Luglio 2006


The Angel of the Odd.pdfhitlter cattelan.jpg

Cattelan raggiunge sul piano figurativo l’irresponsabilità creatrice della poesia che caratterizza la strana mucca del sonetto di Jacques Roubaud, il grande Oulipista, in Les animaux de tout le monde.

La
Vacca
È
Un

Animale
Che
Ha
Circa*

Quattro
Zampe
Che

Scendono*
Fin’
A terra

(*Circa quattro zampe quindi che non vediamo salire, ma scendere verso terra con la perfetta logica della gravità.)

Il riso grottesco è sempre fuori tempo e luogo. “L’immagine spazio-temporale fa la capriola e così il suo significato e qualsiasi giudizio” (Bachtin). La parodia delle forze di gravità (para-odos, è storno di direzione) è costante in Cattelan: lo struzzo nasconde la testa sotto il pavimento, da cui emergerà il suo scherzoso autoritratto. Il non sapere si converte in beffarda conoscenza, così come nel grottesco popolare la morte si cambiava in vita. Anche altre installazioni giocano sull’invasione e l’evasione dello spazio espositivo: dall’effrazione della meteorite de La Nona ora, alle lenzuola annodate della fuga del Castello di Rivoli.
Il riso non è spensierato: nonostante l’equivoca definizione “concettuale”, lo spunto di Cattelan viene da un’immagine mentale astratta che poi cerca e precipita i suoi esiti nella lingua condivisa della conversazione (riflessioni, associazioni, critiche, consigli). Si esprime poi nella costruzione di storie capricciose e raccapriccianti (come la donna del lago di Munster) che iperrealizzano mondi possibili. Hanno la struttura delle gag, battuta comica immediata che era originariamente l’interpolazione di un attore nella sua parte, una parola messa in bocca a qualcuno: un excursus e un a-parte. Queste gag si propalano  come voci, (com’é stato il caso di Him e de La Nona ora, rumors che perdono verità, ma prendono verosimiglianza e ritrovano aura nel passaggio bocca orecchio. “La parola di piazza è un Giano Bifronte “(Bachtin).

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Il 29 e 30 settembre 2006 si svolgeranno presso la Centrale di Fies (Dro, Trento) le finali della seconda edizione del Premio Internazionale della Performance, organizzato dalla Galleria Civica di Arte Contemporanea di Trento, in collaborazione con drodesera > centrale fies, il Centro Servizi Culturali Santa Chiara di Trento e l’Opera Universitaria di Trento.
Il primo premio, attribuito da una giuria internazionale presieduta da Valie Export è di 5000 (cinquemila) euro. Saranno inoltre assegnati premi minori. Possono partecipare alla selezione finale gli artisti di qualsiasi nazionalità, provenienti da qualsiasi ambito formativo (arti visive, danza, teatro, musica, letteratura, ecc.), nati dal 1 gennaio 1971.

Il progetti di performance dovranno pervenire via e-mail alla casella di posta performance@galleriacivica.it della Galleria Civica di Trento entro il 30 luglio 2006.

Gli artisti residenti nati e/o residenti nelle province di Trento, Bolzano e Verona e nel Tirolo austriaco hanno la possibilità di una via d’accesso privilegiata alle finali, partecipando alla giornata di preselezione il 16 settembre 2006 presso il Centro Servizi Culturali Santa Chiara. Oltre a du eposti in finale verrà assegnato un premio in denaro di 1000,00 (mille) euro.

Se sei un giovane performer e sei interessato a partecipare consulta il bando dettagliato sul sito www.workartonline.net

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(F.to, a.p.- Spalletti B. Oliva)

Spalletti, Accademia di Francia, Villa Medici Roma
Particolarmente felice è questa occasione di presentare a Roma un insieme di opere di Ettore Spalletti. Fu Plinio De Martis, l’incostante e grandissimo gallerista romano de La Tartaruga, che volle nel 1975 la sua prima mostra personale, quella che per ogni artista rappresenta l’iniziale e salvifico riconoscimento e che gli dà l’ardire di continuare a rivelare il mondo. “Rosso, bianco, verce, bianco, giallo” si intitolava quella mostra nella quale Spalletti, nel clima austero di quegli anni, svelò il colore. Da allora si può dire l’interprete delicato, ma determinato, in tutto essenziale, del desiderio di gioia e di bellezza che alberga in ogni individuo. Il desiderio di felicità, che una lunga tradizione civile ha spogliato degli impulsi distruttivi, trova la meta nelle sue opere portatrici di un’attitudine alla quiete. Ma Ettore Spalletti, con i suoi silenzi, le sue pause, esprime un’attenzione particolare alle cose. I suoi monocromi leggeri, ma profondi, soffici e vigorosi, sono sempre indicativi di una filosofia radicale e assoluta. Le forme che l’estrema purezza rende trasgressive, catturano lo sguardo e offrono un’esperienza rara di questi tempi. Con gentilezza rapiscono, non per inchiodare ad un’incantata contemplazione, ma per renderci capaci di godere di una libertà illimitata.
Il velo di colore che ricopre la tela segna il campo infinito delle possibilità, conduce lontano, fa sognare, senza limiti di spazio, va oltre!…
La sua è una pittura nuova, un’invenzione progressiva. Il colore non si impone sulle superfici negandone la consistenza, il dato fisico. Il colore di Spalletti è un manto che leggero si posa sulle forme, quasi a proteggerle, è una musica che le avvolge. A questa poesia, a questa musica, Villa Medici dedica una mostra e Spalletti omaggia Roma raccontando le tappe del suo percorso creativo. Lo fa come se stesse scrivendo in rime.
“Che cosa significa per te questa mostra a Villa Medici?”, gli abbiamo chiesto. “I rossi di Roma impasteranno di nuovo colore il colore”, è la sua risposta. E alla domanda: cosa si prova a essere artista nei tempi odierni? Lui che distilla la realtà in immagini delicate e purissime, ha risposto dimostrando di accettarla senza condizioni, convinto, forse, di conoscere il segreto per magnificarla: “Vivere e operare nell’età presente. La vita attuale”.
Per questo la pittura di Spalletti si muove, come un adagio musicale viene incontro al nostro sguardo!

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A cavallo tra il declinante evo dell’arte e quello –trionfante- della comunicazione, l’importante non è più creare, ma ripetere con diligenza e divertimento linguaggi già canonizzati e consumati. È in questa elaborazione del tutto postmoderna (o postproduttiva, per dirla con Nicolas Bourriaud) ma niente affatto decadente, non viziosa ma giocosa, nel suo continuo fuggire dai generi, che va cercata l’originalità di questa mostra. Già il titolo –Fast Foot & Shoes– allude alla velocità con la quale viene consumato qualsiasi prodotto, sia esso cibo o spirito, food oppure Art. L’arte consacrata dai musei, costretti a seguire la moda e quindi fashion victims, Fast e quindi veloci nel proporre nuove tendenze, nuove leve, velocità a cui non ci si può sottrarre, a cui non si può sopravvivere se non sovvertendo completamente le regole. Linguaggio e realtà si annullano a vicenda, il gioco di parole del titolo crea un doppio senso spiazzante, un corto circuito del senso basato sulla parodia, sulla risoluzione per eccesso, sulla simulazione come pratica artificiale. Ossessionato dal piede femminile, l’artista lo declina in tutte le immagini che la sua fantasia erotica gli suggerisce, lo moltiplica fino a fare del sesso qualcosa di grottesco e quindi di sovrabbondante. Aggiunge una dimensione allo spazio del sesso, lo rende più reale del reale e in questo modo lo priva di seduzione. È una visione che vuole andare oltre, una visione all’ennesima potenza, che nel suo eccesso di comunicazione rende tutto troppo vero, troppo vicino per essere vero: una pornografia della visione. Non nuovo a questo tipo di provocazioni, per Santolo De Luca il mondo degli oggetti è un teatro fatto di elementi sospesi su uno sfondo senza tempo, inquietante. Quasi volesse esternare la loro enigmaticità e la loro incomunicabilità in una realtà in cui trionfa l’immobilità e il silenzio. Ha privilegiato una pittura dal timbro lucido e freddo, adottando un realismo di matrice classica che gli permette di collocare la sua pratica all’interno della tradizione europea, non pop. In questo nuovo progetto, invece, ha utilizzato una tecnica più immediata, più fruibile: nel passaggio dal disegno al libro su stampa serigrafia, nasce un oggetto in cui ogni pagina può essere un lavoro compiuto. Il bianco e nero del disegno sottrae l’immagine al suo stereotipo patinato, nella sua elaborazione tutto è artefatto, lo sfondo neutro erige a segni gli oggetti puri, isolati dal loro contesto di riferimento. I piedi femminili tutti calzati in tacchi a spillo vertiginosi e sandali incredibilmente sexy rappresentano l’ironia propria del costituirsi della donna come idolo o come oggetto sessuale. È il potere ironico dell’oggetto che la donna perde nel suo promuoversi a soggetto. In questo modo il messaggio acquista leggerezza, senza diventare superficiale ma trasformando la spossatezza e la noia del post-moderno in un gioco vitale. (exibart)

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passeggiando per il mondo, a volte, si incontrano belle figure (Blu, 1998)

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F.to Nicola Di Pietrantonio

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