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Quia Dixi di Marzio Rosi accoglie il dinamismo contemporaneo con gioia, dispiega, nello spazio breve della forma canzone, tutta la forza dell’elettropop, spinge il gesto compositivo verso la frontiera, sempre gravida di conseguenze e di provocazione, del cross-over linguistico.
Il punto di partenza, il Quia Dixi di Orlando Di Lasso, compositore fiammingo tra i più proliferi, vissuto tra il 1500 ed il 1600, è di per sé un luogo lontano. Ma non nella mente. Almeno non in quella di un progettista di nuovi paesaggi sonori nei quali è possibile, a patto di creare efficaci codici di significato, ricomporre passato e presente.
Marzio Rosi entra nella dimensione tipicamente rarefatta di un brano polifonico di ispirazione religiosa con la forza di uno spostamento d’aria che disperde o trasforma.
La polifonia si sbriciola per lasciare il posto ad una caleidoscopica visione di sovrapposizione di elementi di natura diversa : polifonia di timbri, di ritmi, di stili, di significati veicolati attraverso cellule di testo .
Il messaggio contenuto nel salmo (il XXXVIII delle sacre scritture) rimane così al centro anzi è rafforzato; la declamazione melodica svetta su strati di colore che, pure addensandosi, conservano la loro distinguibilità . Anzi, la vaghezzadel canto rinascimentale, che consegna parte della propria intellegibilità al gioco delle voci, è ora ricomposta nell’incalzante groove delle percussioni che apre alla dimensione del parlato e alla contaminazione del testo come anche agli “a solo” strumentali che sconfinano, con il loro sottile richiamo alla mistica sonora del Coltrane di ” A love supreme”, nel libero sermone improvvisativo.
Una nuova spiritualità, ancora una volta sospesa, questa volta grazie ai contrasti, nelle cui pieghe, nei cui respiri il corpo elettronico tenta di inserirsi creando interferenze, discontinuità, fratture temporali.
Una spiritualità segnata dal presente.
Massimiliano Fuschetto  su Konsequen