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imitazione di un macaco neonato – oltre il concettualismo di  Joseph Kossuth

I neuroni specchio si trovano nella corteccia premotoria. Sono stati identificati per la prima volta nelle scimmie agli inizi degli anni novanta; gli scienziati scoprirono che questi animali erano in grado di apprendere una serie di movimenti, e soprattutto di riconoscerli, non solo dalla loro esperienza diretta ma anche dal confronto con altre scimmie o con gli stessi esseri umani. Vale per questi neuroni la regola del “guardare è un po’ come fare”: i neuroni specchio sono infatti in grado di registrare informazioni riguardanti eventi motori anche senza la necessità che il soggetto abbia un’esperienza riconducibile a quell’apprendimento. Questo tipo di neuroni è stato individuato, attraverso prove indirette, anche nel genere Homo sapiens.   L’attività delle cellule specchio, quindi, può essere attivata dalla visione dell’azione compiuta da un altro individuo, come anche da un’immagine statica o persino da un suono collegato ad un’azione. Le cellule specchio svolgono un ruolo molto importante nella comprensione dei comportamenti altrui, fornendo le basi per poter interagire con gli altri. La domanda chiave che si sono posti i ricercatori è se queste cellule siano coinvolte solamente nel riconoscimento delle azioni o anche, in modo più profondo, nella comprensione degli intenti che vi sono dietro. Infatti l’azione implica di per sé il concetto di un agente e di un oggetto, quindi un intento e un obiettivo. Negli uomini, infatti, il sistema dei neuroni specchio sembra sia coinvolto non solo nell’osservazione e nell’esecuzione di movimenti ma anche in processi cognitivi più integrati come il linguaggio, per esempio, o una parte dell’emotività. Proprio perché nei casi di autismo si riscontrano, tra le altre manifestazioni, anche deficit di comunicazione e di comprensione, i ricercatori hanno ipotizzato che un cattivo funzionamento di questo tipo di neuroni potesse essere in parte responsabile del disturbo.

Ecologia Linguistica – Proposta pionieristicamente da Einar Haugen, questa branca della linguistica utilizza la metafora dell’ecosistema per descrivere la relazione e l’interazione fra le diverse tipologie di lingua rinvenibili nel mondo e i gruppi di persone che le parlano. Una sana ecologia linguistica, consistente in un’ampia diversità di forme del linguaggio, è ritenuta essenziale per ecosistemi sani, dal momento che la conoscenza ecologica locale è costruita all’interno delle varietà linguistiche locali.(Mühlhäusler 1995). Un altro importante ambito della ricerca eco-linguistica è quello riguardante la gravissima perdita di diversità culturale – oltre che di biodiversità – dovuta alla progressiva scomparsa di centinaia di lingue o alla graduale perdita della loro funzione comunicativa. L’atlante UNESCO delle lingue in stato di pericolo – più o meno grave e attuale – costituisce da molto tempo uno strumento importante, che ha spinto studiosi e ricercatori ad analizzare cause ed effetti di questo grave fenomeno. L’ecologia linguistica, inoltre, sta tentando anche di fornire utili soluzioni e risposte, sia in termini di documentazione e studio di tante lingue che stanno ormai scomparendo (‘morendo’ insieme ai loro ultimi parlanti), sia di tutela e riproposta di una pluralità di strumenti comunicativi che,altrimenti, nei prossimi cento anni rischiano di dimezzarsi, lasciando a disposizione dell’umanità solo i pochi idiomi dominanti.