DIDASCALIE FOTO OPERE DI GUADAGNUOLO

-1- Francesco Guadagnuolo: “New York 11.09.2001: before” (con poesia scritta il giorno della morte di J. F. Kennedy, ‘Amica America America primo amore’ di Attilio Bertolucci), 1995, collage, strappo, specchio, acrilico e tecnica mista 70×50 cm

-2- Francesco Guadagnuolo: “New York 11.09.2001: before” (con poesia autografa di Mario Luzi, in memoria di Marilyn Monroe ‘Che vuoi dirmi ancora, che altro farmi conoscere’ con citazione d’àpres di Andy Warhol), 1995, collage, acrilico e tecnica mista su calendario 70×50 cm

-3- Francesco Guadagnuolo: “New York 11.09.2001: afterwards”, America under attack – aggressione all’uomo, 2001, collage, grafite, acrilico, smalto e tecnica mista su manifesto e mappa topografica 50×70 cm

-4- Francesco Guadagnuolo: “New York 11 settembre 2001”, 2001, acrilico, collage, sabbia e tecnica mista su calendario 70×50 cm

-5- Francesco Guadagnuolo: “11 settembre 2001” (con poesia autografa di Alessandro Parronchi), 2001, tecnica mista su calendario 70×50 cm

-6- Francesco Guadagnuolo: “New York 11.09.2001: afterwards”, Economia in fumo (particolare), 2001, collage, smalto, pennarello e tecnica mista su calendario 50×70 cm

-7- Francesco Guadagnuolo: “New York 11.09.2001: afterwards”, La luce della rinascita (particolare), 2001, collage, smalto e tecnica mista su calendario 50×70 cm

-8- Francesco Guadagnuolo: “New York 11.09.2001: afterwards”, Stati: dimenticate l’odio, 2001, rame, collage, acrilico, smalto e tecnica mista su mappa topografica 70×50 cm

-9- Francesco Guadagnuolo: “Consumo e crisi economica”, 2008, collage, acrilico e tecnica mista su calendario 70×50 cm

-10- Francesco Guadagnuolo: “Come favorire la ripresa”, 2008, collage, acrilico e tecnica mista su calendario 80×60 cm
11 Settembre 2001, dopo 10 anni, come è cambiato il mondo

Un grande evento per l’arte internazionale contemporanea. A dieci anni del grave attentato la nota mostra-istallazione di Francesco Guadagnuolo itinerante nel mondo commemora l’attentato alle Torri gemelle, rivivendo il prima e il dopo l’America di quegli anni, sino ad arrivare all’America di oggi.

NEW YORK – NEW YORK, 11. 09. 2001: BEFORE
ANTONIO GASBARRINI
La mostra-installazione di Francesco Guadagnuolo “Roma-New York/New York – Roma”, ideata e realizzata con il creativo apporto concertante di poesie e scritti per lo più autografi di prosatori e poeti americani ed italiani (articolata nelle tre sezioni “New York-New York”, “Dear New York, I am writing to you… ” e “American consumerism”), può essere considerata un evento verbo-iconico, e non solo, di questa pigra e noiosa stagione dell’arte italiana.
Il magistrale viaggio di Francesco Guadagnuolo nella cultura newyorchese coincide, in andata, con l’invio dei testi (quasi tutti inediti ed autografi) da parte di una cinquantina d’autori: veri e propri ready made ‘rettificati’ nella rigorosa, eppur visionaria impaginazione finale di collages assai somiglianti – nella loro identità formale –all’Idra dai mille volti. Infatti, sono tali e tante le molteplici, sincroniche e diacroniche letture praticabili per ogni opera, che il volto d’ognuna di esse sconfina e si fonde, in modo euritmico ed armonico, in quello di tutte le altre. Talché il viaggio di ritorno delle grafie e dei dattiloscritti trasmutati adesso in sub-icone, preserva in sé l’indescrivibile brivido che solo l’arte autentica della memoria rammemorante riesce ancora ad irradiare. Nel duplice attraversamento della parola fattasi immagine e dell’immagine qui sinesteticamente trasfigurata, sono più che raddoppiati i singoli apporti creativi (del poeta o scrittore e del pittore).
A ben guardare queste impeccabili finestre virtuali aperte sullo status symbol della mitogenia americana (dal volto di Marylin a quello di J. F. Kennedy, dal marchio della Coca Cola al dollaro) così ben devitalizzata dalla dissacrante banalizzazione della Pop Art, non si scorge la semplice somma aritmetica di scrittura + immagine, bensì si scopre l’algoritmo di un’iperbole esponenziale ed olistica in cui il risultato finale tende ad un qualche infinito orizzonte estetico (perché no, della bellezza) esperibile dalla creatività umana.
Francesco Guadagnuolo, alla stregua di Hermes (il messaggero degli dèi per antonomasia) costruisce un unico ponte visivo tra le due rive assai distanti della scrittura lineare e della pittura, riconducendo ad una primigenia matrice simbolica il suono (della parola) ed il segno (della scrittura) adesso liberamente fluenti uno nell’altro, con i loro improvvisi trasalimenti cromatici, con le continue interazioni grafiche, con le atipiche tessere musive di un originalissimo ipertesto visivo multimediale (didascalicamente enfatizzato dall’inserimento materiale di un Cd-rom che è fisicamente incorporato nell’opera in cui campeggia la ‘scritta murale’ di Amiri Baraka: «In The Funk World/If Elvis Presley is King/who is James Brown/God?».
E come l’avvento della Pop Art sarebbe stato impensabile senza la disponibilità degli scarti-rifiuti metropolitani («La Pop non poteva nascere che in America, a New York. Intanto perché c’era quell’orgia di colori; e poi perché esisteva un incredibile surplus di prodotti e di rifiuti. Sì, materiali poverissimi che per noi artisti erano comunque preziose fonti di ispirazione», James Ronsenquist, Il Messaggero, 4. 7. ’95) antropologicamente, poeticamente e linguisticamente invertiti di segno, così queste esuberanti, ma mai ridondanti opere di Francesco Guadagnuolo non avrebbero potuto vedere la luce senza l’apporto determinante degli inesauribili «giacimenti visivi» della cultura americana, velocemente veicolati dai mass-media prima e dalle autostrade informatiche di Internet oggi.
Solo che il non indolore passaggio dal rumore e dalla chiacchiera della doxa (opinione) a quello di una problematica conoscenza, implica una severa selezione dei flussi di informazione disponibili, se non si vuole cadere nella trappola mortale della resa postmoderna. Il senso di marcia e la giusta direzione da seguire coincidono, allora, con gli interscambi ‘umorali’, di una poesia fattasi pittura e dell’immagine diventata poesia, come avviene in queste intriganti opere dove niente è lasciato al caso, essendo esse minuziosamente progettate per guardare avanguardisticamente in avanti.
La citazione anch’essa poetico-visiva (di alcuni emblematici particolari “prelevati” come d’aprés da arcinote opere dei vari Andy Warhol, Roy Lichtenstein, Keith Haring, Jean Michel Basquiat) è qui utilizzata non già come remake o rimpianto di un edenico passato dell’arte e della sua storia, bensì quale pietra miliare da far riemergere dalla sterpaglia e dalla gramigna di un postmoderno ambiguo nelle sue connotazioni ideologiche («Postmoderno non significa un movimento di come back, di flash back, di feed back, un movimento insomma di ripetizione, bensì un processo di “ana”, un processo di analisi, di anamnesi, di anagogia e di anamorfosi che elabora un “oblio iniziale”», J. F. Lyotard), pena la fine di una modernità ontologica – della creatività e dell’arte – da protrarre invece a tutti i costi.
In questa perenne riattualizzazione estetico-linguistica della modernità, da inquadrare all’interno di un universo fisico «aperto al futuro» (Popper), il tempo/evento dell’arte – che nulla ha da spartire con quello apparentemente lineare della vita e della storia – è spesso rimarcato dall’artista italiano con il supporto-tela delle superfici cartacee di calendari, le cui lettere e cifre di anni, mesi e giorni vanno a suscitare un ulteriore scompiglio sintattico e semantico nell’impeccabile impaginato finale.
“Vedere la poesia” e “leggere le immagini”: in questi due inconciliabili paradossi può riassumersi la ricerca di Francesco Guadagnuolo (si rinvia, in proposito, ai paralleli cicli de i “Luoghi del Tempo” ed “I Luoghi del Corpo”), in quanto il disegno dei dattiloscritti e delle grafie dei poeti e prosatori («America America America primo amore / non potevano più pronunciare quei titoli amati / e neppure America amara che ne era il rovescio / giudizioso e perfido forse accettabile / sempre giocati su quella vocale femmina di lunghe gambe / le lunghe gambe americane fatte per grandi spazi», Attilio Bertolucci; «But what immortal hour / man’s life on earth can be / with so much grace to see / and so much glory in a single fl ower!», Joseph Tusiani; si metamorfizzano in segni e colori, mentre l’ipertesto visuale complessivo lega e salda i singoli frammenti grafici e pittorici, da ‘sfogliare’ poi nei tanti particolari, così come si fa con un computer cliccando il puntatore con il mouse. Lo scarto fruitivo tra immagine e scrittura («L’immagine, certo, è più imperativa della scrittura, impone la significazione di colpo, senza analizzarla, senza disperderla; ma non è una differenza costitutiva. L’immagine diviene una scrittura a partire dal momento in cui è significativa: come la scrittura essa richiede un lexis», Roland Barthes) è riassorbito da questi iperpittogrammi in cui l’equivalenza formale delle due categorie espressive fonde la logora diade di significato e significante in una superiore sintesi poetica.
La transrealtà di Francesco Guadagnuolo, ancora prepotentemente fisica nei materiali usati (carta, colori, radiografie), anche se mentale per le implicazioni progettuali evidenziate più sopra, non può peraltro essere ricondotta nell’etereo alveo della realtà virtuale: l’attraversamento e l’oltrepassamento estetico delle varie modalità espressive (fotografia, scrittura, pittura, grafica) non è, infatti, ottenuto con il tromp l’oeil di una sterile ibridazione formale, stilistica o tecnico-multimediale, ma dalla manipolazione genetica delle più vitali cellule dell’arte-poesia contemporanea. La loro tattile corporeità, iperdimensionale per le molteplici implicazioni esistenziali di un tempo e di plurispazi eroticamente congiunti, è forse l’ultimo baluardo frapposto dall’arte-poesia del “fare manuale e banausico” all’irrompente digitalizzazione della natura-realtà, fisicamente cangiante, dinamica e irreversibile nella sua perenne corsa verso il cambiamento dell’iniziale stato energetico.
In breve, un’arte-poesia a-virtuale e a-programmabile da qualsivoglia software, tanto cariche di chiarificatori messaggi sono queste opere dalle caleiscopiche e cristalline assonanze, vaganti tra le ‘cuspidi’ dei grattacieli di New York o scaraventate nella brulicante ‘atmosfera al neon’ della subway.

NEW YORK – NEW YORK, 11. 09. 2001: AFTERWARDS
ANTONIO GASBARRINI

Ora che le ‘cuspidi’ dei grattacieli (i grattanuvole, come li chiamavano i futuristi) più alti di Manhattan sono stati ridotti in macerie, il paesaggio urbano, metropolitano di New York non è più lo stesso. Quel che è peggio, è radicalmente cambiato il “paesaggio psicologico” (quello dell’anima) del popolo americano.
Di fronte al videogame a cui abbiamo tutti assistito, ove il tragico realismo visivo dell’attentato terroristico ha azzerato in una manciata di minuti tutte le trame e gli effetti speciali dei romanzi e film d’azione americani (tanto banale è risultata una fantasia più che annacquata), l’arte di Francesco Guadagnuolo e dei tanti altri artisti che in tutto il mondo continuano e continueranno a misurarsi con il malefico simbolo dell’odio, della distruzione e della morte, dà una significativa risposta estetica all’orrore vissuto dai cittadini americani (e virtualmente trasferito in ogni angolo del globo con il “bombardamento” massmediatico).
Se la poetica di questa quarantina di lavori di “New York – New York 11.09.2001: afterwards” coincide sostanzialmente con quella del precedente ciclo “New York – New York 11.09.2001: before” proposto nel ’95 con una mostra personale itinerante in Italia ed all’estero, nettamente diversa è l’atmosfera, incupitasi ora nella declinazione espressionistica delle immagini.
Schermate televisive, volti, mappe, lacerti pittorici destrutturano il tempo lineare della storia scandito dal subjectile (il supporto-tela del calendario), accelerando il ritmo di una narrazione visiva diventata concitata ed afasica.
L’orgogliosa verticalità cartesiano-euclidea delle due Torri Gemelle di New York, simbolo par excellence del potere terreno, si è afflosciata, sbriciolata in quel tellurico crollo effigiato da Francesco Guadagnuolo con il rimescolamento visuale di una prospettiva rinascimentale razionale nella sua statica fissità, dinamicamente demolita da quei detriti che sembrano volare e che in effetti precipitano, da quei corpi bruciacchiati usciti da un girone dell’inferno dantesco, da quelle polverose ceneri ricoprenti spazi e cose.
E quelle “impeccabili finestre virtuali aperte sullo status symbol della mitogenia americana” (leggi pag. 370) sono adesso realisticamente serrate a lutto, chiuse nel ristretto perimetro di un’opera ammutolita di fronte alla inenarrabilità dell’agghiacciante evento. Ma l’immagine può più della parola se la parola si trasmuta in immagine, e se la stessa scrittura di uno spartito musicale si fa “suono visivo”, come si può percepire nel quadro “Ave verum”, il cui titolo è tratto appunto dall’ “Ave verum op. 42” del Maestro Sergio Calligaris.
Sono queste note a diffondersi negli spazi espositivi della itinerante mostra personale di Francesco Guadagnuolo “Omaggio a New York” concertata da poeti, musicisti e pittori idealmente presenti nel pacificante nome universale dell’arte e della cultura.

Copyright © 2011 – Francesco Guadagnuolo, riferito allo stile, alle idee, tematiche, rapporti sinestetici, commistioni con le varie arti, l’impiego di manoscritti: poesie, prose, spartiti musicali, e dall’uso personale di vari supporti (calendari, mappe topografi che, radiografi e, ecc.) ai sensi dell’art. 1 della legge sul diritto d’autore nonché dell’art. 2575 del codice civile.

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Dalla monografia “Metamorfosi dell’iconografia nell’arte di Francesco Guadagnuolo” a cura di Antonio Gasbarrini e Renato Mammucari – Angelus Novus Edizioni e Edizioni Tra 8 & 9 – Anno di pubblicazione febbraio 2011.