Mar 16 Mag 2006
Ezio Bassani; un grande conoscitore italiano dell’arte africana
Posted by Antonio Picariello under arte/teatroNo Comments
 Innanzi tutto, come è nata l’idea di una grande mostra sull’Africa con un taglio così particolare, che comprende ben tre millenni di storia?
L’idea è nata due anni fa su proposta di ArtificioSkira. Proposta che ho accolto inizialmente con perplessità , dato l’arduo compito che una mostra del genere comportava. Volevo comunque che l’esposizione avesse due punti fermi: presentare le arti dell’Africa nera, la parte del continente a sud del Sahara, e che fosse una mostra d’arte, non di etnografia. Solitamente infatti le esposizioni di arte africana trascurano le qualità formali delle opere a vantaggio della ricerca del significato delle stesse o del loro uso. Mi sono inoltre interrogato sui problemi che si pongono a chi si occupa oggi di arte africana, e che a mio avviso sono la datazione delle opere, l’attribuzione all’autore, il collezionismo antico, l’influenza dell’arte africana sull’arte moderna occidentale, e poi, soprattutto, la qualità delle opere stesse. Su queste premesse è nato il progetto della mostra, messo a punto con Filippo e Claudia Zevi, che finalmente, dopo lunghi sforzi, è giunto a compimento.La mostra ha un percorso molto articolato, che fondamentalmente ripercorre i punti nodali della storia dell’arte africana. Può illustrarci il contenuto delle varie sezioni?
Vi è una sezione iniziale di opere antiche. Una quindicina di sculture provenienti dai musei nigeriani (prestiti assolutamente eccezionali) sono testimonianza preziosa dell’arte di quel Paese. Ci sono terrecotte della civiltà di Nok antiche di 20-25 secoli; i bronzi di Ikbo-Ukwu, del IX-X secolo, di una perfezione sbalorditiva; le opere di Ife del XII-XVI secolo, già definite dalla critica “i Fidia e Donatello dell’equatore”; una trentina di bronzi del Benin, con pezzi famosi come le teste di re e regine madri del XVI secolo, la celebre coppia di nani di Vienna, due leopardi e le placche che ornavano i portici della reggia. E ancora, una trentina di opere dell’antico Mali: sculture lignee dei Dogon e degli altri popoli che hanno abitato la falesia di Bandiagara, datati a partire dall’anno 1000 d. C. La seconda sezione è dedicata al collezionismo in Europa, ovvero ai manufatti e alle opere d’arte africana presenti nelle “raccolte di meraviglie” dei principi rinascimentali e nei “gabinetti di curiosità ” di studiosi e borghesi dal Cinquecento al Settecento. Sono esposte sculture in avorio, che attiravano per la preziosità del materiale, tra cui per esempio un olifante, già nelle raccolte medicee, databile alla metà del Cinquecento, e poi tessuti e copricapi in rafia, di esecuzione raffinatissima. Un gruppo di rari volumi con illustrazioni di soggetto africano e carte geografiche antiche forniscono invece un’idea della conoscenza dell’Africa nei secoli passati. Una terza sezione, corredata da documenti fotografici inediti, è dedicata agli atelier degli artisti parigini che all’inizio del Novecento hanno “scoperto” le arti africane, come si evince dai loro lavori esposti. Infine l’ultima sezione, la più corposa, raduna oltre un centinaio di opere, di autori per ora anonimi e non ancora datate, che testimoniano la sbalorditiva varietà della creazione artistica africana e l’inesauribile capacità inventiva e tecnica degli scultori. Opere di qualità altissima, che arricchiscono il patrimonio dell’umanità .L’espressione artistica africana sottende una concezione temporale ed etica assai diversa da quella del mondo occidentale: ed è forse per questo motivo che ci appare così misteriosa e affascinante, quasi magica direi. Cosa ne pensa?
Non posso dire se l’espressione artistica africana sottenda una concezione temporale ed etica molto diversa da quella occidentale. La mancanza di documenti scritti e le trasformazioni radicali avvenute nel “Continente nero” negli ultimi cento anni consentono di formulare soltanto delle ipotesi sulle motivazioni che stanno alle radici della creazione artistica africana, per altro estremamente diversificata. Penso che tali motivazioni non siano in ogni caso molto diverse da quelle che hanno mosso i pittori e gli scultori dell’Occidente dei secoli passati a creare immagini di divinità , di santi e di potenti. Credo quindi che il fascino dell’arte africana, una volta spogliata dell’alone di esotismo, stia nella perfezione della forma, anzi nelle forme diversissime, in cui sono calati i valori spirituali, spesso inattingibili per noi, degli africani.
La sezione dedicata a pittori e scultori europei che all’inizio del Novecento riscoprirono l’Africa attraverso i suoi artisti e con essi cercarono nuove strade per l’arte è alquanto significativa. Quali capolavori possiamo ammirare e cosa interessava agli europei nel confrontarsi con quell’arte che a lungo è stata definita Art Nègre, Arte tribale, Arte primitiva, e che oggi altro non è che l’arte africana del XIX e XX secolo?
Circa il debito degli artisti occidentali nei riguardi dell’arte africana, è mia opinione che non ci sia stata, se non in pochi casi eccezionali, una derivazione diretta dai modelli africani. Credo piuttosto che i pittori e gli scultori delle Avanguardie europee abbiano trovato nelle sculture africane un incentivo ad abbandonare le forme espressive tradizionali, ormai inadeguate, e delle corrispondenze formali che confortavano le loro ricerche. Ne sono valida testimonianza le “Demoiselles d’Avignon” di Picasso, che attestano il primo interesse dell’autore per le maschere africane, mentre successivamente sarà l’analisi dei volumi “innaturali” delle opere africane a interessarlo e a suggerirgli lavori come la grande testa di cemento, sempre presente in mostra. E poi, “L’Oggetto Invisibile” di Giacometti, una scultura in bronzo di quasi un metro d’altezza. Infine una delle rarissime sculture in pietra realizzate nel 1907 da Derain, tra i più appassionati collezionisti di arte del Continente nero. E ancora opere di Matisse, Léger, Man Ray, Laurens, fino alle prime sculture di Henry Moore, che ripercorrono il cammino dell’arte africana a ritroso.
Esistono anche pezzi di notevole curiosità …
Tra gli avori presenti in mostra, ve ne sono molti noti come “Afro-portoghesi”, perché scolpiti nel XVI secolo su committenza europea e su modelli forniti dagli stessi europei. Ad esempio, su un olifante appartenuto ai Savoia lo stemma della casa reale portoghese è copiato dal frontespizio di un libro di preghiere europeo del 1498, come ben si vede dall’accostamento dei due oggetti esposti.
Il problema di attribuzione non deve essere di facile soluzione.
Per risolvere il problema dell’attribuzione delle opere d’arte africana si è adottato il criterio dei piccoli gruppi di sculture con caratteristiche formali simili, tali da poter essere assegnate ad un determinato scultore o ad una “bottega”. Vi è per esempio un gruppo assegnato al “Maestro di Buli”, dal nome del villaggio in cui fu raccolto il primo esemplare delle opere a lui attribuite. Esattamente come i lavori giovanili di Roger van der Weyden, attivo nelle Fiandre nel XV secolo, erano stati attribuiti dagli studiosi dell’Ottocento ad un “Maestro di Flemalle”.[ Alessandra Zanchi]Â
 [Vedi:Le immagini segrete del pianeta, La magica arte africana, Comparatismo come verità del mondo, Solo Shows -Thierry Fontaine -artista dell’Oceano Indiano, Malangatana come Giovanni da Modena, Jack Beng-Thi, plasticien : arte a forte sensibilia, Omar Calabrese, Due parole sugli archetipi… La Critica D’arte Africana] Â
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