Mer 2 Gen 2008
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La scultura monumentale Angelo custode e le altre creature geometrico-organiche di Mario Costantini
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on le Avanguardie storiche esplose tra il 1909 (nascita del Futurismo) ed il 1924 (affermazione del Surrealismo) – né va sottaciuto l’intermezzo Dada dell’immediato dopoguerra – la Storia dell’arte figurativa non è stata più la stessa (Impressionismo incluso).
L’azzeramento dell’iconografia angelologica consolidata messo in atto da Paul Klee tra gli anni Dieci ed il 1940 (anno della sua morte) con la serie dei circa 50 disegni dedicati ad angeli “più che strambiâ€, è una filiazione diretta del lavoro dissacratorio (ma non per questo sacrilego) portato avanti dagli artisti più rappresentativi della prima metà del Novecento (Pablo Picasso in primis).
Vittime sacrificali dal punto di vista religioso, e nel contempo protagonisti dell’irreversibile svolta modernista, gli scarnificati angeli di Klee, già in molti titoli dati alle opere enunciano un loro diverso modo di essere (più terreno che divino, molto infantile nelle pose, dai tratti alquanto sgraziati e bruttini) rispetto alla tradizione iconografica: Angelo in ginocchio, Presto capace di volare, Angelo pieno di speranza, Crisi di un angelo, Più uccello che angelo, Angelo nell’asilo infantile, Nell’anticamera della società degli angeli, Angelo civettuolo coi riccioli (tutti del 1939) e così via.
Ma la fortuna critica e storiografica spetterà ad un’altra sua opera: l’acquerello dell’Angelus Novus del 1920 eternato, per primo, da Walter Benjamin (il quale lo aveva acquistato l’anno successivo, portandolo poi sempre con sé, alla stregua di un viatico se non di un amuleto, nelle sue errabonde peregrinazioni in vari Paesi europei dovute alle persecuzioni razziali naziste, sfociate poi nel suicidio del 1940), nella nona delle sue “Tesi di filosofia della storiaâ€.
Data la persistente attualità delle sue riflessioni, ho ritenuto opportuno riportare integralmente l’ insuperabile, quanto profetico e lungimirante testo: «C’è un quadro di Klee che s’intitola Angelus Novus. Vi si trova un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l’infranto. Ma una tempesta spira dal Paradiso, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che egli non può più chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo progresso, è questa tempesta»1.
Tornando agli altri angeli di Klee, e collegandoli nominalmente alla scultura Angelo Custode di Mario Cosatantini, vanno precisate due questioni: la prima è che tutti gli angeli, ad eccezione dei quattro disegnati ne La roccia degli angeli (1939) sono sempre ritratti individualmente; la seconda è che esiste più di una versione ispirata al tema dell’angelo custode, quale Sotto custodia d’angelo (del 1931): pur essendo qui raffigurati tre angeli sovrapposti in modo fantasmatico, la resa grafica del corpo è unica (due sole gambe sorreggono il tutto).
Anche la scultura monumentale in pietra bianca della Maiella (di cm. 80x120x180, del peso di ben 20 quintali) Angelo Custode che sarà collocata all’aperto a Penne, nelle vicinanze del Monumento ai Caduti, ha una serie di riscontri semantici con le opere di Klee, ben ravvisabili in questa dichiarazione poetica dello stesso artista: «Presenza imponente, pesante, di una figura che spesso s’immagina eterea. Qui è terrena, colta nell’atto di posarsi, quasi a voler sorprendere gli astanti. La forma plastica ci appartiene e ci fa cittadini della terra; la sua essenzialità ci riconduce al soprannaturale, a qualcosa di pensato e di mai saputo. Anche il luogo è uno qualsiasi: non è concepito né pensato come deputato per l’evento. L’Angelo scende dovunque. […] ».
Ho già avuto modo di scrivere alcune note critiche per altre opere monumentali di Mario Costantini (Uomo tripode, nella collezione del Parco scultoreo della Terra Moretti in Lombardia; The Swimmer, a Montesilvano e Danzatori per la Pace, a L’Aquila, nello spazio antistante il Consiglio Regionale della Regione Abruzzo).
Non sto qui a ripetere le argomentazioni di carattere stilistico di quel minimalismo ideogrammatico da me individuato nella poetica del Nostro. Minimalismo in cui una forte tensione volumetrica di matrice organica (antro-zoo-fitomorfa), riesce a far levitare imponenti masse, quasi che delle invisibili molle elasticizzanti consentano una loro docile espansione nello spazio.
L’Angelo Custode assimilabile somaticamente ad una creatura aliena – piovuta come un monolite dal cielo e planata tra gli umani con le sue vistose ali dalla forma semipiramidale (rovesciata) – sembra, nelle sue movenze, un po’ a disagio rispetto ad una sconosciuta forza di gravità (gli angeli, specchio riflesso della luce divina, sono pura energia fotonica, e perciò non soggette all’attrazione gravitazionale newtoniana). L’ambiguità della sua postura, originata da una gamba avanzata rispetto all’asse cilindrico del corpo, non fa capire chiaramente se la sua venuta sia temporanea o definitiva, nel senso che la divaricazione degli arti può far pensare alla ricerca di un più stabile equilibrio o ad un primo passo diretto chissà dove. In tale evenienza, per indurlo a restare, con quale nome chiamarlo? Ognuno di noi, secondo la cabala ebraica, è protetto dal nome dell’angelo corrispondente alla posizione zodiacale occupata al momento della nascita: cinque gradi dello zodiaco per un totale di 72 angeli. Il nome del mio angelo custode, essendo nato il 19 aprile, è “Lelahel†(Dio lodevole). Il suo, forse, è da ricercare nella combinazione delle lettere alfabetiche degli altri 71: un numero grandissimo, ma la loro pazienza nell’ascoltarci, anche quando erriamo, è sconfinata.
A guardarlo con attenzione, comunque, si nota subito l’efficace incrocio dialettico formale tra le linee rette delle superfici alari e della schiena, e quelle tondeggianti della testa-tronco e delle gambe, il tutto dinamizzato dal felice incastro virtuale di qualche agile massa.
Che il segreto della scultura non consista nelle dimensioni (quasi tutti i monumenti non ancorati allo spigliato lessico avanguardista della Modernità , hanno lo stantio sapore di grevi, funeree statue tardo-ottocentesche), lo dimostrano ad abundatiam le altre opere esposte nella parallela mostra personale dal sintetico titolo Organico-geometrico: qui alcuni disegni preparatori dell’Angelo custode ed altre opere ispirate al tema angelologico o all’inesauribile universo inventivo di Mario Costantini, certificano al meglio lo stato di grazia dell’artefice.
In proposito si osservi l’installazione Angeli divini già proposta recentemente nella mostra dei vini tenuta al Museo di Nocciano (nove artisti abbinati a nove cantine). Sia il titolo dell’installazione, che la bicromia dei tre piccoli angeli in gesso (per metà bianchi nella parte superiore, e per metà color vinaccia in quella inferiore), chiamano subito in causa la componente ludico-ironica, ma anche concettuale, della “leggerissima†poetica dell’artista vestino: i tre Angeli di / vini, anche se un po’ brilli, non rinunciano ad esibirsi, mantenendo del tutto intatto un inappuntabile ritmo geometrico denso di triangolazioni formali ali-gambe davanti allo sfondo scenografico di una fotografia evocante i cieli azzurrati della loro dimora attraversati da metafisiche nuvole magrittiane.
Altri angeli, questa volta graficizzati come Angelo d’oro, Angelo a carboncino, Angelo a sanguigna, completano il coro propiziatorio intonato per l’avvento epifanico, a Penne, de l’Angelo custode.
Le ulteriori creature edeniche geometrico-organiche effigiate nelle altre opere – connotate da un primitivismo segnico e simbolico il più delle volte prelevato dal repertorio iconografico dell’arcaica civiltà vestina – partecipano da protagoniste, e non già da semplici comparse, al coro angelico di cui sopra.
Per tutte, propongo una mia lettura del pannello in ferro Pastorale (cm. 85×335): su una superficie piana, di forma rettangolare e con uno sfondo monocromatico nero antracite (come non citare gli Annottarsi di un Burri?), energetici animali fantastici prendono magicamente vita dai vuoti delle loro sagome traforate ottenute con il chirurgico taglio del metallo mediante luce laser (ancora: come non riandare ai buchi di Fontana?). Anche in quest’opera è il serrato ritmo compositivo delle strane icone, sgranate come note su due linee di un ideale pentagramma, ad andare ben oltre la costrizione bidimensionale: la pelle dei loro cangianti vuoti assorbirà , di volta in volta, i riflessi luministici della parete irraggiandoli, così come fanno gli angeli con la luce primigenia del loro Creatore, in ogni dove.
L’Aquila, fine dicembre 2007/1 gennaio 2008
Antonio Gasbarrini
1 Walter Benjamin, Angelus Novus. Saggi e frammenti, a cura di Renato Solmi, Einaudi, Torino 1995, p. 80. La tesi è preceduta da una citazione di una poesia dedicata al quadro e all’amico, da Gerhard Scholem: «La mia ala è pronta al volo, / ritorno volentieri indietro, / poiché restassi pur tempo vitale, / avrei poca fortuna». Lo stesso Scholem è autore del bel libro Walter Benjamin e il suo angelo (Adelphi Edizioni, Milano 1978), dove sono ricostruite tutte le vicende biografiche e filosofico-ideologiche relative ad alcuni scritti di Benjamin scaturiti dal quadro di Klee. Per inciso aggiungo che nel fondare nel 1988 a L’Aquila il Centro Documentazione Artepoesia Contemporanea, tuttora attivo, scelsi come nome (non a caso) Angelus Novus, e come logo l’acquerello di Klee rielaborato graficamente dall’artista Silvestro Cutuli e recentemente “restauratoâ€, digitalmente, nella stamperia di Claudio del Romano.
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