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Sabrina Raffaghello, nell’ambito della programmazione 2005, presenta il progetto di una mostra personale di fotografia d’arte contemporanea. La mostra presenta i diversi cicli fotografici dell’artista che illustrano la produzione di questi ultimi anni: Apparenze, Arcimboldi, Ghost, Ibridi.

Barbara La Ragione sconvolge il vedere nel senso estetico della bellezza, ne ricostruisce un’altra apparente, vericitiera in cui i sensi sono catturati da un’impercettibile sensazione di disagio che produce una sorta di realta’ mostruosa.

Il diverso costruisce l’intimo clonato dalla parte nascosta, uno specchio magico che come un caleidoscopio ricompone e mostra quello che mai si vorrebbe vedere: l’alter ego, il doppio mascherato, ove la maschera diventa il simulacro delle emozioni e la parte oscura il tramite di un viaggio spirituale, attraverso le sensazioni e le immagini del nostro vissuto.

Questa sorta di bestiario immaginario celebra persone, cose e animali immortalandoli in una dimensione sospesa, elevandoli a una condizione di demiurgo in un mondo delle idee ove ogni canone ragionevolmente prefissato viene aborrito.

Una volta entrati in questa realta’ composita superato la naturale soggezione provocata dall’austerita’ delle atmosfere, dall’eleganza delle composizioni quasi monocrome si entra in un’atmosfera magica sospesa tra Oz e il mondo gotico di Mary Shelley.

LOST
Molta parte del dibattito sulla fotografia ha riguardato uno degli aspetti piu’ intrinsecamente legati alla concettualita’ del mezzo stesso, e cioe’ il suo essere un attestatore di verita’, una traccia, un brandello di realta’ congelato nel tempo.

Ben presto, poi, ci si rese conto di quale portata potesse avere questo aspetto per gli sviluppi di un’arte, quella contemporanea, sempre piu’ irrequieta, perche’ fu proprio da qui che ebbe inizio tutta una serie di ricerche che avrebbero avuto l’obiettivo di far cortocircuitare in maniera sempre piu’ evidente questa pretesa di verita’ con immagini assolutamente estreme.

L’emergere di un’urgenza nei confronti di tematiche sociali, invece, fece comprendere quanto fossero necessarie immagini dirette, crude anche, e forti insomma al punto tale, da generare una reazione attiva. Fu cosi’, allora, che nacquero il reportage e la fotografia sociale, ma non solo, perche’ sempre piu’ sembrava essere importante svolgere un’indagine che riguardasse l’essere umano inteso come individuo, come personalita’, ma anche come corpo in relazione con il mondo. Si trattava, insomma, di vedere l’uomo a tutto tondo, un uomo, quello contemporaneo, la cui complessita’ andava man in mano dichiarata, per essere resa meno problematica a livello singolo e sociale. Ma, lo abbiamo detto, la fotografia ha il grande potere di rendere reale un certo hic et nunc, e molti decisero che le realta’ ibride, fisiche o mentali che fossero, andavano mostrate, e fu cosi’ che nacque il filone dei travestitisti, che in Marcel Duchamp, Pierre Molinier, Urs Luthi e Luigi Ontani ebbe tra i suoi piu’ grandi esponenti.

Nel corso degli anni, poi, grazie anche al continuo e inarrestabile progresso tecnologico, molte cose sono cambiate, e l’avvento del digitale ha permesso agli artisti di diventare sempre piu’ demiurghi di realta’ altre e parallele, dove una dimensione onirica spesso si unisce ad una fantascientifica, immaginaria e animata vita alternativa.

Ora, cio’ che e’ fondamentale comprendere, e’ che queste premesse, vista la loro importanza, sono state assimilate dagli artisti in maniera totale e completa, analizzate criticamente e assorbite anche nelle loro componenti piu’ radicali e rivoluzionarie, sino alla spontanea convergenza in un complesso e raffinato linguaggio, un linguaggio, quello degli artisti di oggi, giunto spesso ad una maturita’ linguistica, stilistica ed espressiva che affonda le proprie origini in una liberta’ culturale che proprio le esperienze precedenti hanno saputo veicolare.

Ecco allora che parlare di Barbara La Ragione ci porta proprio al centro di tale questione, perche’ la genialita’ del suo lavoro comincia proprio da qui, da quella liberta’ artistica, intellettuale ed umana con cui affronta il tema del ritratto, un ritratto che ha tutta la freschezza di un’indagine nuova e autonoma, ma anche la serenita’ di chi sa che voltarsi a guardare cio’ che e’ stato, e’ un bene, perche’ permette di crescere e aiuta a leggere la contemporaneita’ in modo piu’ maturo e responsabile.

Tutto parte dall’accettazione della deformazione, della mostruosita’, di un concetto estetico totalmente al di la’ dei canoni cui i media ci hanno abituati, eppure, nonostante tutto, i personaggi di La Ragione hanno una bellezza accattivante e magnetica, il fascino della diversita’, di una diversita’ che si accetta come tratto caratteristico individuale, unico e irripetibile.

Ma non e’ tutto qui, perche’ le maschere di silicone applicate ai volti, piu’ che nascondere, mostrano, fanno emergere tutta la forza degli sguardi e delle espressioni, fungendo da vere e proprie casse di risonanza dei moti dell’animo, e dimostrando che la deformazione puo’ essere anche un valore aggiunto.

E se questi individui sono persi nella loro condizione di alternativi, lo sono in maniera disinvolta e naturale, in tutto il percorso della loro trasformazione da creature sfigurate, ad esseri via via sempre piu’ incrociati con l’animalesco e con i suoi connotati mitici e fiabeschi.

Quella di Barbara La Ragione e’ la storia, forse, dell’epifania di un uomo nuovo, un uomo capace di perdersi nelle sue componenti piu’ nascoste e difficili, ma anche un uomo che affronta se stesso e gli altri mostrandosi senza timore in tutta la sua verita’, un uomo che non teme lo scatto fotografico, quel rilevatore di realta’, in grado, anche, di amplificare il brutto.

Del resto, poi, il ruolo delle immagini, nella nostra societa’, e’ enorme, ed e’ continuamente accresciuto da una forma sempre piu’ diffusa di voyeurismo, stimolato da quei canoni estetici fondati sulla mostruosita’, e incrementato dal trattamento che l’artista riserva per i suoi personaggi. Certo, perche’ la costruzione delle sue foto risente di tutta quella tradizione che fa capo al ritratto nel senso in cui lo hanno interpretato un certo Giorgione e Tiziano, e poi, massimamente, Caravaggio, una forma d’arte, insomma, scaldata di attributi e sentimenti vivi e palpabili, che diversamente dal ritratto di stato, preferiva soffermarsi anziche’ sugli attributi di rango, su quelli piu’ intimi e caratteriali, e dove il brutto non era ne’ bandito ne’ mascherato. Anche la composizione formale, seppur nella sua disinvoltura, conserva quella patina di ufficialita’ che era stata propria del passato, e che qui, aiutata dalla concettualita’ della fotografia, ha la funzione di congelare nel tempo il ruolo profetico di questi personaggi, che dalle Apparenze, ai Ghost, agli Hybrid, agli Arcimboldi, si dichiarano apertamente in un crescendo di mostruosita’ animalesca. E in effetti, poi, di tutta l’ufficialita’ che ha sempre accompagnato questo genere, rimangono delle altre tracce evidenti, e non a livello formale, perche’ le cornici, quelle splendide cornici napoletane che fanno parte della tradizione, sono corpo unico con le foto. E allora, in questo gioco di rimandi storici e culturali tra passato e presente, fare un discorso sul tempo, diviene fondamentale, perche’, se da un lato la fotografia e’ stata piu’ volte definita come un attimo congelato di memoria, dall’altro un movimento temporale c’e’, ed e’ un movimento complesso, nel suo creare una traiettoria tra la storia della cultura e quella dell’intimo e personale sviluppo che ha fatto dell’uomo un essere moderno. E se poi, a tutto questo, sommiamo anche un’idea di spazio ingannevole nel suo manifestarsi come uno sfondo piatto, ma vorticoso nel suo attivare circuiti emozionali e cerebrali di una certa elaborata raffinatezza, allora avremo chiarito almeno qualche aspetto, avremo dato qualche piccolo indizio per poterci avvicinare con la mente sgombra da condizionamenti, a quella storia che narra lo sviluppo di una coscienza del se’ e del proprio relazionarsi con essa, perche’ e’ anche questo che fa Barbara La Ragione, ci mostra la sua versione di una possibile antropologia contemporanea.
Elena Forin