anche lo «studio dell’uomo» e lo «studio dei popoli», ossia l’antropologia e l’etnologia, andarono perdendo, sin dalla seconda metà dell’Ottocento, ogni connotazione filosofica e si andarono costituendo come scienze autonome, con propri metodi di indagine e con proprie «delimitazioni di campo».

A questa conversione diede un notevole contributo l’evoluzionismo, che influenzò direttamente l’opera di Morgan e indirettamente quella di Lévy-Bruhl.imahome.jpgimahome.jpg

Lewis H. Morgan (1818-1881), la cui opera La società antica fu oggetto d’attenzione anche per Marx ed Engels, sostenne le seguenti tesi: le società umane si evolvono; storicamente è rilevabile un passaggio dallo stadio selvaggio a quello barbarico fino a quello civile; tale passaggio è identico per tutte le società, sotto ogni latitudine; ogni società è caratterizzata da una propria «cultura»; c’è quindi una cultura anche delle società primitive; bisogna parlare allora di una connessione tra forme di produzione, forme di parentela e forme di coscienza civile per ogni società, in qualunque stadio la si consideri.

 

Lucien Lévy-Bruhl (1857-1939), autore tra l’altro di La mentalità primitiva, si dedicò allo studio delle società primitive e del loro tipo di cultura. Egli affermò che l’evoluzione delle società è segnata dal passaggio dalla mentalità primitiva, dominata dal pensiero mistico, alla mentalità evoluta, contraddistinta dal pensiero logico. Allo stato primitivo gli uomini vivono in una condizione di «partecipazione magica» alla realtà, in virtú di un’identificazione di sé con ciò ch’è fuori di sé. Residui di questa mentalità primitiva si ritrovano anche nelle società allo stato evoluto, nella forma di credenze e di fedi religiose.

 

A contestare l’evoluzionismo in campo etnologico e antropologico fu soprattutto Franz Boas (1858-1942), fondatore dell’«antropologia culturale». Egli rigettò la pretesa di usare modelli interpretativi generali per lo studio delle culture e delle società; rifiutò l’equazione tra «primitivo» e «semplice»; rivendicò il carattere specifico di ogni cultura; affermò che ogni cultura è una realtà complessa derivata da elementi «interni» ed «esterni», che nella loro specifica relazione determinano la sua peculiarità; sostenne che per comprendere davvero le culture bisogna procedere all’individuazione e all’analisi di tali elementi e dei loro rapporti. È evidente che nel suo linguaggio «cultura» non è da intendersi come l’opposto di «ignoranza»: essa è il complesso delle attività e delle produzioni che l’uomo, in quanto essere sociale, esprime sia a livello «materiale» che a quello «spirituale».

 

Non ci addentreremo nell’esame dei filoni di discorso sorti dall’elaborazione di Boas; ricordiamo solo che con Alfred L. Kröber (1876-1960) si sottolineò l’«autonomia» della cultura rispetto anche alle condizioni sociali, e la sua «superindividualità»; che Bronislaw Malinowki (1884-1942) mise in rilievo che ogni fattore sociale e ogni istituzione hanno una funzione specifica e diversa nel soddisfare i bisogni della società; e che R.A. Radcliffe-Brown (1881-1955) sviluppò il tema della funzione di Conservazione della struttura sociale svolto dagli elementi costitutivi della società e della sua cultura.

 

All’antropologia culturale si contrappose l’«antropologia strutturale» di Claude Lévi-Strauss (1908), che, autore di Le strutture elementari della parentela, Tristi tropici, Antropologia strutturale, Il pensiero selvaggio, Il crudo e il cotto, coniugò lo studio antropologico con le indicazioni metodologiche dello strutturalismo. Egli interpretò i fenomeni sociali come uno scambio di beni, o culturali, o economia, o sessuali. E fissò anche la distinzione tra storia ed etnologia: la prima non si distingue per l’oggetto di studio, che è lo stesso di quello dell’etnologia, cioè la vita sociale; né per lo scopo, cioè una piú precisa conoscenza della realtà umana; e neppure per il metodo; ma solo per le prospettive d’indagine. La storia ricostruisce utilizzando le espressioni coscienti della vita associata di un gruppo; l’etnologia utilizza quelle inconsce. E queste peraltro non sono private e individuali, ma sono universali e costanti in ogni popolo; sicché tali espressioni sono, e sono da considerarsi, delle vere strutture. E poiché tali strutture sono fatti complessi, per la loro comprensione non si può fare a meno di organizzare la ricerca antropologica su base interdisciplinare, in modo che anche la psicoanalisi, la linguistica, e persino la filosofia offrano i loro contributi esplicativi.

 

In particolare egli si propose «d’interpretare la società in funzione di una teoria della comunicazione». «Infatti le regole della parentela e del matrimonio servono ad assicurare la comunicazione delle donne tra i gruppi, come le regole economiche servono ad assicurare la comunicazione dei beni e dei servizi, e come le regole linguistiche la comunicazione dei messaggi». Pertanto è legittimo «cercare nel linguaggio un modello logico che possa aiutarci, in quanto piú perfetto e meglio conosciuto, a capire la struttura delle altre forme di comunicazione». Tutti i fenomeni sociali, anche quelli delle società primitive, cioè i rituali i miti le pratiche magiche e le attività artistiche, possono essere quindi studiati con gli strumenti linguistici. Essi sono dotati di un’interna razionalità, perché anche nel pensiero selvaggio intervengono, sia pure in modo inconscio, quelle forme logiche che caratterizzano il pensiero evoluto. L’antropologia dunque è per Lévi-Strauss «analisi delle strutture» e pertanto analisi formale, rigorosamente scientifica. La struttura è sempre un fatto reale, ma per lo studioso è un modello teorico, in quanto le relazioni che ne legano gli elementi non sono percepibili empiricamente. Sicché con lo strutturalismo, egli dice, si prelevano i atti sociali dall’esperienza e «li si trasporta in laboratorio, dove li si rappresenta come modelli sistematici di relazioni»; ogni sistema di relazione poi viene considerato come momento particolare di un altro sistema, reale o anche solamente possibile, di modo che si possa individuare «la loro spiegazione globale al livello delle leggi di sviluppo».

 

Non è materialmente possibile analizzare i risultati piú significativi raggiunti nelle altre scienze. Risultati talvolta notevoli. Ricorderemo solo che anche nella biologia c’è stata una «rivoluzione» con la scoperta del DNA e con l’invenzione della tecnica della «clonazione» che ha aperto una nuova prospettiva, indicata come «ingegneria genetica», che certamente influirà sul nostro futuro.