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LA MATERIA NELLO SPAZIO URBANO

ANTONIO PICARIELLO

 “Sono invaso dall\'animismo dei fenomeni e delle cose [...]. Quando il battente del mio vetusto armadio si spalanca da sé perché il nottolino rallentato non sa più trattenerlo, mi dico che l\'anima dell\'armadio lo respinge”. Alberto Savinio

L’immediatezza semantica del titolo scatena immagini magiche. Non a caso l’animismo di Alberto Savinio, il vero genio di famiglia, sollecita la corrispondenza metafisica del fratello De Chirico. Le città si animano di materia sospesa e i “dioscuro” esplodono in segni sconfinanti la percezione dei sensi. L\'alfabeto metafisico richiama il Novecento; secolo di avanguardie e di sperimentazioni. Secolo coraggioso costellato di fantasmi generazionali costruttori di continuità di senso incatenati al sistema della provocazione scientifica votata alla ricerca assidua del mutamento; svelare la sostanza del codice attraverso il fremito emotivo e passionale sottratto alla canonicità della struttura organizzata per regole. La fenomenologia dirompe nell’ossatura dell’esperienza trasformando la filosofia in epistemologia. Scienza e natura concorrono alla forma della città che nel situazionismo liberatorio di Guy Debord assumono la dominanza della preveggenza progettuale e una sorta di psicogeografia urbana sfoga le intuizioni strutturali del Bauhaus e di ULM per dare corpo ad un genere di concertazione potenzialmente magico, capace di rinvigorire gli automatismi smorti della conservatoria ordinati per schemi nella coscienza collettiva. La città ritorna pensiero relazionale e l’urbanistica prevede i corpi e le menti che la abiteranno. Le forme attraccheranno alle percezioni per dare senso di continuità alla vita che nel Futurismo del genio di Alessandra d’Egitto collocherà il pensiero elastico per favorire l’ avvento della materia artistica più famosa del XX secolo: L\'orinatoio e una Monna Lisa con baffi e pizzetto. Il ready-made avvinto alle molecole di un attaccapanni o di uno scolabottiglie apre la modernità con il chiavistello del concettuale in cui il pensiero artistico diventa opzione della scelta; individuare l\'oggetto, isolarlo dal contesto clonante della produzione industriale e attribuirgli l’anima affettiva dell’artista. Duchamp-Duchamp come un’icona dei Pink Floyd ispirata alla carta da parati con le mucche di Andy Warhol contrapposte allo stile di vita “classico” formattato dal Rock and Roll degli anni ’50 (l’arte di amoreggiare al drive-in cigolando nella mitologica deux chevaux del 1948) e dare sfogo alla vita libera della cultura Hippy degli anni ’60 sortita dal ventre paterno della Beat Generation. Ma la scienza della significazione (interpretativa, generativa e polare) non applica modelli preconfezionati ai suoi oggetti di ricerca e predilige, per il nostro discorso, l’attenzione analitica a favore della creatività dei fratelli De Chirico forniti di una solipsistica vocazione inconscia capace di anticipare la ricerca del linguaggio scientifico affascinato dai segni organizzatori dell’immaginario. Da qui parte la creazione che trasformerà la teoria in arte modellando la materia nello spazio urbano prima come materia onirica, poi come sistema dell’inquietudine a sollecito di una visionarietà moderata dell’inconscio successivamente ereditata in campo cinematografico ( in omaggio al luogo che ci ospita) da un Visconti magnetico cui i linguaggi degli artisti costruttori di questa mostra, per ovvie ragioni, accettano o rinnegano nel consiglio collettivo delle opere. Si organizza così un discorso euristico in tensione comparativa tra ciò che è stato pensiero storico e la vitalità attiva del pensiero immediato della contemporaneità vivente. Si apre in questo modo una sorta di schermo mentale su cui si proiettano gli scopi dell’arte assistente del dovere di aprire nuove esplosioni nella meccanicità usurante della gora artistica macerata dagli schematismi del sistema mercantile arrivato al limite del senso comportamentale. Pensiero collettivo votato per acclamazione del “possesso” alla prossemica della patologia di massa. Di controcanto il pensiero del Novecento suona nostalgico quando dice: Il nostro spazio urbano, ma verrebbe da notificare anche mentale, è popolato di manichini. Siamo ancora luoghi veri dalla logica impossibile dove non c’è più il tempo, ma orologi fermi e treni che vanno e che non arriveranno mai. C’è un segreto che ci è nascosto. C’è un messaggio che dovremmo capire; scorgere nei colori caldi e immobili, privi di vibrazioni atmosferiche. Siamo in questa luce bassa opposta alle lunghe ombre. Lo spazio, il nostro spazio, si è fatto allucinante. Questa poetica del sospeso imprime la consapevolezza dirompente della nostra attuale condizione mentale messa in ossessione frattale dalla dinamica dei mezzi (messaggio) che ci obbligano a relazionarci con un possibile momento che passa in continuazione sottraendo alla riflessione artistica la biologica condizione del tempo ciclico, rituale, quasi liturgico sostituito da un obbligo direzionale contro cui l’unica maniera creativa del linguaggio dell’arte è quella di trovare continui approdi occasionali per non farsi trascinare nella dispersione del male. Siamo la metafisica dell’algoritmo che ci attraversa continuamente bruciando memoria. Ma “il filtro della mente è l’intuizione del genio” e il desiderio della riflessione viene inibito dalla sfrenatezza imperante negli spazi assurdi delle metropoli verticali cui per emulazione la provincia senza identità fa riferimento. Lo spazio orizzontale è assorbito dalla materia che produce altra materia in un ciclo continuo del consumo di segni, di merci e di senso. I manichini di Ferrara, le muse inquietanti, hanno lasciato il posto ai fantasmi invisibili dell’elettronica e la spiritualità artistica si è ristretta nella protezione soffocante dei confini dell’ “IO”. Su questa scia filologica della casualità storica che arreda la materia nello spazio urbano inteso spazio mentale e creativo, la ricerca pittorica di LINO ALVIANI dirompe dal figurativo per una visionarietà interiore basata sull’intensità cromatica accordando con l’atmosfera pittorica di LUCA BELLANDI alla ricerca di rinvigorimenti dannunziani organizzati tra senso orientale e vita quotidiana occidentale. Apre al segno, grafico, di TONI BELLUCCI erede di una pop art lanciata in divenire nel ventre dell’elettronica. La venezuelana LILIAN RITA CALLEGARI lavora sul percorso criptico come a rivelare segni segreti dello spirito necessari alla vita comune per dare fiato all’arte scultorea, abitualmente inserita nei luoghi sacri, di MICHELE CARAFA discepolo e sviluppatore della migliore scuola offerta dagli artisti italiani. Le figurative opere di CARMA richiedono la predisposizione del sogno e del fantastico per entrare in mondi di cavalieri e figure fantasmagoriche che saldano la velatura mistica delle opere di CLEOFINO CASOLINO, artista portatore solitario di spiritualità nascoste. Tutta la ricerca potente e sostanziale del relazionismo psicomagico di MANDRA CERRONE si sintetizza nell’immagine dinamica, il racconto cinetico di corpi e anime che soffiano nel cuore della contemporaneità. GIUSEPPE CIPOLLONE promuove la rappresentazione pittorica misurata nella città come un antico modello del “Grand Tour” per catturare l’intimità luminosa romana in colloquio con le forme di gioielli in ceramica di ROSSELLA CIRCEO, inventrice di un sodalizio archetipo della scultura orafa sposata alla ceramica. FABIO CONTI della città ne costruisce il senso più alto, organico, rimettendo nel segno e nella forma il silenzio riflessivo della vita urbana cui l’esperienza dell’ assemblage concettuale di GIANCARLO COSTANZO sviluppa in parzialità quotidiane; azioni avvenute, geometrie comportamentali del racconto cittadino per dare spazio all’opera di CLAUDIO DE GREGORIO (COG) ricercatore accanito del senso visivo dettato dal luogo conosciuto dell’infanzia. Stimola la precisione costruttiva delle immagini fotografiche e simboliche di SONIA DE MICHELE capace di estrarre dal luogo o dalla sua ricostruzione artistica, il senso viscerale più profondo che promuove la riflessione delle sculture “concave e convesse” di LUIGI DI FABRIZIO costruttore di forme che captano il senso concreto dell’architettura e intrappolano la luce rimandandola verso mondi paralleli ai luoghi della mente. E la città si ferma come in un ritorno post/metafisico sintetico nell’opera di NICOLAS DINGS che imposta la ricerca frugando il cuore europeo immerso nella transazione del ventunesimo secolo. L’opera di ROBERTA DI PALMA collega il senso globale della visione urbana con l’intimismo incantato del guardare scatenando la performativa forza del colore nelle composizioni cromatiche dei moduli del gioco di CECILIA FALASCA, artista che opera nella funzione sociale rinvigorendo speranze negli ambienti chiusi al pensiero. Così MARCO FATTORI in prossemica sostanziale con la scultura ambientale, rievoca il senso dell’arte concreta sfiorando l’analogia con l’ironia Madì, ma centrando pienamente il senso delle forme nello spazio mentale del nuovo urbanismo. Da qui la volontà esplorativa della città nascosta tra forme ed ombre nella ricerca fotografica di LUIGI FORESE che sventra il riconoscibile attraverso l’intensità sentita dell’immagine ricercata con forza interiore che invita alla pittura di VALERIO GAGLIARDI inquirente di forme e di segni collegati alla spazialità dell’ambiente mentale cittadino. L’abituale tecnica mista di ALBERTO GALLINGANI taglia lo sguardo dividendo la geometria dalla forma in un gesto dinamico atto a produrre nuovo senso spaziale e rimettere la funzione provocante all’opera dedotta dal linguaggio di FERRUCCIO GARD, eventualista collaterale nell’ambito della sezione “Fare Mondi” della Biennale veneziana. Muove la perfezione dell’opera tridimensionale di DANTE MAFFEI la cui intensità della ricerca sollecita il pensiero palpitante e nobile della città contemporanea prestando la linea visiva alla pittofotografica di ANTONIO MASSIMIANI che rimuove i manichini dalla città per inserirsi in un contesto mentale usurato dagli ambienti comuni, condominiali e chiusi e dare sfogo alla pittura geometrico astrattista di MANUELA MAZZINI abituale profanatrice di mondi sottesi alla percezione regolare dettati dagli impianti urbanistici. La materia si fa dinamica e lo sguardo diventa tracciato compositivo alla ricerca dell’equilibrio assoluto tra spazio e forme nell’opera ambientale di CARLO OBERTI che lancia il filo del racconto di questa rappresentazione collettiva alla ricerca votata al femminile nell’arte di MARIA PAVONE dirompente la sensazione di un urbanesimo sospeso tra cielo e terra, ma concretizzato con calibro scientifico nella precisione di equilibrio cromatico in possesso continuativo dell’artista SARA PELLEGRINI la cui forza espressiva incanta e rimanda a riflessioni profonde verso tempi collaterali a quelli abitudinali offerti dal ventunesimo secolo. Il senso dell’immagine fotografica cade perpendicolare alla condizione voluta da OTTAVIO PERPETUA che nell’oggetto mirato trova il punto organizzativo su cui impostare l’equilibrio spaziale moderando la predisposizione all’incontro con l’opera superba e combattiva, scientificamente calcolata da MASSIMO POMPEO per dare lancio all’”archetipismo” sostanziale, patafisico e materico espresso dal navigato artista MAURO REA la cui ricerca scatena dirompenze visive al limite del contenimento per attivare la consistenza della ricerca di FRANCO SCIPIONI e dare modello esplosivo alle opere alimentate dal cromatismo dettato dal blu di ANNA SECCIA, artista che suona il cromatismo giocando con le anime genuine delle percezioni. Da qui al classicismo pittorico di SALVATORE SEME che estrae dalla buona scuola del figurativo l’intensità dei corpi nello spazio evocando una berniniana dinamicità congiunta alla scuola pittorica di Posillipo. L’ architetto-pittore GIANCARLO SERSANTE della città ne fa un respiro cardiaco producendo segni che hanno il compito di ordinare il mentale e che danno spazio all’opera sperimentata nel linguaggio della sintesi cromatica di FRANCO SINISI può volte presentato in altri cataloghi. Così la voce passa alla ricerca sincera e sociale di CARLO VOLPICELLA per aprire il varco visivo verso l’opera scultorea di ANTONIO VILLA che rimette ai gesti quotidiani e alla vita comune delle città il senso profondo e tridimensionale incarnato nell’ esistenza spirituale della forma, rappresentativa del semplice come un atto di preghiera. E l’ invocazione alla spiritualità dell’arte chiude questa rassegna nell’opera di MARIO SERRA artista dal pensiero nobile e colto capace di rimettere nell’ironia il senso maggiore delle forze che concorrono a mantenere l’equilibrio universale. A volte dio a volte l’uomo cantano le vicissitudini delle città e la storia traccia continuità di senso promuovendo il segno come unico elemento che arreda sogni e materia nello spazio dettato dalla vita dell’arte transitante da generazione in generazione alla scoperta delle divinità che la contengono. D’altra parte il presagio e i segni sono l’anima del grande Alberto Savinio che credeva “[…]Anche l\'acquisto di una casa andava effettuato dopo attenta esaminazione dei segni e dei presagi per la metafisica salubrità del luogo. Le città vivono e respirano nei luoghi dell’arte e nell’anima di chi le abita. Il resto, come sempre, è sublime e a volte silenziosa e segreta magia.