato il diritto mai acquisito di una democrazia andata a male, lasciata nel barattolo dei sottoaceti con il coperchio aperto su cui hanno agito le particelle dell’aria ricamando una magnifica reticella verdognola  che il linguaggio comune chiama muffe. Tutti ci sentiamo in una democrazia ammuffita che non serve, avrebbe detto Freak,  neanche a  Fleming per farne della  penicillina.  Adesso sembra che la ripetizione ossessiva del poter dire tutto e il contrario di tutto abbia prevalso sulla nobile arte, l’arte della demenzialità intelligente da lui inventata. L’arte di Freak Antoni tradotta in genere musicale e espressa  in letteratura poetica che ha generato condivisione felice nelle società di giovani  post-77.  Forse  perché nell’età adolescenziale e  post adolescenziale la libertà di essere demenziali è una forma di rappresentanza che mette magia nelle comunicazioni senza senso ed è strano riflettere che un semiotico “largo” come freak addetto alla ricerca del senso, abbia trovato sostanza e concretezza sociale nell’invenzione cantata  del “non senso”. La demenzialità esprime  modelli della comunicazione di cui Freak era a conoscenza perché il giornalista Roberto Antoni era laureato al Dams di Bologna; l’università avanguardista in Europa e concorrente con gli USA per aver forgiato attraverso il suo massimo rappresentante, Umberto Eco, la scuola di semiotica  interpretativa. Da questo punto di vista Roberto Antoni  era più vicino alla  pioneristica amabile “Sociosemiotica” francese di Roland Barthes che alle  strutture ontologiche  di Levi-Strauss e forse da questo punto di vista riusciva anche a incontrarsi, senza volerlo, con la visione del suo professore. Lui che aveva scelto una tesi di laurea intitolata “ Il Viaggio dei Cuori Solitari: temi fantastici sulle canzoni dei Beatles, e che aveva avuto per relatore Gianni Celati lo stesso criminal prof che ha dato anima creativa alle visioni scritturali di Enrico Palandri, Vittorio Tondelli, G.R.Manzoni e altri divulgatori liberi della scienza damsiana. Tutta questa scienza era infusa, per formazione obbligata, nell’anima di Freak Antoni che aveva capito che l’unica vera qualità comunicativa doveva essere data dallo spettacolo improvvisato a base circense, come l’antica maniera della Commedia dell’Arte, e le parole dovevano assumere una significazione della strada, un linguaggio comune come una pacca sulla spalla tra amici ubriachi degni di una verità semantica separata dall’imposizione delle regole dettate dalle  strutture sociali. Freak ha  incorniciato nella massima eleganza dello stile demenziale, lo stile dei giovani post 77 che a Bologna, città magica e segreta, conoscevano il fantastico tramite il racconto delle nonne quando cullandoli  gli facevano apparire due   leoni in gabbia nei giardini margherita, ( questa faccenda dei leoni me l’ha raccontata lui che abitava a San Giovanni in Persiceto, aggiungendo  che  amava la natura proprio perché sua nonna gli parlava sempre  della città ). Le generazioni che seguivano la visionarietà di Freak sembravano  apparentemente prive di fede come Ivan in  Dostoevskij; generazioni giovani che rinunciano all’immortalità per una formula semplice che si  traduce nella semplicità di poche frasi: “mi piacciono le sbarbine”,  “Non c’è gusto in Italia ad essere intelligenti”.  Poi anche le generazioni del demenziale sono passate all’età della ragione come,  molto tempo prima dell’arrivo degli Skiantos,  raccontava la voce classica di Marcuse. E allora  la verità che nella lingua russa condivide con giustizia lo stesso termine Pravda, può anche raccontare la storia strutturata dai libri nelle vicende fantastiche del Novecento russo diventando “La Pravda”   del Partito Comunista dell’Unione Sovietica.  Verità e Giustizia che urlano salvezza dal boccale ricoperto di muffa conciliano i racconti della nonna sui leoni dei giardini margherita, e le informazioni televisive intrise di pubblicità e demenzialità accettata. Penso al mio amico Freak mentre in tv scorre  in diretta l’americano perfetto  linguaggio del giovane Renzi, e poi quello coerente e strutturale di  Cuperlo che del Dams Bologna è un eminente esponente. Penso a Freak che dice : “Nelle nostre canzoni esistono due livelli mescolati; quello alto, escatologico, di impegno politico, e quello basso, scatologico, gergale… Ma la poesia ci insegna che non ci sono parole proibite, è che solo la retorica le divide in auliche o di basso livello. Ed è proprio la retorica, intesa atteggiamento di supponenza ed ipocrisia, che rende volgari le cose”. Poi canta e recita poesie- “Se sei muto ridi con gli occhi, se sei cieco ridi con la bocca. Se sei muto e cieco c’è ben poco da ridere”. Ciao Freak.