Dom 13 Ago 2006
Roberto Cotroneo; le strategie del “veccio” per governare il nuovo
Posted by Antonio Picariello under arte/teatroNo Comments
La sinistra e il cinema hanno sempre avuto un rapporto stretto, controverso, e talvolta schizofrenico. Stretto perché dalla seconda metà degli anni 40, con la nascita del neorealismo, il Pci capì assai bene il potere immenso che poteva avere il cinema sugli strati popolari e operai. Un potere pedagogico e qualche volta un potere dottrinale. E questo valeva per il cinema assai più che per la letteratura, che rimaneva una pratica d’élite.
Sul cinema la sinistra ha litigato per cinquant’anni, e sul cinema si sono incontrati e scontrati mondi, e sono stati commessi dei delitti intellettuali consapevoli e talvolta feroci. Attraverso il cinema si sono aperti e saldati nuovi e vecchi conti, si sono lanciati anatemi, si è combattuta una parte di quella guerra fredda culturale su cui ancora ci sarebbe molto da scrivere e da scoprire. Per cui critici come Guido Aristarco, per fare un nome su tutti, erano capaci di ignorare intere parti di cinematografia mondiale, ad esempio quella americana, come se il cinema in America non fosse mai esistito.
Con gli anni, venuti meno i dogmatismi, abbandonata l’idea che il cinema sovietico e dei paesi satelliti, fosse il punto di riferimento più importante per chiunque si avvicinasse all’arte cinematografica, diminuite le ristampe einaudiane (e di Editori Riuniti) delle lezioni di regia di Eisenstein, o degli scritti sul cinema di Bela Balasz, si è proceduto a tutte le riabilitazioni possibili. La prima fu quella di Totò a opera di Goffredo Fofi e Franca Faldini, le ultime, quelle dei b-movie a opera di Marco Giusti, con la collaborazione esterna di Quentin Tarantino.
Il cinema non era più diviso in quello epico e retorico utile alla consapevolezza delle masse, ma era tutto quanto si poteva rileggere in una chiave inedita e diversa, anche quando si trattava di spazzatura, o poco più. Così tra un capolavoro di Truffaut, i Disperati di Sandor di Miklos Jancso e un reazionario Bunuel, trovavi anche il modo di dibattere su Lino Banfi, o rivisitare gli anni dei telefoni bianchi.
Nasceva e si imponeva sempre di più l’intellettuale da cineforum. Che negli anni Settanta, per la mia generazione, era addirittura un tipo fisico, e su cui, con citazioni su citazioni, si sono girati molti film, a cominciare da Nanni Moretti per finire con The Dreamers di Bernardo Bertolucci. La diversità tra il letterato e il cinephile era marcata. C’era una bella differenza tra il tenere in tasca i «Cahiers du Cinéma», e tenere in tasca riviste letterarie come «Paragone», «Nuovi Argomenti» o «Aut Aut». Il cinema era moderno, il cinema era politico, il cinema era denuncia, il cinema era anche scandalo e trasgressione, ed era capace di aprire scenari su cui la letteratura arrancava, se andava bene. E il cinema era «star system» (oggi spesso è solo starlette), mondanità , e dentro questa cornice era soprattutto quell’evento inventato dal fascismo (che capì in anticipo su tutti la forza mediatica dell’ottava arte) che è la Mostra del Cinema di Venezia.
Solo che con gli anni è accaduto qualcosa che forse non era prevedibile. Il cinema è tornato a essere dogmatico, chiuso e conformista. E quello che sta accadendo con la Festa del Cinema di Roma lo spiega assai bene. Ieri, il Corriere della Sera titolava: «Festa del cinema a Roma, i mal di pancia della sinistra». E metteva in evidenza il fatto che molti critici cinematografici, e molti cinephile dei giornali di sinistra come Liberazione e il manifesto, hanno espresso fortissimi dubbi sull’iniziativa romana targata Veltroni-Bettini. In realtà il Corriere della Sera tra i giornali con il «mal di pancia» mette anche l’Unità , ma commettendo un errore. l’Unità non ha mai polemizzato con l’iniziativa di Bettini e di Veltroni, anche se ha pubblicato un articolo dello scrittore Antonio Scurati dove si esprimevano, ma con pacatezza, alcuni dubbi sulle conseguenze che l’iniziativa di Roma porterebbe alla storica Mostra di Venezia. Però è vero che gli altri giornali della sinistra si sono espressi in modo assai più netto e polemico; perché Roma, secondo loro, metterebbe a repentaglio il prestigio e l’importanza della Mostra del Cinema di Venezia.
Tutto questo ha un assunto di fondo. L’iniziativa di Roma sarebbe proprio un’operazione di potere contro Venezia, un’operazione di potere voluta dal sindaco Veltroni, che come tutti sanno, è un appassionato di cinema. Però, il sindaco Veltroni è un uomo di sinistra, ed è di sinistra il senatore Goffredo Bettini, che della nuova Festa del Cinema è il presidente. Magari sono entrambi più di sinistra di Marco Müller. E in questo non c’è nulla di male. Il Corriere, reputa che tutto questo è un affare di famiglia, dentro la sinistra. Ma non è così. Tutto questo ha a che fare con un’altra storia.
Il mondo del cinema è in questo momento il più chiuso e il meno rinnovato che ci sia. Negli anni i critici letterari si sono succeduti, con generazioni che si sono confrontate una con l’altra. Curiosamente erano più moderni i critici che parlavano di letteratura, che i letterati che scrivevano i libri da recensire. Per cui certe volte era più piacevole leggere i recensori che i libri recensiti. Caduta la sacralità della terza pagina, tutta una serie di rigidità , di filologismi inutili, si sono sciolti come neve al sole. Con qualche eccesso, forse. Ma così è stato. Nel cinema è accaduto il contrario. Mentre con molte fatiche, e qualche caduta, il cinema italiano, cercava strade nuove, la critica cinematografica prendeva due direzioni lontanissime. Da un lato un giornalismo di settore che privilegiava lo star system e sostanzialmente il gossip, come un rotocalco esasperato. Dall’altro un mondo assolutamente autoreferenziale, e inaccessibile dove si entra per cooptazione. Insomma, i critici cinematografici sono sempre gli stessi e da troppi anni. E c’è pochissimo spazio dato ai più giovani.
Quando i più giovani trovano questo spazio è perché gli viene concesso dai senatori della critica, che preparano la loro successione scegliendo i delfini che dovranno un giorno, assai lontano, sostituirli. Tutto questo però dimenticando un piccolo dettaglio, che dettaglio non è. Le direzioni dei giornali, non tutte ma la maggior parte, hanno una spiccata antipatia per il cinephile, e una grande simpatia per quelli che fingono di scrivere di cinema ma fanno gossip, nel segno dello spettacolo. Come tutti sanno, il gossip fa vendere copie. Quindi alla fine i critici non vengono sostituiti, o vengono sostituiti con figure a cui viene dato poco spazio, e scarsa autorevolezza.
Risultato finale: sono più moderni, più spregiudicati gli accademici dei Lincei di certi critica cinematografica. Diventata di un conservatorismo sorprendente. Per questo la storia della Festa del cinema di Roma non va giù a nessuno. Come è possibile che fuori dal Lido possa accadere qualcosa? Quel Lido dove i critici sono riveriti, coccolati e incensati come delle star d’altri tempi?
Però ormai è il cinema a essere il protagonista di questi anni. E a Roma hanno visto giusto. Di Festival del Cinema è pieno il mondo. E gli eventi culturali non sono come due panetterie aperte sulla stessa strada che si fanno concorrenza a vicenda. Ma più idee ed eventi ci sono, e più si spera di trasformare questa Italia in qualcosa di meglio di un paese culturalmente marginale e ininfluente, come da un decennio a questa parte è diventato.
Ma per i mandarini della critica cinematografica questo conta poco; contano molto di più vecchi schematismi che non rendono giustizia a uomini intelligenti come Müller. Conta il fatto che i mal di pancia sarebbe meglio farseli passare. Soprattutto a sinistra. Venezia, se è Venezia come tutti pensiamo, saprà difendersi da sola. Se non ci riuscirà vorrà dire che qualcosa già non funzionava. Forse ci vorrebbe un Bersani anche per la cultura italiana, che sia cinema o editoria. Proprio questa dogmatica e baronale cultura italiana che, sorprendentemente, diventa sempre più il peggior ostacolo alla vera modernizzazione di questo paese, una modernizzazione su cui Prodi e i suoi hanno appena iniziato a lavorare. Ma questo è un altro capitolo sulle contraddizioni di questi anni, ancora tutto da scrivere.
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