Settembre 2009


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Corte di cassazione – Sezione IV penale – Sentenza 9 settembre 2009 n. 35030

La frequentazioni di pessime compagnie è una colpa grave nella determinazione del proprio stato di detenzione. Quello della Cassazione sembra quasi un monito ai giovani a non frequentare cattive, anzi pessime compagnie. Perchè se poi la cosa innesca un procedimento penale e fa presumere una pericolosità sociale, non c’è possibilità di essere risarciti per aver patito ingiustamente il carcere. I giudici hanno confermato quanto stabilito dal provvedimento impugnato da un uomo rimasto in carcere un anno e quattro mesi per un’accusa dalla quale era poi stato scagionato. Frequentare abitualmente il mondo della militanza anarchica, scrivere un proclama inneggiante alla lotta armata e alla costituzione di un’organizzazione combattente, secondo i giudici, sono elementi che “delineano un comportamento altamente imprudente e superficiale”, con l’implicita accettazione del rischio di apparire coinvolto in un’organizzazione criminale.

I giudizi dei clienti che hanno soggiornato presso la struttura della città ideale

 

Viaggiatore singolo

Francia

11 settembre  2109

中心街にあり、散策などにはよい立地だと思います。部屋の設備は、新しくはありませんが清潔で使いやすいです。

expo7000:   http://www.mcs.csuhayward.edu/~malek/Java/Magritte.html

車利用だったのですが、ホテル前への道がやや分かりにくく大分時間を要しました。また、18:30着だったのでホテルの駐車場は夜19:30しか開かないといわれました。(昼休みがあるのか、夜しか開けないのかは不明)もう少し事前説明がほしかったです。(結局、ホテル前のスペースにとめろと言われ、バックで移動してとめることが出来ましたが、ホテル側は誘導など一切してくれませんでした)

newell:   ljmp:   petapeta:   hazime1373:   yksk:   kanmei:  (via shantihtown)Foto 83.jpgFoto 82.jpg

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La Perdonanza, l’utopia celestiniana in Ignazio Silone e le disavventure dei poveri terremotati aquilani

 

di Antonio Gasbarrini *

twink:  (via uuiuu)

 

A volte, la vera notizia giornalistica di un evento capitale, quale può essere considerato per i cristiani la celebrazione celestiniana della Perdonanza, o meglio della Festa del Perdono come è più corretto dire storicamente, va ricercata tra le pieghe di un articolo.

Nel caso specifico, mentre ha tenuto banco su tutti i massmedia italiani e stranieri la diserzione dal  corteo e dalla programmata cena conviviale del sig. b. con il cardinal Bertone – con la “Porta Santa” rinchiusagli sostanzialmente in faccia dal Vaticano a causa del killeraggio effettuato nei confronti del direttore de L’Avvenire Boffa da parte del quotidiano Il Giornale di sua proprietà  – è stata pressoché ignorata (a parte la felice eccezione di cui si dirà appresso) una sostanziale variazione al rito dell’apertura di quella Porta appena lambita dalla furia sismica devastatrice delle 3.32. Porta, è bene dirlo subito, non attraversabile da un peccatore “né pentito né contrito” quale si è dimostrato essere il sig. b. nelle sue esponenziali, quanto minacciose e ricattatorie sortite antidemocratiche, ad iniziare dal disconoscimento del fondamentale diritto alla libertà d’informazione.

Eccola trascritta, così come risulta sottolineata con un evidenziatore:«La cerimonia dell’apertura del Giubileo celestiniano si è svolta regolarmente e con due novità: Il cardinale segretario di Stato Vaticano, Tarcisio Bertone, ha colpito per tre volte la Porta Santa (come vuole la tradizione) con un martelletto dorato fatto arrivare dalla Basilica di S. Pietro. Ha sostituito il ramoscello d’ulivo utilizzato per 27 anni; nello sfacelo provocato dal sisma  a Palazzo Margherita (sede del Comune dell’Aquila), quell’oggetto simbolo di pace e riconciliazione non è stato trovato. Ma sarà cercato ancora […]» (Giustino Parisse, Il Centro, 29/8/2009).

Sicché all’ovattato,  pacifista e pacificante “rintocco” spirituale dei tre colpi dati alla Porta da un ramoscello d’ulivo, è subentrato per un’oggettiva necessità, il più deciso, autorevole ed autoritario suono di un martello dorato diffusosi all’interno dell’irriconoscibile, disastrata Basilica con la stessa veemenza di un boato tellurico.

Per capire cosa sia realmente successo dietro le quinte dell’affaire sig. b. – Santa Sede, è sufficiente riandare a leggere alcuni  passi della pauperistica utopia celestiniana  esplicitata ne L’avventura d’ un povero cristiano dal preveggente Ignazio Silone, il quale in fatto di terremoti naturali ed ideologici se ne intendeva, e assai: «La storia dell’utopia è in definitiva la contropartita della storia ufficiale della Chiesa e dei suoi compromessi col mondo. […] Se l’utopia non si è spenta, né in religione, ne in politica, è perché essa risponde a un bisogno radicato nell’uomo. Vi è nella coscienza dell’uomo un’inquietudine che nessuna riforma e nessun  benessere materiale potranno placare. La storia dell’utopia è perciò la storia di una sempre delusa speranza, ma di una speranza tenace».

I fraticelli spirituali aspettavano con impazienza l’avvento del Regno di Dio preconizzato da Gioacchino da Fiore, ovvero: «L’attesa di una terza età del genere umano, l’età dello Spirito, senza Chiesa, senza Stato, senza coercizioni, in una società egualitaria, sobria, umile e benigna, affidata alla spontanea carità degli uomini» (ancora Silone).

Al conseguente rifiuto del Potere da parte di Celestino, ha fatto da “contraltare” proprio nei tre giorni della Festa del Perdono, la forte contrapposizione tra due Poteri (Stato, o per esser più precisi sig. b. e Chiesa).

Mentre per quanto riguarda la Chiesa alla fin fine ha prevalso, su ogni altro interesse, la salvaguardia spirituale dell’insuperato e insuperabile messaggio cristiano sigillato nella Bolla, per lo strafottente sig. b.  è finalmente caduta la maschera “incerata” con cui da vero trasformista alla Fregoli, ha sin qui incantato l’opinione pubblica con le sue reiterate, invereconde e propagandistiche passeggiate negli stravolti luoghi della devastazione e del dolore (tanto per rammemorare: il 25 aprile, Festa della Liberazione dal nazi-fascismo, snobbata per un quindicennio, s’è fatto immortalare nel “sacrario” della martoriata Onna mentre sta indossando il fazzoletto tricolore della gloriosa Brigata Maiella; il giorno dopo vola a Napoli per festeggiare l’ex minorenne Noemi….).  

I suoi posticci sorrisi slargati da mirabolanti promesse sulla ricostruzione della città-territorio mai mantenute (ad esempio il contributo del 100% anche per la riedificazione delle seconde case), sono stati così travolti dalle lacrime “salate” degli aquilani e degli altri credenti che hanno attraversato la Porta inondando, come un torrente in piena, quei cumuli e cumuli di macerie della “loro” irriconoscibile Basilica, caoticamente sparsi in ogni dove come frammenti di meteoriti caduti da un cielo nemico.

Ho già più volte ricordato in altri articoli, come i danni materiali subiti siano stati valutati in 20 milioni di euro; i tempi del ripristino architettonico e del restauro in svariati anni. Ad oggi, a parte qualche marginale sostegno finanziario di questo o quell’Ente, né il Governo, né tanto meno il Ministero per i Beni culturali, hanno avuto la sensibilità istituzionale di restituire alla città, all’Italia e al mondo intero (con un finanziamento mirato), quest’autentico gioiello dell’arte religiosa medioevale- rinascimentale: ma non è mai troppo tardi.

Inoltre, a sentire il Capo della Protezione civile, per fronteggiare i costi della ricostruzione:«Siamo pieni di soldi: 500 milioni dell’Unione Europea, 200-300 milioni con il decreto legge, 125 milioni del Cipe. Il problema non è la mancanza di soldi. Forse dobbiamo migliorare le procedure per accedere ai contributi». La verità è  ben altra. Per la ricostruzione il Governo ha stanziato sulla carta, per il periodo 2009-2033 (vale a dire un quarto di secolo), circa 4 miliardi così spalmati: 69 per quest’anno; 334 per il prossimo; 1896 per il 2011; 1656 per il periodo 2012-2015; la parte restante fino al 2033, anno in cui gli attuali sessantenni-settantenni saranno quasi tutti trapassati a miglior vita.

Dalle strabilianti affermazioni si può dedurre che il dr. Bertolaso, mentre sta de/costruendo, da urbanista più che dilettante, la città con l’evacuazione forzata di circa 15.000-16000 aquilani che entro dicembre dovrebbero essere “smistati” come pacchi postali nella ventina di little towns, confonde le ingenti risorse finanziarie indispensabili per la ricostruzione dei centri storici dell’Aquila e dei borghi o comuni viciniori – valutabili attorno ai 20 miliardi di euro – con i più contenuti costi sostenuti e da sostenere relativi all’assistenza emergenziale per i terremotati (gestione tendopoli, alberghi, autonoma sistemazione, progetto CASE).

Quanto alle improvvisate scelte sino a qui effettuate dal Governo e dalla Protezione civile con l’indecente bagarre finale della più che tardiva chiusura delle tendopoli, della minacciata requisizione degli alberghi cittadini, della improvvida destinazione degli increduli terremotati, siano essi extracomunitari, nella “caserma” della Guardia di Finanza ed in altri alberghi della regione, bene ha fatto il comitato Ara a rilevare come: «Con 838 milioni spesi per tendopoli, alberghi e progetto CASE, ci saranno 16.000 posti letto a dicembre. Mentre gli stessi soldi investibili in moduli abitativi removibili, avrebbero reso disponibili già da settembre 39.000 posti letto». Sta nel succo di queste non-aride cifre, il totale fallimento dei delittuosi quanto miopi interventi post-sisma sino a qui decisi dalla compagine governativa, Dr. Bertolaso incluso.

Per sua stessa ammissione, poi, il Governo ha stanziato striminzite risorse per la ricostruzione 2009-2010, in misura inferiore a quella resa disponibile dall’Unione Europea (dove bisognerà ancora bussare, e con forza, per ottenere il riconoscimento della “zona franca rossa” per la città-territorio  dell’Aquila, includendovi anche le frazioni ed i comuni più vicini, e possibilmente, tutti quelli della provincia inclusi nel cratere).

Perché? Qual è il disegno strategico sotteso alla scellerata scelta di una “definitiva demolizione” del centro storico attuata con pervicacia mediante l’esodo massivo del 20% dei suoi abitanti nelle little towns; con l’altro 40-50% esiliati chissà per quanto tempo ancora negli alberghi della costa e nelle dimore “racimolate” qui e là con l’opzione  dell’autonoma sistemazione; con il mancato riconoscimento del 100% del contributo per le seconde case; con il non-abbattimento delle ritenute fiscali sospese ed una loro differita, lunghissima rateazione; con l’aver dimenticato per strada le migliaia di studenti universitari senza più un tetto disponibile per le loro esigenze, e via  di seguito.

Questa, l’istintiva, paradossale risposta da dare, filtrata in negativo: trasformare il centro storico dell’Aquila in uno dei più importanti siti archeologici post-storici del mondo o in una delle più appetibili aree urbane da svendere, anche se solo “a pezzi”, alle società immobiliari e finanziarie. 

Tornando a Silone, tra i fraticelli spirituali protagonisti di L’Avventura d’un povero cristiano, spicca la figura del giovane fra Clementino da Atri, al quale sono affidate le parole-chiave dell’utopia celestiana, accompagnate da un teatralizzante recitato («Fra Clementino invece resta sull’ultimo gradino, sorride e si sposta da un lato all’altro a passi ineguali, come di danza, guardando il cielo»).

Ed ecco la più rivoluzionaria delle sue massime: «Povertate è nulla avere / è nulla cosa poi volere / e ogni cosa possedere / in spirito di libertate».

Cosa c’entrava e c’entra un bulimico accumulatore di ricchezze qual è il sig. b. – incapace persino di fingere, onorando la promessa di ospitare almeno uno degli aquilani terremotati nelle sue sfarzose ville – con l’altissimo Magistero spirituale celestiniano?  

Silone è sempre vissuto “in povertate” ed ha posseduto, e come!, un vincente “spirito di libertate”, minimamente inficiato dal revisionismo storico in atto, particolarmente feroce nella rilettura biografica della sua straordinarie vicissitudini esistenziali avvenute dentro e fuori le coordinate cristiano-marxiste.

Dopo lo sconvolgente terremoto, gli aquilani stanno vivendo, non già per scelta, ma per decreto di un amaro destino, in crescente povertà: possa il loro comprovato “spirito di libertate” riconquistare almeno gli indispensabili spazi  decisionali occupati da un verticistico Potere autoritario pseudo-decisionista.

Si riapproprino, e subito, della proprietà materiale, civile, culturale e spirituale della “loro città”: gli ospiti, pompieri e “volontari veraci” a parte, dopo aver ricevuto un caloroso grazie per l’assistenza prestata, se ne tornino il più presto possibile nelle loro belle, accoglienti case.  

 

* Critico d’arte – Art Director del Centro Documentazione Artepoesia Contemporanea Angelus Novus, fondato nel 1988 (L’Aquila, Via Sassa 15, ZONA ROSSA). Attualmente “naufrago” sulla costa teramana. antonio.gasbarrini@gmail.com

 

 

 

rapeme:  hey look, i’m flying!!

Il terremoto aquilano e la tomba di Karl Heinrich Ulrichs (Westerfeld 1825 – L’Aquila 1895)

 

di Antonio Gabarrini *

Razzismo e omofobia sono le due brutte facce criminogene della stessa medaglia, come purtroppo avrebbero dovuto insegnarci gli inenarrabili stermini nazisti.

Ebbene, nell’italietta fascistoide, padana ed autarchica del sig. b., proprio in questi ultimi giorni l’emergenza democratica in cui versa il nostro Paese, ha messo a nudo –  con le coltellate e le botte date a coppie di gay, l’incendio dei  loro ritrovi e la probabile incriminazione per il reato di clandestinità dei 5 eritrei naufraghi sopravvissuti alla strage della settantina di compagni morti in mare – tutti i pericoli che stanno correndo i fondanti principi “libertari e di libertà” solennemente sanciti dalla nostra Costituzione repubblicana. In corso di progressiva demolizione a seguito del totale controllo dei mezzi d’informazione di massa e delle leggi ad personam autoemanate dal sig. b., della controriforma scolastica, dell’annunciata restrittiva regolamentazione delle intercettazioni telefoniche, della clericale stesura del biotestamento e via di questo passo.

Pur vivendo personalmente, insieme ad altri 70.000 miei concittadini un’altra terribile emergenza (quella del terremoto aquilano), ho sentito l’obbligo morale di ricordare una straordinaria figura pionieristica battutasi tenacemente ed a viso aperto, nella seconda metà dell’Ottocento, per il sacrosanto diritto della “libertà sessuale”: Karl Heinrich Ulrichs (Westerfeld 1825-L’Aquila 1895).

Il 28 di agosto è ricorso il suo 184° compleanno, da alcuni anni festeggiato dalla comunità gay nei pressi della sua tomba al cimitero monumentale dell’Aquila dove è sepolto. Al brindisi finale dell’irrituale cerimonia svoltasi il 30 u. s., – con una bandiera del Movimento adagiata sulla lapide, oltre ad una sua biografia (vedi oltre), una torta e due bottiglie di vino – ho partecipato anch’io insieme all’editore Roberto Massari, entrambi “eterosolidali” non solo nei confronti degli omosessuali qui convenuti, ma di “tutti e tutte” coloro che nel mondo subiscono vessazioni di ogni genere a causa delle loro opzioni sessuali.

Per Ulrichs, il destino ha voluto che dalla natia Germania approdasse, da esiliato e per ragioni di salute, nella città federiciana dove strinse amicizia con il marchese Niccolò Persichetti diventato presto suo protettore e mecenate.

Proprio al Persichetti dobbiamo le prime  attendibili  notizie biografiche di questo insigne giurista, scrittore, poeta, saggista, giornalista, latinista, amante della natura fino all’ossessione (nel 1889 si immerse per ben 71 giorni diversi nel fiume Aterno, l’ultimo dei quali a dicembre con l’acqua pressoché gelata), riservato e schivo come ogni anonimo viandante battente, senza meta, gli infiniti sentieri di una indomabile e indomita libertà.

Dall’orazione funebre tenuta dal marchese (poi data alle stampe), sappiamo che:«Carlo Arrigo Ulrichs fu di statura media, di fronte spaziosa, dalla quale spiovevano pochi ma alquanto lunghi capelli, di fisionomia seria e marcata da linee perfette, ornato di corta e rada barba, piuttosto secco e debole per bisogni e intellettuali fatiche, vestito d’indumenti forse più poveri che modesti, d’incedere calmo e grave senza affettazione, appoggiato ad un bastone, sempre in compagnia di qualche libro che stringeva sotto il braccio».

Nella puntuale biografia Karl Heinrichs Ulrichs.  Pioneer of the Modern Gay Movemente scritta dall’americano Hubert Kennedy nel 2002, tradotta in italiano e pubblicata per la cura di Massimo Consoli (Massari Editore 2005), sono ripercorse tutte le tappe della sua formazione culturale, della sua innovativa teoria (per quei tempi) del «terzo sesso», dei suoi tentativi di far luce sul labirintico enigma dell’amore «maschio-maschile», dell’imprigionamento subito per le sue idee politiche, dei suoi scritti tesi all’affermazione di una riforma giuridica per l’abolizione della legge prussiana antiomosesuale, della fondazione della prima rivista omosessuale Uranus , e, infine del volontario esilio italiano (1880-1895) quasi tutto vissuto ad Aquila.

Dei suoi numerosi scritti dedicati alla causa degli urninghi o uranisti che dir si voglia (l’accezione etimologica è tratta dal Simposio di Platone, dove è la Venere Urania a proteggere gli amori omosessuali), vale la pena di ricordare i sei opuscoli pubblicati nel 1864-65 con lo pseudonimo di Numa Numantius  sotto l’unificante titolo di Ricerche sull’enigma dell’amore tra maschi, nonché gli altrettanti usciti fino al 1879 con il vero nome dell’autore.

Ad Aquila (così si chiamava ancora la città), oltre a scrivere una serie di racconti fantastici ed altri libri, vede la luce la rivista Alaudae (Le allodole)  completamente in lingua latina, uscita (a partire dal maggio del 1889 fino al 1892 nei suoi 24 fascicoli) per i tipi del locale editore Perchiazzi e poi a Roma editata da  Ermanno Loescher, mediamente con otto pagine a numero, rivista consultabile (prima del terremoto: ci auguriamo non sia stata seppellita dalle macerie), alla Biblioteca provinciale Salvatore Tommasi della città capoluogo.

Su questo importantissimo periodico diffuso da Ulrichs in tutto il mondo per favorire l’avvento di una lingua universale che fosse capace di ricomporre i confusi frammenti sparsi con la distruzione della Torre di Babele, ha pubblicato nel 1995 un esaustivo saggio il prof. Raffaele Colapietra sulla rivista trimestrale di studi demoetnoantropologici Lares (testo ignorato nella bibliografia kennedyana, ma consultabile su Internet).

Particolarmente significativo ci sembra, nei giorni di questa martoriata Perdonanza aquilana che stava sul punto di essere ridotta a cassa di risonanza delle strumentalizzazione mediatiche poste cinicamente in essere dal sig. b. per il suo riavvicinamento elettoralistico al Vaticano dopo le condanne delle gerarchie ecclesiastiche e di gran parte del mondo cattolico per gli arcinoti suoi stravizi sessuali, la descrizione della Festa del Perdono fatta in presa diretta da Ulrichs proprio in Alaudae.

Parafrasa e traduce in proposito dal latino il Colapietra:«Nel dies reliquiarum […] l’accalcarsi del popolo, il suono della tromba, l’accensione della candela sul torrione che affianca la facciata, la lettura della bolla d’indulgenza, di nuovo gli squilli, unus sacerdotum che dall’alto del torrione mostra le reliquie a destra e a sinistra, la moltitudine inginocchiata, l’horror sacro che pervade lo stesso Ulrichs, allorché, accanto al dito di S.Giovanni, è presentata la spina della corona di Cristo […]», mettendo così ben in evidenza le degenerazioni spettacolari nel frattempo intervenute, sostanzialmente ridimensionate nella sobria edizione di quest’anno, la cui matrice spirituale ha aleggiato lungo tutto il corteo costellato dalla spettrale scenografie delle macerie.

In attesa della venuta di giorni meno tetri di quelli attuali marchiati in negativo dal sisma, è perciò auspicabile una ristampa anastatica di Alaudae con relativa traduzione, se non altro per ridisegnare  ex post la straordinaria figura di questo aquilano “ad honorem”, a suo tempo già stimato, per le sue rivoluzionarie idee, dai giovani socialisti della città gravitanti attorno alla rivista “L’Avvenire della democrazia”.

A lui ed al Persichetti si deve, tra l’altro, il lancio di una sottoscrizione internazionale per  l’erezione di un monumento dedicato a Sallustio (attualmente ubicato a Piazza Palazzo), realizzato poi dallo scultore fiorentino Cesare Zocchi, inaugurato però, per una serie contrattempi, solamente nel 1903, cioè ben 8 anni dopo la morte dell’intellettuale tedesco.

A distanza di oltre un secolo dalla scomparsa del Nostro, l’amministrazione civica un paio di anni fa gli ha dedicato l’intestazione di un piazzale nel Parco del Castello Cinquecentesco, saldando così in parte il debito d’onore contratto nei confronti di quest’antesignano dei combattenti per la conquista di basilari diritti civili. L’altra metà del pagamento del debito consiste nel dar finalmente seguito all’abortita interrogazione parlamentare del 2002 diretta all’allora Ministro dei Beni Culturali Urbani (a firma di Grillini, Vendola, Cialente, Lolli ed altri), con cui si sottolineava l’urgenza del restauro del sepolcro.

Il suo attuale più che precario stato, con l’iscrizione lapidea in latino pressoché illeggibile e l’incombente sprofondamento del tutto, impone un risolutorio intervento di consolidamento e restauro effettuabile in concomitanza dei prossimi lavori che interesseranno l’intero plesso monumentale, anch’esso messo a soqquadro dal devastante sisma che non ha guardato in faccia a niente e a nessuno.

Eppure, nonostante la desolante situazione in cui continua a versare l’intera città da ben cinque mesi, la nitida voce libertaria di Ulrichs circola ancora tra quelle ingrigite, paralizzate rovine: «Sono un sovversivo. Mi ribello contro la situazione esistente, perché ritengo sia una situazione d’ingiustizia. Combatto per la libertà dalla persecuzione e dagli insulti. Mi appello al riconoscimento dell’amore urningo. Mi appello a questo riconoscimento da parte dell’opinione pubblica e dello Stato».

Questo passo lo possiamo leggere in Invicta (1865). Da allora è trascorso quasi un secolo e mezzo.

Volare alto, per una città ed un territorio massacrati brutalmente dalla catastrofe del 6 aprile, significa rinsaldare, non solo simbolicamente, i legami storici e culturali con i suoi figli migliori, anche se adottivi, come tale deve  essere legittimamente considerato Karl Heinrich Ulrichs.

* Critico d’arte – Art Director del Centro Documentazione Artepoesia Contemporanea Angelus Novus, fondato nel 1988 (L’Aquila, Via Sassa 15, ZONA ROSSA). Attualmente “naufrago” sulla costa teramana. antonio.gasbarrini@gmail.com

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uccidete i burocrati….prima che riescano a spazzare via l’umanità

machikoma:   clumsy-k:   throwglasspeople:   hypnotique:  khalilwho:  plaidgorilla:  billyjo:  justfritz:  jonwithabullet: LOL     Oh boy. im going to hell now for sure      バカスwwwww

http://it.wikipedia.org/wiki/Arte_contemporanea_africana

(via threeframes)

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http://www.abruzzo24ore.tv/news/L-Aquila-moribonda-un-SOS-all-Europa/12250.htm

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Siamo agli inizi del quinto mese dal rovinoso sbriciolamento d’una intera città e dalla fuga in massa dei suoi abitanti. Il motto più diffuso, variamente utilizzato in questa o quell’occasione, è stato “L’Aquila ferita”. Dalle ferite si può guarire o, invece, morire per infezione: ed è purtroppo questa seconda terribile ipotesi che sta consolidandosi sullo spettrale sfondo della città, la cui fotografia attuale coincide ancora, combacia terribilmente con quella dei nerissimi secondi delle 3.32 (a parte marginali differenze, come la soffocante invasione delle erbacce).

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http://www.gianruggeromanzoni.it/

…il Centro di Ricerca Culturale ABRAXAS si occupa, da oltre un decennio, della cura e della realizzazione di rappresentazioni attoriali, principalmente, e poi di iniziative editoriali, opere cinematografiche, eventi di convegnistica e seminaristica, happening, cura di mostre d’arte, ecc. improntata  sulla continua sperimentazione stilistica e poetica dei diversi linguaggi d’arte . Oggi, la parola ABRAXAS riecheggia a pieno titolo nella mente, in un panorama non più solo molisano, di chi ama il teatro, un teatro che si proietta  in una ricerca di “contaminazioni” artistiche. L’idea della sua creazione come è stata concepita? E come mai proprio quel nome?

Fondare ABRAXAS, come un po’ tutte le idee folli, è stata concepita con un mix di esigenze pratiche, ambizioni, necessità. E il nome prende spunto da un Dio gnostico di origine asiatica. La cosa che forse non è chiara a tutti di ABRAXAS è che non è un’associazione con il tipico impegno da dopo-lavoro, ABRAXAS è una piccola impresa, con un suo fatturato (purtroppo ancora risicato) con sue maestranze, con persone che lavorano in maniera esclusiva e a pieno titolo solo a questa attività. Devo dire che questo è un aspetto che fa la differenza rispetto a qualsiasi altra associazione presente sul territorio, sia (mi si lasci la presunzione) in termini di risultati concreti dell’attività (cosa che viene generalmente riconosciuta), sia in termini di status nelle priorità con gli enti istituzionali (cosa che invece è più difficile da farci riconoscere). 

Ci spieghi meglio

Immagini che in un paese esistano due intagliatori di legno. Uno che lavora solo il sabato per fare le bomboniere per i matrimoni e qualche soprammobile, l’altro invece lavora tutta la settimana fregiando mobili, restaurando statue, ecc. Il lavoro del primo è niente male, abbastanza economico e anche apprezzato, è il lavoro di un ottimo amatore, con il suo talento, ma anche con le sue ingenuità; mentre il secondo è un intagliatore che vive nel legno e per il legno, che popola i suoi pensieri quotidiani solo  su come migliorare le sue opere e come sistemare la segatura che sta riempiendo la bottega. Capita un giorno che la chiesa del paese ha bisogno di un nuovo altare ligneo, secondo lei i due dovrebbero avere la stessa considerazione nel chi deve realizzare l’opera? Chi dei due dovrebbe creare gli scranni? Chi rivestire l’organo? La risposta dovrebbe essere abbastanza scontata, ma qui da noi spesso non lo è, tutto il lavoro verrebbe diviso equamente tra i due intagliatori. 

Quali i progetti a cui sta lavorando ABRAXAS ?

Attualmente l’impegno maggiore è quello di veicolare l’ultimo spettacolo prodotto, “il sonno di Macbeth”, in alcuni festival e circuiti teatrali di riferimento. Nel frattempo c’è in cantiere un progetto teatrale sull’ Acqua.

Jeffrey Hatcher, drammaturgo e didatta statunitense dice “ Credo che ogni buona opera teatrale contenga segreti, sesso, amore, denaro, potere, idee, la potenzialità del delitto, la possibilità della morte e una certa qualità teatrale. Credo che ogni buona opera teatrale tratti della natura umana e delle domande più profonde della nostra anima…” Un commento.

Il teatro genera domande, da risposte.. non lo so. Credo che questi aspetti li possa cogliere lo spettatore, chi fa teatro, chi ne è immerso non vede altro che la necessità della rappresentazione, non cerca altro che mettere sulla scena le sue pulsioni profonde, in scena il suo inconscio, questo chiaramente porta a trattare dell’inconscio collettivo, ma è una conseguenza, non una causa.

La sterilità, l’impotenza, argomenti che emergono chiaramente  nell’opera “ Il sonno di  Macbeth”, in fondo lei li affronta, anche se in misura diversa, in qualche altra sua rappresentazione…, allorquando inscena un grosso fallo come avveniva nei villaggi greci per esorcizzare l’impotenza ed altre situazioni sgradevoli legate al sesso. Dunque, quelli del sesso, della virilità, dell’impotenza, dell’infertilità sono  dei temi pregnanti nel suo cammino artistico-teatrale?

La sterilità della terra, dei rapporti umani, delle energie, del sole, sono il vero percorso che il mondo sta intraprendendo. Stiamo rendendo tutto freddo, glaciale e brutalmente tecnico. Tutto, per essere controllato, prevedibile, diventa sterile, questa è la visione verso cui ci sta portando la modernità. La sterilità e l’impotenza sono temi quanto mai planetari che riguardano la natura della società.

Il teatro, con la tragedia, rappresenta forti , sconvolgenti passioni che dilaniano l’animo. Lo spettatore, immedesimandosi, è come se attraversasse questa tempesta di passioni, la superasse, elevandosi al di sopra di essa,  e quindi si purificasse. Questo sembra essere  secondo l’estetica di Aristotele. E’ forse per sortire questo effetto che lei nei suoi spettacoli consente allo spettatore di prendere parte, interagendo con le sue creature, uomini e macchine affinché formi un’unità indistinta e pulsante? Non solo, lo spettatore da fruitore a soggetto dell’opera d’arte?

Questa è una grande legge del teatro, e Aristotele in questo senso è quanto mai attuale. Tuttavia, come ho detto prima, chi fa teatro non “pensa” a questo meccanismo, lo crea semplicemente, senza raziocinio, perché è l’essenza stessa del teatro, quindi se si fa Teatro si genera questa immersione/elevazione dell’inconscio dello spettatore.

Il bianco, e in special modo, il rosso, squarciano di sovente il nero tenebroso. Nella sua poliedricità  espressiva perché questi colori, e cosa evocano?

Bianco in francese si dice blanche, nero in inglese Black. Alcuni etimologi ritengono che pur appartenendo a due ceppi linguistici diversi, hanno la stessa radice, che significa “senza colore”. In questo il bianco e il nero sono fratelli stretti, sono gemelli che danno il senso di una loro estraneità dalla vita terrena (non a caso sono spesso il simbolo del conscio e dell’inconscio). Il rosso è l’emblema del sangue, delle passioni, della vita dell’uomo. Sopra la dimensione eterea ed estranea del bianco e del nero, si innesta, la pregnanza pulsante della vita.

Mosè, Platone, Dante, che influenza e fascinazione  hanno avuto sulle sue diverse forme di produzione artistica ?

Mosè sicuramente, nel film colossal anni ’70 quando apre le acque e sembra posseduto, Dante per il naso aquilino niente male. Platone invece parla di empireo, della perfezione dell’eros, e di idee immanenti, chiunque fa arte fa un omaggio a Platone.

Qualche giorno or sono, le agenzie di stampa battevano la notizia: Contro la crisi l’arte tira. In piena débacle finanziaria, contrariamente alle previsioni, vi è stato un incremento delle vendite d’arte. Lo affermano gli esperti e lo confermano i dati: all’asta londinese del 5 febbraio è stato collocato  circa il 96% dei lotti presentati. Secondo Sotheby’s Italia c’è stata una ripresa rispetto all’anno precedente : il 4% in più. Cosa ne pensa? Forse sculture e quadri sono considerati innanzitutto investimenti sicuri, che non corrono il rischio di svanire nell’aria, o sono sottese alle esagerazioni: smania di possesso, ricerca di riconoscimento sociale, potere del brand ?

Una volta si diceva che l’arte era come una puttana, visti i tempi si può dire che sia come una escort (costa semplicemente di più).

L’ arte contemporanea, di cui  lei è un  creatore, fa discutere. Le valutazioni hanno preso una corsa al rialzo senza fine. Creazioni oscure e spesso scandalose, di difficile interpretazione, raggiungono quotazioni stratosferiche. Aspirapolvere sotto vetro, squali in formaldeide, medicinali allineati in bacheche. Secondo Robert Hughes, scrittore e opninionista di Time, tutta colpa di uno scenario malato, manovrato da società come Sotheby’s e Christie’s, impegnate ad alimentare un << panorama di stupidità umana, spazzatura e volgarità >>. Condivide?

In effetti è una escort anche meno avvenente della puttana di cui sopra…

Torniamo al teatro. In alcuni suoi spettacoli ha citato, proiettando alcune scene del capolavoro “2001 Odissea nello spazio“, il regista Stanley Kubrick. In che misura  lo ha plasmato? E  a quali altri registi si ispira idealmente? 

Il cinema, nella mia formazione è molto importante, forse più del teatro. Nel senso che ho preso sempre molto da registi cinematografici che da autori specificatamente teatrali. Kubrick, come Lynch, Greenaway e altri, appartengono a quella categoria di “Visionari” sicuramente responsabili, in bene o in male, della mia poetica.

 Anton Cechov è vivo non perché descrisse così precisamente la vita e gli uomini del suo tempo, ma perché ha colto aspetti eterni, peculiarità assolutamente irrisolvibili dell’anima e della natura umana. Lo ha affrontato come regista?

Non conosco il tipo, magari cerco qualcosa su google…  grazie per la segnalazione.

Come considera il panorama teatrale italiano attuale?

Deturpato da ecomostri

Oggi appare  quasi anacronistico parlare di classi sociali. Lei che appartiene al proletariato, crede che stia insegnando, attraverso le tracce della sua arte, qualcosa alla borghesia? 

Io appartengo, come molta parte dei santacrocesi, ad una specie di èlite del proletariato. La generazione precedente ha avuto la capacità di progredire economicamente con il lavoro e con il risparmio, e ha avuto la capacità di preservare i valori tradizionali pur riuscendo ad evolversi nella modernità. Credo sia un motivo di orgoglio per l’evoluzione della nostra comunità. 

Lei ha sviluppato un’estetica ben delineata e la si può riconoscere nelle sue tante rappresentazioni teatrali, essendo viva e cangiante, frutto di energie multiple, mortifere, metamorfosi e numerose e indefinibili caratteristiche, in un continuo divenire, un continuo proiettarsi verso ciò che ancora non è. Questa impronta le ha permesso  di crearsi un pubblico di nicchia, quasi una setta per pochi iniziati , lungi dall’essere pubblico popolare. Come se il suo teatro fosse un baluardo superiore alla portata del popolo, intimorito  da una ritualità che sente lontana. Prevedeva questo esito e farà qualcosa per avvicinare il popolo? 

Non penso mai al pubblico quale limite cognitivo per la creazione. Cerco in qual­che modo, tuttavia, di offrirgli quegli strumenti e quelle coordinate atte a decodificare lo spet­tacolo. Sono profondamente convinto che l’unica modalità per rispettare veramente il pubblico sia quella di non assecondarne i gusti. In ogni caso, nel mio lavoro parto quasi sempre da una pulsione o da un dato estetico. Posso dire che nella mia opera è l’estetica che determina l’etica e molto raramente questo processo si inverte. Anche perché è difficile pensare per me a un mondo ideale nel quale estetica ed etica non coincidano. Solo se penso la bellezza, l’uomo può agire eticamente, quando anche l’assassinio, in tale accezione, può diventare una forma d’arte, così per citare un grande: De Quincey.

L’ultima mostra visitata.

Circa dieci giorni fa. “Cubo” un evento d’arte contemporanea in una cava nei pressi di Ancona.

Quale libro consiglierebbe?  

Tra quelli letti e che conosco sarebbe troppo difficile sceglierne qualcuno. In questi giorni sto leggendo “lezioni spirituali per giovani samurai” di Yukio Mishima. (sarei anche un po’ geloso nel consigliarlo)

Ha mai pensato di creare a S. Croce di Magliano, suo paese natale, un Festival del Teatro di avanguardia ?

Sinceramente ci penso molto. Ma dovranno essere maturi i tempi, sperando che non sia troppo tardi. È’ un tema che bisognerebbe trattare con i politici.

Articolo 21.info, quotidiano on line riporta<< A distanza di 30 anni il nostro Paese,  secondo Olivierio Beha,  sta andando  ben oltre le visioni pasoliniane – definite allora decadenti -. “E’ l’Italia che Pier Paolo Pasolini prefigurava tentando  di esorcizzarla e che invece ci ha travolto”.

In una sorta di mutazione antropologica che Pasolini trasfigurava poeticamente e che oggi è la didascalia di ogni cronaca quotidiana. E sul palco si susseguono le immagini delle mutazioni antropol-genetiche  di “Cafonal”:  specchio riflesso degli abitanti dei “palazzi del potere” dell’epoca di Pasolini e che oggi si ritrovano nel “residence di Italia” dove non è necessario saper fare quanto piuttosto esserci. Il sentimento dominante è l’ansia di esserci di una casta politica innamorata di se stessa>>.  E’ d’accordo?

Pasolini è stato il mio primo grande amore, ho discusso la tesi di laurea su una sua opera teatrale “Calderon”, il mio primo spettacolo teatrale è stato tratto dal  suo “San Paolo”. Una cosa a cui spesso penso, è quella di immaginarmi di sentire la sua voce in questa nostra contemporaneità traviata, da lui profetizzata.

In Italia tutto il teatro è in grave difficoltà, non sufficientemente sostenuto come avviene nel resto del mondo. I teatri , soprattutto quelli istituzionali, lamentano il modesto numero di opere contemporanee presentate, atte a tenere viva  e a soddisfare la curiosità dello spettatore verso nuove proposte e nuovi stimoli.  Cosa ne pensa? E riguardo ai  tagli al Fondo unico per lo spettacolo, in un panorama in cui le imprese del settore non possono dichiarare lo stato di crisi e non hanno cassa integrazione, crede che le ripartizioni debbano essere affidate ad un ufficio fuori dalla politica e dai clientelismi?

Purtroppo in Italia, il teatro soprattutto, è legato a logiche statali…

In occasione della presentazione del libro “Il sonno di Macbeth”,  che si è tenuta il 14 agosto nella  Sala Abraxas, la redazione di Nuovo Molise  ha incontrato il regista Nicola Macolino di  Antonio Petruccelli

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