Dom 20 Ago 2006
Da qualche tempo memore delle passate e roventi polemiche surrealiste degli anni trenta e togliattiane degli anni cinquanta mi chiedevo se si può dedurre dall’arte contemporanea attuale un dato, un sunto di natura ideologica, sia esso di destra o di sinistra. E rimuginavo fra me e me che è difficile stabilire oggi cos’è di destra e cosa di sinistra di fronte all’uso democratico dei mezzi ed alla loro estensione pratica ( si pensi al grande uso della fotografia e al mercato delle macchine fotografiche, ad esempio).
Allora la domanda che mi si poneva alla mente era: i mezzi giustificano sempre i risultati? Così passando l’estate. Ma nell’ultimo numero di Juliet Art Magazine un articolo riportava in apertura una citazione di Toni Negri che trovai illuminante, lì per lì, ma che mi pareva destrorsa nelle sue conclusioni implicite.
Vi si sosteneva che ” Uno dei fenomeni più stucchevoli del nostro tempo è che tutti si credono artisti, tutti pensano di possedere uno sguardo che vede al di là della superficie del mondo che ci circonda. Ma non bisogna confondere una capacità reale, una continuità progettuale, un’attitudine a confrontarsi con la realtà , con i piccoli sogni che si fanno appena c’è un po’ di sole.” (Antonio Negri: Il Ritorno, 2003). Ringrazio seriamente l’estensore dell’articolo per avermi regalato questa perla!
Finalmente un po’ di chiarezza nella totale confusione che permea il mondo dell’arte pieno di neòfiti che ritengono tutti di essere artisti e pensano che basti possedere un pennello, una digitale, o una telecamera per sentirsi tali. Ricordo che in Sussurri e Grida, il grande Bergman, descriveva una borghesia svedese emancipata dedita a far dipingere per passatempo le proprie donne, mogli o ragazze che fossero; così come Rudolf Steiner insegnava arte-terapia ai suoi nevrastenici nelle beauty farms di fine Ottocento.Questo “confine”, fra operatività creativa a fini personali e/o arte, in questi anni di racconto intimistico si è andato perdendo a favore di un sentire pubblico emozionale dove tutti si raccontano in foto, in blog o in video, senza più quella forza propulsiva iniziale di uso di uno strumento che sentivi obbligato a indagare il diverso: l’altro, che si trattasse di te o del tuo simile, e quindi strumento forzato ad un uso rivoluzionario. (interessante a questo proposito il dialogo fra Heidegger e Junger a proposito dello sviluppo delle percezioni psicologiche nei confronti della cosa in sé in ” Oltre la Linea”, Adelphi editore)
Oggi, l’uso facile di droghe, così come l’esempio di un Presidente Usa che mette fra le gambe un sigaro ad una ragazza con l’imitazione dello stesso gesto da parte di chiunque porta alla conseguente perdità di senso del fatto stesso. Non a caso le religioni hanno introdotto la ritualità del culto mantenendone il mistero. Arte come religione allora?
Sembrerebbe portare a questo anche il ragionamento di Toni Negri e quindi ad una visione di destra che come discrimine impedisce a tutti l’uso e l’espansione democratica dei mezzi di attuare e progettare l’arte e la creatività fantastica propria!
Qui mi ha sorretto una lettura recente di un articolo di Norberto Bobbio, un padre del liberalismo nostrano, dove sostiene sinteticamente: “Il liberalismo è un universo di “mura”, ciascuna delle quali crea una nuova libertà . Qualche esempio: le mura che sono state innalzate tra Chiesa e Stato hanno consentito la libertà religiosa …ancora: la separazione fra vita privata e pubblica crea la sfera della libertà personale” .
Così non è nel mondo arabo o nel mondo israeliano dove l’elemento religioso permea la vita pubblica e sociale, ad esempio.La separatezza quindi , il muro della divisione ideale, crea l’attitudine critica al progetto e la sua differenza funzionale nel sociale.
Boris Brollo – www.borisbrollo.it
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