CRITICA DEL GUSTO TRA I SEGRETI E I SEGNI SCIAMANICI DI GIAN RUGGERO MANZONI

L’Arte di Gian Ruggero Manzoni possiede spirito antico e forza comunicativa contemporanea. Sintetizza l’enciclopedia segreta dei segni simbolici occidentali con un tratteggio grammaticale “Bachelardiano” che ritorna, nella formulazione del sintomo per centrare riflessioni incantate e rimandare sempre a qualcosa di profondo, immaginifico, soggiacente la saggezza del discorso che le opere impegnano nella loro potente funzione di stimolo riflessivo e di magnetico incanto passionale. Il linguaggio preciso dell’artista vincola con leggerezza ogni tipo di percezione naturale, e lo obbliga “a sentire” oltre il piano espressivo e ottico dell’opera. La creatività scientifica di Gian Ruggeri Manzoni esorta ad avvicinare con inquietudine o fervore, secondo la tipologia dell’utente, una specie di meccanismo ermetico che l’artista, per empirismo efficace e esercizio continuo e tenace della conoscenza promuove, offrendo alla collettività visioni segrete, apparentemente semplici, impostate sull’attraversamento, senza timore, della complessità linguistica e operativa dei movimenti avanguardisti del ‘900. La potenzialità e la capacità di poter condensare questi segni in una sorta di nuovo metissage semantico definisce la nuova ricerca e il nuovo linguaggio sistemico di Gian Ruggero Manzoni, organizzato secondo una gradazione simbolica dei segni coscientemente codificata. La lunga esperienza creativa e la vicinanza con produttori dell’arte che hanno vissuto e vivono attenzioni planetarie, consente, all’artista e al critico, una creazione visiva completa, euristica, capace di riportare con impatto balsamico la salute cognitiva dei contemporanei nelle antiche dimensioni medievali; oltrepassare il sistema percettivo simultaneo rilevando i prodromi di un futuribile profetico, collegabili empaticamente con la pratica dell’ironia, alle “percezioni spirituali” retiniche dei contemporanei. In qualche modo nella produzione artistica di Gian Ruggero Manzoni si avverte ancora la presenza di una sorta di “aureola bejaminiana”, distaccata per stile e maniere dalla definizione classica cui siamo abituati, ma comunque corrispondente a qualcosa vicino alle visioni significative e segrete fulcaniane riguardo la potenza occulta contenuta nelle tessiture segrete, franco/germaniche, delle cattedrali gotiche. Questa posizione visuale critica potrebbe scatenare intolleranze retoriche e ossimori esagerati per le abitudini riflessive occidentali, ma la consapevolezza di un pensiero creativo diverso non indebolisce la sincerità del discorso che si struttura sulla conoscenza diretta di tutte quelle forze creative che sono proprie di mondi sottesi alla logica addizionale dei sistemi tecno-industrializzati occidentali. Così ormeggiamo nei depositi accademici la storia comune dell’arte e navighiamo con la fortuna delle zattere emblematiche “géricaultiane” per dare un senso comparativo al contesto contemporaneo dell’arte italiana e sfoderare la visione rivoluzionaria delacroixiane che con l’amico artista modellò i sintomi del romanticismo partendo dall’amore per la modernità e del modello amicale militare e entrare nelle sfere delle divinità etno/sacrali, nei luoghi emanativi di potenze vibrazionali, sciamaniche, cristiane e pagane che hanno modellato il gioco esistenziale delle oscillazioni storico-generazionali fino alla contemporaneità. Queste essenze dell’arte le ritroviamo iscritte nel non visibile, nelle opere -post-cognitive- di Gian Ruggero Manzoni. Bisogna liberarsi della struttura storica artistica a cui siamo stati abituati dalla prepotenza di un rizomatico conveniente modello mercantile più che da un preciso etico e ricercato modello storico esperienziale. Per approdare alla creatività di Gian Ruggiero Manzoni, bisogna osservare il processo evolutivo scatenato in parte dal parente stretto in gradi genetici con l’omonimo cugino che della rivoluzione artistica negli anni sessanta ne fece presupposti avanguardistici che modificarono d’impatto la percezione comunitaria dell’arte e i modelli educativi infilati nelle ripetizioni schematiche degli educatori accademici, considerando anche che la forza performativa che il coraggio cosciente della creatività manzoniana rimetteva al mondo, scaturiva dalla necessità di applicare alla sociologia pesante che in quegli anni andava a riformattarsi, l’idea di una leggerezza espressiva fatta di natura inscatolata e di nouvelle maniere che permettevano di considerare il corpo biologico come una vera divinità che si riappropriava della navigazione esistenziale presentando semplicemente l’oggetto in quanto tale, completo di funzione e di rimando significativo al fantastico contenuto in essenza dall’ entità propria della “cosa d’arte”, evirata, però, dall’obbligo interpretativo imposto dai ruoli edificanti degli interpretanti. Gian Ruggero Manzoni, ferma in qualche modo questo senso coraggioso di vedere l’eziologia dell’arte e lo completa aggiungendo conoscenza intima e segreta di quel ricco patrimonio di immagini scolpite nella profondità luminosa della memoria dei segni simbolici che non sempre sono visibili nelle esposizioni pubbliche, ma che ritroviamo con attenta ricerca, a saperli incontrare e leggerli, nella custodia di antichi manoscritti segreti e di stampe che sorvegliano il senso dell’ archetipo e che l’artista estrae, secondo il suo sentire cosmologico, indicandone a volte la potenza in segno di scrittura, a volte in segno di parola o in composizione pittorica. Estrae i punti focali che veicolano la messa in vita dell’idea sensibilmente captata dalla fertilità attiva e incessante dell’amore per la bellezza continuamente in copula con la gnoseologia feconda. Se per il senso guerriero di un Grosz, che con l’artista contemporaneo ha in comune la forza dell’ironia e del segno, l’anima “impressionista” doveva mettersi in gara, per Manzoni la gara stessa diventa segno di sfida all’anima collettiva. L’artista la riconosce a istinto e la sottopone alla giurisdizione del pensiero creativo che la rende segno comunicativo e a volte simulacro di codici narrativi che contengono archivi mnemonici di azioni vissute o sentite. Queste opere modellano il senso della leggerezza visiva tipica delle abitudini riflessive dei saggi che respirano promenade mentali e immagini rivelatrici di gestualità somatiche che corredano la complessa esperienza di vita caricata tra le ossa e la carne dell’artista; rinunciano alle maniere linguistiche cariche di assoluta certezza, e assumono forma e senso, condividendo personalità e principi tra tutti quegli elementi spirituali che un Fosco Maraini ( eroe coerente) definirebbe passaggio obbligato della creatività da un esocosmo collettivo e storico all’endocosmo soggettivo, intimo e segreto dell’artista. Da qui alla coesione sacrale della percezione retinica del guerriero. Le molte opere che il saggio artista ha prodotto nella lunga peregrinazione della creatività eclettica di cui è soggetto e servitore eletto, entrano d’impatto nella circolazione vorticosa della sostanza magica dei segni riorganizzando il senso occidentale con le formulazioni ieratiche di una certa arte sub equatoriale africana. L’opera si commuove davanti alla verità psicomagica della composizione, palpita e respira con polmoni goetheani magnetizzati dalla emanazione di bellezza gotica di una cattedrale e allo stesso intenso momento Gian Ruggero Manzoni accosta composizioni narrative, crea personaggi che restano, per dovere esistenziale, sottesi alla criticità del racconto visivo e architettonico. Sono figure che attendono comunque l’arrivo di atti d’amore o di guerra che le percezioni fedeli dei contemporanei nascondono involontariamente nelle zone proibite, come direbbe un Gustav Jung redivivo, dell’inconscio e che nell’incontro interattivo con le opere manzoniane si ritrovano accese come una casuale combinazione chimica che per empatica attrazione del segno rimette in scatenamento provocando l’impatto di inquietudine o lo stato di sospensione tipico di chi lavora con gli elementi celesti. Il resto è passione visiva e gioco ludico di scritture sacre. Altri tempi per nuovi tempi da ascoltare con devozione nel culto rinnovato dell’arte.

di ANTONIO PICARIELLO