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Riscriverebbe ‘La speranza progettuale’, libro del 1970?
Non lo sottoscriverei, e userei la parola POSITIVITA’ al posto di SPERANZA, il principio della speranza utopica è troppo impegnativo, preferisco Jovanotti e il suo “penso positivo”, anche il design non ha più la stessa progettualità di allora.

Il rapporto con il design contemporaneo?
Terreno minato per me in Italia, ma fino a 15 anni fa ne ho scritto, poi sono arrivato a saturazione, non trovando più stimolante la discussione, anche se ho l’impertinenza di vivere a Milano, epicentro di quel che non condivido! La mia tradizione mi fa riflettere sull’aspetto sociale dei prodotti, mentre la linea italiana è quella di aggiungere un dettaglio decorativo; la soluzione, anche in un’ottica ambientalista, è la razionalizzazione estrema, non trafficare l’ideologia del superfluo.
Il femminismo ha avuto un ruolo fondamentale nel design: le donne hanno sempre inviato il messaggio dell’efficienza, gli artefatti per preparare il cibo non sono mai stati chic, ma razionali!

I suoi rapporti con Lucio Fontana a Buenos Aires?
Erano rapporti  di contrasto strettissimo. Allora Fontana non era quello che conoscete voi, era lo scultore ufficiale del regime e noi l’avanguardia, avevamo 22-24 anni. Lui era stato uno scultore astratto prima della guerra, ma di noi diceva che eravamo neoclassici e aveva verso di noi molta diffidenza. Sottoscrisse il Manifesto Blanco con i suoi allievi, ma incoraggiava gli studenti contro di noi. Detto questo Fontana, più grande di noi, faceva delle feste bellissime con donne stupende, e noi eravamo felici di andarci, sempre.

I giovani oggi?
Vedo sofferenza ed umiliazione, non si danno consigli in questi frangenti, dico loro che bisogna stare sotto vigilanza critica, metter attenzione nell’essere positivi ma critici, aderenti alla realtà contemporanea.

Maldonado, argentino del 1922, è stato negli anni ‘40 un caposcuola dell’avanguardia latino-americana, è diventato poi Rettore alla Scuola di Ulm in Germania, ha insegnato in Inghilterra, in America e in Italia, a Bologna e a Milano al Politecnico, dove è stato il motore della cattedra di Disegno Industriale.Adesso, dice Maldonado, ritrovo la pittura, mio antico amore e joie de vivre della vecchiaia.Come spesso avviene nel design, il visitatore ritroverà in mostra vari spunti familiari che non sapeva fossero stati prodotti da Maldonado, ad esempio il logo della Upim e della Rinascente, le collaborazioni con Sottssas quando, come sostiene Cerri, gli artisti portavano tutti la cravatta.Last but not least, Maldonado benefattore ha donato alla Biblioteca della Triennale più di 1.500 volumi, sempre con il suo lungimirante sguardo da educatore.

Tomás Maldonado