articolo verrilli.jpgbevo solo due volte al giorno durante i pasti e dopo i pasti olio su tela 80 x 100 cm.jpg

mi prude il ginocchio olio su tela 120 x140cm.jpgalfonso olio su tela 100 x 140.jpg

Igor Verrilli; Meraviglia e continuità di senso

Non è la prima volta che incontro e scrivo per Igor Verrilli. Credo questa pratica amicale e sentita duri da qualche lustro. L’inizio. L’incontro e la sua espressività, mi meravigliò nell’uso che il poeta barocco Giambattista Marino intendeva con questo verbo a suo tempo. È già questo sostrato “empatico” sarebbe stato sufficiente a farmi restare incantato davanti alla sua veloce creatività. “E’ del poeta il fin la meraviglia[…]chi non sa far stupir vada alla striglia”. Discendendo, virtualmente tra le maglie del tempo storico, passando dall’anima estrosa del Barocco al Manierismo disciplinatamente tecnico, con Verrilli, si entra nella dimensione magica dell’alto Medioevo. Il gioco ironico tra parola e icona, tra immagine letteraria del titolo e percezione visiva della figura, ricondotta all’incontro con lo spettatore contemporaneo, sublima, in senso prettamente “gestaltico”, il linguaggio di un’epoca cronologicamente superata, ma rigogliosa e latente ai presupposti “vichiani”, imposti dalla fibratura iniziatica del nostro millennio e dal pionierismo secolare che ci tocca vivere per combinatoria cosmica. Le “madonne” diventano segni fisognomici che trattano temi e strane parossistiche filosofie che a volte “tangono” semanticamente perfettibili neologismi della significazione strutturando uno stile riconoscibile, anche “con leggerezza per la simpatia espressiva”, e diffuso dalla notorietà acquisita per abbondante carriera da Verrilli. La grassezza, la smorfia, la gola, la lussuria, lo spettacolo, il gioco, l’ironia (appunto), il desiderio, la vanità, l’incesto, traslano dalle pagine liturgiche, che comunque Verrilli non scoraggia di adornare con le riprese “grottesche”, alle inquadrature pittoriche, che, per scelta disciplinare in omaggio all’azione formativa delle buone accademie, “si realizzano” in olio e classicità imbevuta di fantastico fiabesco, ilare e provocatorio, “dianetica”. Dalle ritrattistiche nordeuropee, al partenopeo vigoroso e salubre, Igor Verrilli, riassume meccanicamente la devozione archetipale sfruttando, nel sapere pluridisciplinare, tra sentire musicale e conoscenze scientifico-anatomiche, il vuoto narrativo che, in questo momento storico, affanna il senso latino e mediterraneo. Si separa dalle accelerate ricerche e improvvisati labirintici linguaggi espressivi che viaggiano in massa nei luoghi deputati alle presentazioni, e rientrano come modelli eretici, nel sistema divampato delle canonicità ufficiali. Le opere toccano il battito cardiaco della nostra percettività, sfiorano i sogni messaggeri della “freudianeità”,provocano il nostro profondo essere “shakespeareiano” e ci ritornano nel percettivo sensoriale, nella realtà, in forma di gioco del buffone che esorcizza le regole silenziosamente imposte del dramma esistenziale. Paura e ricchezze sfogano il rituale desiderio del togliere e dell’avere, con un approccio della ritrattistica oltrepassante le sfide dirompenti delle prospettive fotografiche. Il bianco e nero della pellicola realistica predigitale, spara nel segno ad olio i risvolti occulti della percezione retinica; l’occhio focalizza gli estremi, la gestualità involontaria, il lacanismo, il lapsus psicanalitico, l’automatismo della smorfia, il linguaggio del corpo distaccato dalla canonicità degli stereotipi comportamentali, diventando, nelle opere, verità assolute e confessionali. Poetica Verrilliana, ironica provocazione filosofica ed estetica. “Questi lavori, che sono sul catalogo, sono quelli che andranno in mostra e sono i lavori eseguiti nell’ultimo mese e mezzo. Come puoi vedere c’è sempre il fattore bianco e nero che mi permette di ottenere effetti tecnici diversi e a mio modo di vedere da un area di sogno ai miei personaggi. Fisicamente si sono ingranditi come puoi vedere dalle misure, volti enormi oggetti di consumo “molisani” ingranditi a dismisura. Sicuramente non è un punto di arrivo, ma una nuova partenza o ricerca e me ne accorgo io stesso ad ogni opera che finisco, perché c’è sempre qualcosa, l’immagine, la postura o qualche semplice pennellata che mi apre un nuovo mondo pittorico e che mi fa essere “contento di non essere contento” delle mie opere spronandomi quindi a continuare.

La mia intenzione è sempre quella di dire le cose e mettere in evidenza cose che con la mia poca dialettica non so dire, e sono sempre più convinto che l’unico modo per riuscirci è creare un gioco tra figura e titolo a volte l’una felice e l’altro caustico e a volte l’una infelice e l’altro ironico. Spero di essere riuscito a farti capire qualcosa, ma d’altronde se io stesso avessi capito qualcosa di me e della mia pittura forse non avrei più ragione di dipingere.”