“Quella condizione dell’eroe la cui tragedia
non dipende da un’azione compiuta
ma da un’azione da compiere”
…di Maria Pasquale
Una frase, celebre o no, che ti identifica?…
Più che una frase ciò che mi identifica è una “condizione”, l’amletizzazione dell’eroe.
Cioè quella condizione dell’eroe la cui tragedia non dipende da un’azione compiuta ma da un’azione da compiere.

Ci racconteresti come è nato il tuo lavoro?
Non so se sia mai nato, però posso individuarne l’origine.
Erano gli inizi degli anni ‘90, e si doveva decidere come svecchiare il sistema dell’arte.
Ci apparvero due strade percorribili, una era quella della provocazione, dell’ironia, della “presa per il culo”; l’altra quella dell’autonomia nell’autodeterminazione dell’artista.
Parlo al plurale perché nella Bologna di quegli anni passava il cambiamento, ci si conosceva tutti e questa ricerca era comune a tutti.
Avevo lo studio insieme ad artisti poi diventati noti, e tra di essi passava occasionalmente anche Maurizio Cattelan, che non avendo soldi nel nostro studio si appoggiava, la frequentazione mi portò ad essere il suo fornitore ufficiale di idee.
Idee che io non avrei messo in pratica perché ero profondamente dibattuto tra le due strade allora percorribili.

Quanto pensi che la tua quotidianità coincide con la vita artistica?
Più che la mia quotidianità è il tempo che va preso come parametro.
Artisticamente mi occupo del tempo non occupato artisticamente da Duchamp, tanto per fare un esempio.

Qual è la tecnica che preferisci? Puoi illustrarcela?
Non ho tecniche, credo che l’arte, qualora fosse al servizio dell’umanità, ha il compito di elevarne il pensiero.
Non ho tecniche perché non realizzo oggetti,… che tanto servono al divertimento del pubblico.

Nel tuo percorso ti sei ispirato ad altri artisti o correnti?
No mai, la mia ricerca (ricerca da EROE) si lega a ricerche iniziate secoli fa è purtroppo interrotte negli anni ‘70 – ‘80. Pensando all’arte come storia del percorso evolutivo del pensiero umano, in quegli anni, si arrivò al 5° livello, la mia ricerca è superare il 5° livello.
Nessuno lo fa nessuno vuole farlo e chi lo fa è solo, perché anche il sistema dell’arte come gli artisti, più corretto chiamarli creativi, preferiscono lavorare nel più accomodante, rassicurante e deresponsabilizzato 1° livello.

Quale la reazione che vorresti generare con le ture opere?
Ciò che accade ai miei incontri con il pubblico è una condivisione di uno stato, non cerco di distrarre il pubblico con un’immagine, dipinto, scultura, video rassicurante con la conseguente (più o meno) giustificazione. Il mio compito è proporre dubbi e condividerli.

Ogni singola opera ha un messaggio a sé oppure è un tassello di un messaggio più vasto?
E’ un percorso che nasce da una domanda: l’opera d’arte deve necessariamente essere contemporanea (intesa come simultaneità) all’autore?
Io penso di no e quindi “differisco” la realizzazione dell’opera(oggetto) il più lontano possibile da me, spostandola addirittura nel postumo, oltre la mia morte.
Tutti i miei lavori esprimono diversi differimenti temporali.

E’ ORA DI FINIRE IL TEMPO – MICHELE MARIANO

Quale messaggio c’è dietro?
Quello di liberare il tempo.
Se si differisce la realizzazione dell’opera d’arte nel tempo, la domanda spontanea è, cosa si fa nel frattempo?
Non ho ricette o consigli, ma penso che sia necessario, per adesso rendere libero e non occupato questo tempo.
Uno sciopero nella produzione di opere, perché la produzione delle opere d’arte è diventata come la produzione di tutti gli altri oggetti, inutili ed eticamente scorretti.
Lo scopo della produzione di opere, a questo punto è semplicemente continuare a giocare anche nel più smaccato nichilismo, così come accade in una fabbrica quando si assumono operai per produrre qualcosa e, successivamente, si cerca qualcosa da produrre per non licenziare gli operai. Non importa cosa e quale oggetto produrre, l’imperativo è produrre.
Ne consegue che operai occupati producono oggetti eticamente scorretti, inutili e inquinanti.

Qual è il lavoro, o la mostra, di cui vai più fiero e che ti ha entusiasmato di più?
Nessuno. Però quello più conosciuto e complesso è Collage Project, la ricostruzione di uno scheletro umano con le ossa di diverse persone.

Il Molise e Campobasso. Secondo te, quali i limiti e le possibili prospettive?
Il Molise lo vedo, da quando lo frequento, come ottimo luogo di produzione artistica e non come territorio di presentazione di produzioni artistiche.
Penso ai piccoli paesi ognuno dei quali potrebbe mettere in piedi progetti di ricerca innovativi e attraverso residenze ed altre forme di collaborazione, diventare crocevia nel dibattito culturale internazionale.

Se guardi fuori dall’Italia, quali sono le differenze che noti tra la nostra realtà artistica e quella internazionale?
Nessuna, tutti cercano di non affrontare il problema, si continua in una pratica nichilistica, senza voler guardare in faccia la realtà, cioè la fine.
Una fine che a tutti i livelli pervade il mondo…finalmente!!.
Secondo me stiamo vivendo uno dei periodi più belli e interessanti, quello del cambiamento, siamo nell’infimo inizio.
L’infimo è l’impercettibile inizio del movimento del principio opposto e contrario all’egemonia del principio che ha raggiunto la sua massima espansione.
Pochi vedono questo impercettibile movimento, questo segno visibile di ciò che è fausto.
L’uomo di valore non appena vede l’infimo passa all’azione, senza attendere la fine della giornata.
intervista di Maria Pasquale