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L’Arte Contemporanea non chiede autorizzazioni alle istituzioni per esistere e avvenire. Sono le istituzioni che dovrebbero garantire all’arte, alla cultura dell’arte, la possibilità di poter esistere nella funzione di costruzione della coscienza collettiva e dell’ identità universale di un popolo. Istituzioni che nel settimo anno del terzo millennio non hanno ancora capacità di distinzione, che mancano del più elementare “basic” essenziale per poter garantire alla cultura italiana la sua prestigiosa esistenza. Dichiarano, apertamente, senza vergogna, come è in dote solo all’ignoranza e all’ignavia, di possedere un livello conoscitivo inferiore al livello conoscitivo in dote alle generazioni medievali. La performance del genio che ha trasformato in pochi attimi l’acqua raccolta nella vasca della Fontana di Trevi, è operazione tra le più qualificate nell’intelligenza creativa dell’arte italiana. Il messaggio è semplice e genuino manifestato con uno stile che da sempre distingue le caratteristiche, il carattere vero e proprio, dell’inventiva nazionale. La Fontana di Trevi è un simbolo della qualità ideatrice italiana inserito nel patrimonio artistico dell’umanità. Esporla alla storia contemporanea solo per i suoi richiami turistici significa darle la parvenza di un oggetto con funzione di soprammobile a cui, ogni tanto, attingono alcuni uomini e donne “della strada” per raccogliere monetine lanciate nella vasca dai passanti inconsapevoli, devoti alla bellezza, ma istintivamente vocati alla richiesta di benevolo auspicio rivolto a Dei sconosciuti. Sono gesti antropici che si rivalgono di antiche maniere etnologiche tipiche di una certa arte etnica africana collocata e diffusa geograficamente a Sud del Sahara. Rituali che veicolano la richiesta sublime alla fecondità; preghiere subliminali per poter proseguire la linea di continuità generazionale che appartiene alle magie del tempo e ai fantasmi del luogo. Sono imploranze silenziose ordinate dalla gestualità inconscia manifesta in azioni collettive acquisite che chiedono, nella sostanza soggettiva, di non voler rimanere “rami secchi” nella rete esistenziale modellata dal reticolo generazionale contemporaneo. La monetina, il denaro, è il seme più desiderato per la sopravvivenza della specie. L’acqua è genere femminile, la vasca “sono” ovaie. Il resto è facilmente collegabile, anche per semplice analogia concettuale, al suo processo. Sappiamo anche che Il genius loci non vive solo nello spazio di una località, ma esiste e persiste anche tra le “molecole animate”, apparentemente statiche, degli oggetti; nelle architetture, nelle maschere lignee o delle “forme” della cultura materiale del culto. Aristotele distingueva due grandi classi di scienze. Quelle che hanno come oggetto il necessario e quelle che hanno come oggetto il possibile. La Fontana di Trevi oltre la bellezza incarna tutta questa magia che oltrepassa la rappresentazione simbolica aprendo l’accesso, il canale, come gli altari nelle cattedrali, all’incontro tra l’umano e il divino, sebbene l’umano abbia prevalentemente caratteristiche occidentali. Ma il culto occidentale si è anche dotato, da oltre un ventennio, di un pensiero scientifico che conferma e assolve il “ritorno” come qualcosa di fondamentale al valore esatto dell’essere vivente che “rivitalizza, ripercorrendolo, il suo percorso storico” rimettendogli verità e vita con la semplice rinascita dell’irreversibile trasformato in reversibile. La “Poietica” è, in qualche modo, il termine che designa questa fenomenologia. Per Aristotele il concetto di poietica era molto legato a quello di tragedia. La poietica, infatti, la si può estendere a qualsiasi forma di creazione artistica. È la conoscenza che genera qualcosa. Precedentemente Gorgia aveva enunciato che in assenza di un modello da imitare (per lui l’essere non esisteva e tutto era falso), l’artista è colui che crea nuovi mondi ed è tanto più bravo quanto più riesce ad ingannare gli spettatori. Per Platone, invece l’arte e la tragedia erano copie di copie, vale a dire copie del mondo sensibile che a sua volta è copia del mondo intellegibile. A questo si aggiungeva il piano morale in cui l’arte fomenta e stimola la passioni inducendo i giovani (e non solo) ad avvicinarsi ad esse. Poi Aristotele, sempre lui, assume una nuova visione e rivaluta l’arte sotto il profilo ontologico e etico. Se per Platone arte era imitazione di imitazione, per Aristotele la tragedia ha per argomento il mito che racconta cose non vere: i personaggi sono dei “tipi umani”. La tragedia, dice, descrive il verosimile. Non ci dice cosa ha fatto quella determinata persona in quel frangente, ma cosa farebbe qualsiasi persona in quel caso e a quelle condizioni. Ci presenta, così, non il vero, la verità, ma il verosimile. Per un pensatore che considerava vera scienza la scienza dell’universale e non del particolare. La tragedia e l’arte hanno una valenza conoscitiva migliore della storia che racconta casi particolari e non universali. “La tragedia è imitazione in forma drammatica e non narrativa di un’azione seria e compiuta in sè attraverso una serie di avvenimenti che suscitano pietà e terrore e il suo contenuto è un mito. Da qui in poi si rivaluterà completamente l’arte che Platone aveva disprezzato. L’arte non imita il mondo sensibile, ma le idee stesse; imita l’universale. Nella tragedia vengono messe in gioco passioni negative, spaventose, capaci secondo Platone di “stimolarsi” e riprodursi in chi le vedeva. Aristotele, invece, scopre che vedere in scena certe passioni ha l’effetto di oggettivarle e fare in modo che l’individuo possa riuscire a controllarle. Anche gli psicologi mirano a questo scopo quando i pazienti sono afflitti da ansie. Provano a farle uscire, a tirarle fuori, a far prendere coscienza al paziente delle proprie ansie. Il fatto stesso di poterle guardare in faccia, confrontarsi con esse a tu per tu, consente di controllarle e di razionalizzarle. Vedere sulla scena, in un situazione in cui si oggettiva e si vede con un certo distacco, permette di razionalizzare le passioni. Il gesto dell’artista della fontana di Trevi, è un gesto di onoranza agli dei. È guardare in faccia la decadenza della contemporaneità. Il rosso è il colore tipico, indiano, con cui si ornamentano gli altari dei templi. L’acqua è l’elemento essenziale della vita. l’acqua della fontana è acqua in scorrimento che è, poi, il fiume della Città Eterna, incanalato dalle ingegnerie superbe degli antichi. Appare nella vasca, alle percezioni dei passanti, in forma lagunare per poi defluire lungo il suo corso naturale. Tutto scorre, come un magnifico liquido rosso che si fissa negli iridi dell’umanità mondiale, focalizza nelle immagini, apre inquietudini dovute, smuove le coscienze, chiede perdono agli dei per la stupida superficialità contemporanea, reitera al presente l’anima salubre di Marinetti, poi, riprende il suo corso e scompare nei flussi delle correnti idriche di Roma. Questa è l’Arte….Arte Poietica-Drammatica contemporanea.

antonio picariello