di Guido Zingari  Il dono e l’Occidente. Conversazione su un gesto inspiegabile
In questa fase della sua speculazione filosofica Guido Zingari cerca di smascherare attraverso il ragionamento aperto alcune perversioni del pensiero occidentale, in particolare di quello filosofico. Il tema del “dono” è oggi tra i più abusati e travisati, c’è un abisso incolmabile tra l’idea del dono e la sua pratica. Tra il concetto di dono slegato da un ritorno utilitaristico e l’idea di dono come strumento di potere e di distinzione sociale. In queste conversazioni Zingari ripercorre una storia ideale del concetto di dono, tracciando un sentiero esplicito tra occidente e resto del mondo, tra pensiero filosofico e tradizione teologica, dicotomie importanti per rinvenire una radicalità autentica nella spontaneità del “dono”.
“La storia del dono è la storia della sua degenerazione. L’idea alta, regale, del dono è stata trasfigurata nei termini semplicistici, banali e volgari di oggi. Sembra quasi che la nostra mentalità non sia capace di guardare e approfondire il senso di questa idea e di questa pratica”.”Nella filosofia il dono è stato sostituito dall’interesse, questo è un fatto che non può essere contraddetto. Anche la stessa pretesa dei filosofi moderni di indagare sulle facoltà conoscitive ha portato, per esempio, a un allontanamento progressivo dalla spontaneità. L’interesse per il dono e per la gratuità si è spostato piuttosto nell’arte. La filosofia ha lasciato il posto all’arte. Oggi nell’arte certamente noi abbiamo il riferimento più forte a ciò che è libero e creativo. Cosa ci potrebbe essere di più vicino?”
Guido Zingari (Roma 1949) insegna Filosofia del Linguaggio presso l’Università di Roma “Tor Vergata”. Ha pubblicato diversi saggi tra i quali: Leibniz, Hegel e l’idealismo tedesco, Mursia, Milano, 1991 (tradotto in lingua tedesca); Oscenità interiori. Verità ambigue e retoriche perverse, Costa & Nolan, Genova, 1996; Il pensiero in fumo, Costa & Nolan, Genova, 1999; Speculum Possibilitatis, Jaca Book, Milano, 2000.
Guido Zingari, Il dono e l’Occidente. Conversazione su un gesto inspiegabile, le nubi edizioni, Roma 2005

lucien Lévy-Bruhl (1857 – 1939).
La teoria del “prelogismo” dei “primitivi” elaborata da Lucien Lévy-Bruhl si pone in totale distacco rispetto alle teorizzazioni dell’evoluzionismo e si colloca, invece, in una dimensione di consapevole e radicale relativismo culturale. Per Lévy-Bruhl il contesto etnologico si configura come totalmente altro rispetto all’Occidente. In base alla teoria del “prelogismo”, i primitivi sarebbero caratterizzati da una struttura psichica in cui non vige il principio di non contraddizione, e in virtù della quale la loro mentalità, il rapporto soggetto/mondo, il rapporto naturale/sovrannaturale, sono differenti dai nostri. Per Lévy-Bruhl è dunque metodologicamente sbagliato utilizzare le rappresentazioni collettive dell’uomo occidentale per interpretare sistemi logico-culturali affatto diversi. Al contrario, rifiutando l’impostazione eurocentrica, “l’attività mentale dei primitivi non sarà più interpretata in partenza come una forma rudimentale della nostra, come infantile e quasi patologica. Apparirà anzi come normale nelle condizioni in cui essa si esercita, come complessa e, a suo modo, sviluppata.
La teoria del prelogismo costituisce il filo rosso che lega le maggiori opere di Lévy-Bruhl, da Les fonctions mentales dans les sociétés inférieurs (1910) a La mentalité primitive (1922), fino a Le surnaturel et la nature dans la mentalité primitive (1931).
Le rappresentazioni collettive dei primitivi – a differenza di quelle dell’uomo culto occidentale, dominate dal principio dell’identità personale rigorosamente distinta dalle altre individualità e dal mondo fisico -, sono dominate dal concetto di labilità, di fluidità, e hanno alla base quella che Lévy-Bruhl definisce “legge di partecipazione”. Secondo tale legge, lo stato mentale dei primitivi è caratterizzato da un’estrema intensità emozionale che induce ad una costante partecipazione mistica con l’universo. Il primitivo “sente” ciò che lo circonda come attraversato da una forza numinosa fluida, fisica e psichica. I confini che nel nostro mondo isolano nettamente l’uomo dall’ambiente esterno, la natura dalle forze soprannaturali, lo stato di veglia dallo stato di sogno, nel mondo primitivo sono estremamente labili o inesistenti. Dunque la mentalità primitiva, più che rappresentare l’oggetto, lo vive e ne è posseduta.
Parimenti la personalità è rappresentata come energia, qualitativamente identica a quella che promana dagli animali, dalle piante e dalle cose, e i suoi limiti, nella mentalità collettiva, sono labili, tanto che l’identità personale non è incompatibile con la dualità o la pluralità delle persone. Spesso le esperienze di compartecipazione mistica del primitivo, largamente documentate da Lévy-Bruhl, si riflettono nei miti. Nelle rappresentazioni collettive dei primitivi che fanno da sfondo all’esperienza reale, c’è fluidità anche tra il piano sacro e il piano “profano”. La sovrapposizione dei due piani rappresenta la norma. Non solo: il piano sovrumano finisce per calamitare interamente l’anima e la mente degli uomini. Le forze soprannaturali cingono in un perenne stato d’assedio l’esistenza umana e ciò fa in modo che la religiosità dei primitivi sia di stampo totalmente mistico, mentre le operazioni magiche hanno lo scopo di mediare la sfera delle potenze occulte.
Di fatto, come osserva Marcello Massenzio (Massenzio 1998), nella visione che Lucien Lévy-Bruhl ha del mondo dei “primitivi”, l’uomo come soggetto di cultura finisce per sparire del tutto, poiché i margini di intervento culturale sulla natura sono completamente annullati.
L’ambiente scientifico del tempo, caratterizzato da un’impostazione razionalistica di tradizione illuministica, reagì molto negativamente alla proposta teorica di Lévy-Bruhl. Émile Durkheim, sostenitore dell’unità dello spirito umano e della sua omogeneità in tutte le epoche, evidenziò come nella vita quotidiana i primitivi applicassero una razionalità pratica del tutto simile a quella che governa le azioni di tutti gli uomini della terra. La forza delle argomentazioni indusse col tempo Lévy-Bruhl a recedere dalle sue posizioni più estreme, e a rivedere completamente le sue precedenti teorie, come si constatò dopo la sua morte, in una serie di quaderni che contenevano gli appunti dello studioso stesi nell’ultimo periodo della sua vita, i Carnets, pubblicati postumi nel 1949.
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