Io auspico una Norimberga per tutti gli amministratori nazionali e locali
Sono reduce da affaticate visite alla Biennale di Carrara. Il bravo Fabio Cavallucci, ottimo curatore
indipendente (il migliore oggi in Italia di tale livello, forse) ma troppo legato ai trend curatoriali internazionali che imita e a cui vuole rendere conto, mi ha stroncato con lunghe e assolate camminate per farmi scoprire la sua Biennale. Tra la visita al cimitero di Marcognano (opera di Cattelan), devastati e polverosi laboratori in disuso sparsi nel territorio e uno squallido lungomare da far rabbrividire per speculazioni e devastazioni ambientali in cemento (ma quando un processo pubblico, una sorta di Norimberga del nuovo millennio, a tutti gli amministratori in Italia? La Magistratura, anziché pensare solo a Berlusconi si guardi attorno e si occupi dei nostri amministratori). A Carrara e dintorni, in un territorio che sembra una discarica di marmo, con centinaia di sculture, omaggio clientelare ad artisti solo invadenti ed invasivi, collocate ovunque, nelle piazze, negli incroci, nei cortili, in ricordo dei marinai scomparsi, dei pescatori annegati, dei carabinieri coraggiosi, dei militi ignoti dimenticati, proporre in mezzo a questa monumentalità a brandelli e scomposta, a questi esibizionismi di periferie culturalmente velleitarie, dei veri e bravissimi artisti come Terence Koh, diventa veramente una operazione di approssimazione e cinismo culturale. E questo perché mai come oggi l’arte ha bisogno di contesto.
Caro Massimo, cosa diresti se le tue raffi nate pitture venissero poste alle pareti di un bar sulla spiaggia o in un ristorante affollato da famiglie con bambini rumorosi e selvaggi? Tu credi che terrebbero il confronto con gli schiamazzi o la musica periferica a tutto volume? E se il contesto è l’anticamera della “convenzioneâ€, come si può negare che le regole del gusto, cioè dello Zeitgeist non nascano dall’esterno, cioè dall’accumulo delle istanze? Il concetto odierno di bellezza
femminile e maschile non è forse dettato da certi canoni della moda e della cultura? Una discussione a tal proposito tra artisti, curatori e chi vorrà , coordinata da te? Ma ben venga.
Hai lo spazio e il veicolo a disposizione. Anche se, conoscendo l’ipocrisia che governa il mondo dell’arte e della cultura, il risultato sarà scontato.
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BRAVI. CONTINUATE COSÌ
Gentile Direttore,
Flash Art ha raggiunto un grande traguardo, tappa che rende merito sicuramente
al grande lavoro svolto da tutti voi in oltre 40 anni.Â
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OGGI DIRIGERE UNA RIVISTA D’ARTE È UNA IMPRESA DISPERATA. MA NOI CERCHIAMO DI FARLO AL MEGLIO
Caro Matteo,
grazie. Ma tu sai perché Flash Art (Italia e International) dopo 43 anni è più fresco di prima? Perché
ogni giorno tutte le mie energie e quelle dei miei collaboratori più stretti (giovani, giovanissimi ma anche grazie ai confronti con artisti maturi e affermati e di tendenza come Getulio Alviani, Peter Halley, Michelangelo Pistoletto, Enzo Cucchi, Ettore Spalletti, Maurizio Cattelan, ecc.), sono tese a cercare il meglio dell’arte in Italia e nel mondo. Ogni momento della giornata (e delle notti insonni) chiedo a tutti coloro che sono in stretto contatto con me di aiutarmi a individuare e a capire il
meglio e il più attendibile, nelle sue forme più diverse. E questo ogni momento della giornata per 365 giorni. Oggi, dirigere una rivista d’arte che possa essere affidabile e di riferimento è una
impresa quasi disperata. Lo sconquasso procurato dal nuovo millennio e dalle congiunture odierne è spaventoso. Ogni riferimento è scomparso e tutti dobbiamo navigare a vista. Eppure, in questo disastro di idee e di valori, Flash Art, secondo tutti gli osservatori italiani e internazionali, è restata una delle voci più attendibili e meno effimere del sistema dell’arte. Chi, attorno a noi, può dire altrettanto?
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L’ARTE NON È UNA CONVENZIONE
Caro Giancarlo,
spesso ho letto nelle tue lettere e nei tuoi scritti, anche recentemente, l’affermazione perentoria e tranchant che l’Arte è una convenzione; che Duchamp in fin dei conti si può ridurre a questo semplice assioma, l’Arte è stabilita dal contesto e sono le convenzioni e i pregiudizi di ciascuna epoca a stabilire il valore, la bellezza, il gusto.
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Mi fa piacere che non ti sottrai al cinismo un po’ scolastico cui sottintende una tale visione del mondo perché come al solito ti assumi tutta la responsabilità di quanto affermi, sei capace di motivarlo e di portare una decennale esperienza a conferma di quanto sostieni. Consentimi però di non crederci a una visione del mondo così riassunta e semplificata, perché stupido & pittore come sono mi illudo di pensare che l’arte non sia fatta esclusivamente dal linguaggio capace di spiegarla, e che oltretutto il linguaggio, quand’anche lo riducessimo a puro strumento, non esaurisca affatto la comunicazione e la relazione che l’arte — e la vita! — mettono in gioco. Esiste, sopravvive a ogni evidenza, una parte sostanziale che sfugge a qualsiasi metodo poiché appartiene a un ordine che non è affatto linguistico. In qualche modo l’arte è anche arte del silenzio. Per amore della brevità non voglio appestarti oltre con le mie riflessioni che comunque riguardano un aspetto cruciale, come sai meglio di me quando getti con nonchalance queste pietre nello stagno del dibattito artistico italiano, e sul quale oltre alla tua opinione e forse a questa mia brevissima parentesi sarebbe davvero interessante sentire l’opinione di artisti, critici e compagnia cantante. Chissà che non ne venga fuori una bella cosa da leggere sulle spiagge.
Buone vacanze e un saluto,
Massimo Kaufmann, mkaufmann@tin.it
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MA L’ARTISTA NON È UNTO DAL SIGNORE
Caro Massimo,
so bene che per un artista è difficile accettare l’idea che l’arte sia una convenzione. Gino De Dominicis (ancora lui?) dopo essersi risentito per le mie “ciniche†affermazioni e avermi spiegato
che l’arte è un mistero, che l’artista è un unto da qualcuno o comunque un “illuminato†e un ispiratoâ€, alla fi ne mi pregava di non esprimere comunque a voce alta certe mie idee, perché altrimenti si poteva allontanare il collezionista che lascia sul tavolo l’assegnino (allora) di venti/trenta
milioni. Sì, caro Massimo, anche il grande Gino giocava a fare il mago, lo sciamano, l’uomo del mistero pur di portare a casa (eccome) la pagnotta. Eppure, con le sue qualità (intellettuali, tecniche e soprattutto strategiche) non ne aveva proprio bisogno. E ora anche tu vuoi dirmi che l’arte è rivelazione, spiritualità , magari ispirazione. Certo, non si può ridurre Marcel Duchamp a mero paladino del “contesto†che è il primo passo verso lo Zeitgeist, cioè il termometro delle mode culturali, ma ti assicuro che senza il contesto e senza la conoscenza di alcuni codici che noi stessi ci siamo dati, l’arte di oggi sarebbe poca cosa.
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Io auspico una Norimberga per tutti gli amministratori nazionali e locali
Sono reduce da affaticate visite alla Biennale di Carrara. Il bravo Fabio Cavallucci, ottimo curatore
indipendente (il migliore oggi in Italia di tale livello, forse) ma troppo legato ai trend curatoriali internazionali che imita e a cui vuole rendere conto, mi ha stroncato con lunghe e assolate camminate per farmi scoprire la sua Biennale. Tra la visita al cimitero di Marcognano (opera di Cattelan), devastati e polverosi laboratori in disuso sparsi nel territorio e uno squallido lungomare da far rabbrividire per speculazioni e devastazioni ambientali in cemento (ma quando un processo pubblico, una sorta di Norimberga del nuovo millennio, a tutti gli amministratori in Italia? La Magistratura, anziché pensare solo a Berlusconi si guardi attorno e si occupi dei nostri amministratori). A Carrara e dintorni, in un territorio che sembra una discarica di marmo, con centinaia di sculture, omaggio clientelare ad artisti solo invadenti ed invasivi, collocate ovunque, nelle piazze, negli incroci, nei cortili, in ricordo dei marinai scomparsi, dei pescatori annegati, dei carabinieri coraggiosi, dei militi ignoti dimenticati, proporre in mezzo a questa monumentalità a brandelli e scomposta, a questi esibizionismi di periferie culturalmente velleitarie, dei veri e bravissimi artisti come Terence Koh, diventa veramente una operazione di approssimazione e cinismo culturale. E questo perché mai come oggi l’arte ha bisogno di contesto.
Caro Massimo, cosa diresti se le tue raffi nate pitture venissero poste alle pareti di un bar sulla spiaggia o in un ristorante affollato da famiglie con bambini rumorosi e selvaggi? Tu credi che terrebbero il confronto con gli schiamazzi o la musica periferica a tutto volume? E se il contesto è l’anticamera della “convenzioneâ€, come si può negare che le regole del gusto, cioè dello Zeitgeist non nascano dall’esterno, cioè dall’accumulo delle istanze? Il concetto odierno di bellezza
femminile e maschile non è forse dettato da certi canoni della moda e della cultura? Una discussione a tal proposito tra artisti, curatori e chi vorrà , coordinata da te? Ma ben venga.
Hai lo spazio e il veicolo a disposizione. Anche se, conoscendo l’ipocrisia che governa il mondo dell’arte e della cultura, il risultato sarà scontato.
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I TOP 30 DI HANS ULRICH OBRIST
Caro Giancarlo,
ho visto la top 30 di Obrist. Devo dire anzitutto che tra quegli artisti ne conosco
poco più di un terzo, gli altri me li sono andati a cercare ma non posso certo essermi fatto un’idea decente in questo modo, specialmente con chi lavora col video o la performance.
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Mi sembra però che le scelte di Obrist, limitate agli over 40, siano più che condivisibili.
Lui ha privilegiato l’impegno politico e sociale e la cultura underground rispetto alla ricerca puramente formale che ha caratterizzato l’arte della generazione precedente. Ne è venuta fuori una panoramica a 360 gradi delle tendenze più hot e credo che abbia scelto gli artisti più significativi (parlo per quelli che conosco meglio) rispetto al linguaggio che utilizzano. Per esempio Terence Koh, che per me è il vero erede di Koons e Hirst e possiede una potenza e un’energia negativa davvero uniche (la pensa così anche Marina Abramović). Quanto agli italiani, beh, secondo me abbiamo ottimi artisti anche noi, come Vascellari, Cuoghi, Trevisani e altri ma forse, per il tipo di arte che fanno, c’è qualcuno che la fa simile ma meglio. Insomma, sono un po’ imitativi e limitati dal nostro desolante e poco vitale panorama culturale. Grazie,
Carlo Serri, Cagliari, antistar.serri@gmail.com
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DALL’ITALIA POCO DI BUONO
Caro Serri,
effettivamente l’arte di oggi, un po’ come il nostro calcio, all’estero non trova molti fans. Ma non vedi che il paese è allo sfascio? Non ho mai visto tanta corruzione, incapacità amministrativa, aggressività , presunzione come nell’Italia di questi anni. E l’arte e la cultura sono diventate l’espressione di questo sfacelo. Chissà che non abbia un senso proprio per questo?
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ANCORA OBRIST
Carissimo Giancarlo,
la classifica di Obrist è, come tutto quello che fa lui, molto stimolante, croccante e in anticipo sui tempi. È vero quanto tu dici sull’Italia paese dimenticato, vorrei fare un piccolissimo aggiustamento del tiro: Petrit Halilaj ha studiato a Milano a Brera, la
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sua formazione è italiana, ha ancora una base in Italia e anche nel catalogo della Biennale di Berlino come sue residenze sono citate Runik, Bozzolo e Berlino (cioè il Kosovo, l’Italia e la Germania). Concordo anche in questo con Hans, è veramente un bravissimo artista e per questo te l’ho proposto per Flash Art. La Biennale di Berlino gli ha dato un ruolo centrale e credo che il
lavoro corrisponda pienamente alle aspettative della curatrice. Un carissimo abbraccio e grazie
per avermi permesso di scrivere su Petrit, che è un artista in cui credo moltissimo.
Laura Cherubini, cherubini.laura@gmail.com
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PETRIT HALILAJ? UN TIPICO ARTISTA BALCANICO
Cara Laura,
ma a te sembra che Petrit Halilaj sia italiano? A me non pare. Come tutti gli artisti albanesi e kossovari, anche Petrit è restato un artista balcano. Come Sislej Xhafa (anche lui ha studiato e vissuto in Italia a lungo), Adrian Paci, Anri Sala (che vive a Parigi), Petrit ha mantenuto le caratteristiche tipiche della cultura un po’ “selvatica†e violenta dei Balcani. E tu sai perché il tuo protetto è stato invitato alla (disastrosa) Biennale di Berlino? Semplicemente perché lavora con una galleria berlinese e perché la direttrice della Biennale di Berlino, Kathrin Rhomberg, nel 2001 fu invitata da me come curatrice della Biennale di Tirana. E da quel tempo lei ha mantenuto contatti privilegiati e affettuosi con Tirana, città che all’epoca l’affascinò tantissimo. Dunque niente o molto poco di italiano (ma Kounellis ti sembra artista italiano?) in Petrit Halilaj, ma molto della forte energia e dell’opportunismo da sopravvivenza albanese e kossovaro.
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ANCHE IO STO DALL’ALTRA PARTE, MA DALL’ALTRA
Buongiorno Politi,
da anni leggo la sua bella rivista che interessa e diverte la mia enorme ignoranza. Ho letto sempre e non ho mai scritto, ma la risposta alla lettera 05 del numero di giugno mi ha solleticato le dita.
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Vede, lei intende l’Arte con la A maiuscola, invece quasi sempre chi scrive — il signore di quella lettera, e io in questo caso — vuole difendere la pittura e con la P più o meno minuscola. Onesta
e dignitosa. Quella pittura fatta con pazienza e dedizione, che procura emozioni anche ai rappresentanti di commercio, alle veline e alle casalinghe. Nel mondo non esistono solo sacerdoti dispensatori d’Arte intelletta. Nel mondo di accidenti in cui viviamo, tra malattie, furti e inganni politici, esiste anche altro. Esiste chi cerca il tono di colore, chi definisce una campitura, chi vuole comunicare una emozione lieta o provocare una reazione. Abbiamo ragione tutti. Lei un po’ di più ma solo perché è sulla sua rivista. Da lì è giusto che con la sua pluriennale esperienza stuzzichi i perplessi all’assurdo. Noi, che viviamo con i piedi sulla terra, che sfidiamo il non ancora fatto per proporre con un linguaggio comprensibile sensazioni sorrisi e proteste agli amici e alla gente di tutti i continenti. Con la stima di sempre,
Guglielmo Meltzeid, gmeltzeid@gmail.com
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IO VORREI DIPINGERE LA CORNOVAGLIA
Caro Guglielmo,
ma io sono d’accordissimo con te. Vuoi mettere il piacere di dipingere, magari en plein air, uno scorcio di lago, un bosco, magari un paesaggio della Cornovaglia della bravissima Rosamunde Pilcher? Romaticismo da strapazzo, ma che ti defatiga gli occhi, il cuore, la mente. Lo sai qual è per me un grande rammarico? Proprio il non saper dipingere. E in una stagione lontana in cui per qualche tempo, oltre al poetare, ho voluto anche pittare, mi riferivo a Manzoni (Piero) e a Pollock (Jackson), mica a De Chirico o Morandi! Invece sapessi che goduria sarebbe stata per me, oggi, dipingere gli scorci e i tetti di Milano dal mio terrazzo di viale Stelvio. Da un lato la City e la città della Moda che crescono invasivamente e oltre al respiro ti tolgono pure la visuale, dagli altri lati la città multietnica che sale a una velocità molto più che boccioniana. Mi dicono i bene informati che anche Francesco Bonami, tra un articolo e l’altro, tra un progetto e un altro, forse per debellare lo stress da successo, sta riempiendo il suo studio di New York con deliziosi dipinti di pargoletti (Ciao Checco, mi mandi qualche foto, per poter riferire meglio?).
Caro Guglielmo, lo ricordi anche tu il gusto sapido delle partitelle di calcio in parrocchia, in mezzo alla strada, a piedi nudi sui campi di sterpaglie? Sudate immani ma gioie e piaceri irripetibili. Come quelle di dipingere en plein air la Cornovaglia o le periferie della Ghisolfa. Ma ovviamente Maurizio Cattelan è altra cosa. Come anche Cristiano Ronaldo rispetto a noi che scalciavamo in parrocchia o
nei campi… L’arte come terapia la ritengo ineguagliabile.
Ma l’arte, quella con la A maiuscola, quella che vedi in certi musei e nelle grandi rassegne internazionali, o da White Cube o Gagosian o Victoria Miro, o Interim Art, Gavin Brown, beh, quella, quasi sempre è altra cosa…
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IL DECLINO DI ANDRO WEKUA?
Ciao Giancarlo,
ho visto recentemente la mostra “1995†di Andro Wekua alla Gladstone. Non capisco cosa gli sia successo, perché improvvisamente faccia quadri così privi di ispirazione che ricordano un certo Picabia, Chia, addirittura i coloroni messi male di certi pittori americani un po’ al palo della Reich come Tyson Reeder.
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Forse per accontentare, in buona fede, certe richieste di mercato si è messo a copiare se stesso staccandosi così da se stesso e dalla realtà che lo stimola. Certi suoi ritratti originali e raffinatissimi a olio indubbiamente devono essere piaciuti molto e quindi ha imboccato il genere.
E poi l’ossessione su certe sue fi gure viste da tutte le angolazioni… scomparsa, su quella tappezzeria alla De Maria. Non so, è vero che anche qua in Italia ho visto certi miei colleghi pittori cominciare a fare quadri orrendi non appena hanno avuto un po’ di riconoscimento dal mercato (mi riferisco ai non più giovani artisti della scuderia Mazzoli), ma anch’io come te credo che l’arte con la A maiuscola non esista senza mercato. Mi sciogli qualche contraddizione per favore? Grazie,
Sandro Saccocci, Padova, sandro.saccocci@yahoo.it
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SOLO ENZO CUCCHI E MICHELANGELO PISTOLETTO?
Caro Sandro,
che tasto dolente tocchi. Sapessi quante volte il mio cuore ha pianto nel vedere opere affrettate e
disprezzate di tanti straordinari pittori (sì, anche quelli che pensi tu, ahimè). Di pittori o artisti di
grande successo, che nel tempo hanno accumulato fortune da Paperon de’ Paperoni ma che o per
il piacere di circolare o di aumentare il conto in banca hanno licenziato opere non degne di loro.
Purtroppo la lista sarebbe lunga, lunghissima. Ma perché, mi chiedo anche io? Ma non ho la risposta. Degli artisti ormai storicizzati, tra i pochi che cercano di mantenere un certo rigore e una moralità , per fortuna mi pare ci siano Enzo Cucchi e Michelangelo Pistoletto.
Due dei rarissimi artisti che non rincorrono solo il danaro (e perché no?) ma che cercano ancora nuove emozioni dell’intelligenza.
Peccato però siano così pochi…
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